Il decreto promulgato per la canonizzazione di san Gabriele dice: “Sarebbe falsificare la verità immaginarsi che Gabriele anche se occupava sempre la mente nella contemplazione, fosse un giovane triste e accigliato. Nessuno era più amabile e più allegro di lui”. Inoltre la lettera apostolica per il centenario della sua canonizzazione afferma: “Gabriele si dimostrava sempre allegro e gioviale. L’allegria era una nota sua propria. Dimostrò che la pace e la gioia non procedono dal piacere ma dall’esercizio delle virtù e dalla grazia divina che rinnova il cuore”
Non era una gioia comune quella di Gabriele; tutti coloro che sono vissuti con lui ne parlano piacevolmente meravigliati ed entusiasti. Il fratello Michele, dopo tanti anni, lo ricorda “sempre allegro”, aggiungendo che “in casa si era come morti senza di lui”. Ormai vecchio gli sembra di sentire ancora le severe stanze dell’antico palazzo risuonare delle fragorose risate del vispo Checchino (così chiamavano Gabriele in famiglia).
Gabriele dunque gode “l’inestimabile dono di una imperturbata giovialità per disposizione di natura e per perfezionamento di grazia”, ed ha un modo di fare “sempre infiorato da una vivacità quasi festosa”. Anche lui deve affrontare prove e difficoltà, ma “nessuno ricorda di averlo visto un giorno solo mesto o meno allegro”. La sua gioia non conosce pause, né inquinamento o incrinature. Gli scintilla perenne negli occhi vivaci, diventa il suo vestito abituale e la colonna sonora del suo pellegrinaggio terreno. Gli sboccia spesso, fresca e spontanea, “una saporita risata” o addirittura “una grossa risatona”. Padre Francesco Saverio (che da superiore generale ne introdurrà la causa di beatificazione) si diverte a provocarlo con parole e scherzi frequenti ma Gabriele risponde sempre con “un dolce sorriso”.
Ogni attimo della sua vita è segnato dalla gioia: ubbidisce, lavora, studia con gioia; esce dalla preghiera e si accosta all’Eucaristia “tutto infiammato e pieno di una gioia celestiale”. è sempre gioioso perché è in continuo contatto con Dio sorgente di gioia. è sintonizzato con Lui: quasi lo vede con gli occhi limpidi e puri, gli parla con la tenerezza di un figlio e si muove beato nel suo inesauribile amore. E poi c’è la Madonna che sente sempre vicina, premurosa e materna. La gioia che continuamente gli profuma la vita, la semina a piene mani. è incontenibile: occhieggia ad ogni gesto, sguscia da ogni atteggiamento; sbalordisce, affascina e contagia. E Gabriele ne diventa anche cantore e poeta. Scrive al papà dal convento: “La contentezza e la gioia che io provo è quasi indicibile; la mia vita è una continua gioia. La mia è una vita dolce, una vita di pace. Sto contentissimo”. Il volto di Gabriele, titolare di un sorriso incantevole, sprigiona luce e rivela tutta la ricchezza di un’anima piena di grazia. Attorno a lui si respira serena giovialità. Avvicinare Gabriele è come un affacciarsi sul belvedere della gioia.
Paura e tristezza sono costrette a capitolare sconfitte, anche davanti a Gabriele malato e prossimo a morire. La gioia è ancora tanta; il direttore padre Norberto teme che sia addirittura eccessiva e ne deve frenare l’esuberanza. Gabriele “risponde ridendo graziosamente” a chi gli domanda come sta, ai confratelli che gli ricordano di preparare un posto in Paradiso anche per loro, e a chi gli chiede quando vuole fare testamento. Il direttore dice: “Io stavo nella sua camera; vederlo conservare sempre quella gioia e quella pace, sentirlo uscire in quelle sue frequenti aspirazioni così infuocate, tenere e toccanti mi sentivo intenerire l’anima; commosso fino alle lacrime ero costretto ad uscire per non farmi veder piangere perché non riuscivo a contenermi. La gioia di cui era piena l’anima sua cercava di mostrarmela tutta affinché mi tornasse di lenimento e consolazione. Visitarlo recava a tutti consolazione e metteva invidia vederlo sempre gioviale, allegro e spesso faceto”. Tutti sono stupiti della luminosa serenità che gli aureola il volto. L’appassire dei giorni terreni non gli ha rubato la gioia. Il dottore che lo visita ne resta meravigliato e se ne riparte piangendo commosso.
Un giovane e un santo così non può non essere amabile e affascinante. Il suo sorriso è più vivo che mai, come vivo più che mai è Gabriele. I giovani all’affannosa ricerca di un sorso di gioia vera, o anche uomini neri e tristi come cipressi, vicino a Gabriele, si sentono percorsi da quel fremito di gioia inutilmente cercato ad altre fonti e finalmente trovato nel “santo del sorriso”.