BRACCIA RICONSEGNATE ALLA CAMPAGNA…

segnali di ripresa dall’agricoltura
By Antonio Andreucci
Pubblicato il 1 Maggio 2015

L’Italia che guarda al futuro, che comunica le decisioni del governo via web e in inglese (sic!) e che fa…politica con battute da cabaret, viene salvata dalla cara, vecchia, romantica zappa! Non a caso oggi il 57 per cento dei giovani preferirebbe gestire un agriturismo piuttosto che lavorare in una multinazionale o fare l’impiegato in banca  Braccia riconsegnate all’agricoltura, verrebbe da dire parafrasando una celebre frase ironica verso chi non sa fare il suo lavoro. In un periodo in cui tutto sembra andare male, ecco che proprio dalla terra germogliano i primi dati positivi nell’anno in cui organizziamo l’Expo sull’alimentazione. Infatti, prim’ancora di vedere gli effetti che avrà sull’occupazione la tanto contestata riforma sul lavoro, l’agricoltura dà chiari segnali di ripresa, tanto che, in controtendenza rispetto agli altri comparti, ha registrato un +7,1 per cento di occupati (complessivamente sono 814 mila, il 10% dei quali straniero: 410 mila al sud, 298 mila al nord e 115 mila al centro). Il settore ha un giro d’affari di quasi 52 miliardi di euro l’anno (392 quelli del’Ue); in termini assoluti ce la battiamo con la Germania, alle spalle della Francia (20 miliardi in più) e vantiamo decine di falsificazioni e sofisticazioni. L’Italia che guarda al futuro, che comunica le decisioni del governo via web e in inglese (sic!) e che fa… politica con battute da cabaret, viene salvata dalla cara, vecchia, romantica zappa! Non a caso, secondo un sondaggio Coldiretti/Ixe, oggi il 57 per cento dei giovani preferirebbe gestire un agriturismo piuttosto che lavorare in una multinazionale (18%) o fare l’impiegato in banca (altro 18%). “Le campagne – commenta il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo – possono offrire prospettive di lavoro sia per chi vuole intraprendere con idee innovative, sia per chi vuole trovare un’occupazione anche temporanea”.

Anche se scende l’area coltivata e riusciamo a soddisfare il 75 per cento del fabbisogno interno, la qualità è altissima: i prodotti a denominazione sono 271 (su 1.237 dell’Unione Europea), contro i 217 francesi, i 179 spagnoli, i 125 portoghesi e i 78 tedeschi; ci sono ben 350 cultiver (cioè la varietà di olive coltivate), contro le quattro della Spagna (tra i maggiori produttori al mondo). Rispetto agli altri paesi il punto di forza italiano è la varietà delle coltivazioni, mentre quello debole sono i prezzi. Un esempio è il latte che viene venduto a due terzi in più di quanto incassa il produttore, un aspetto che negli ultimi tempi ha determinato la chiusura di decine e decine di stalle. Un altro handicap è rappresentato dallo spopolamento delle terre alte, cioè oltre i 600 metri: un fenomeno cominciato all’inizio degli anni sessanta e che prosegue ancora. Per contrastarlo sono previste da quest’anno misure comunitarie che agevolano e incentivano le attività in queste zone (complessivamente, la superficie agricola italiana è pari a 17,8 milioni di ettari, di cui 12,7 utilizzati, su un territorio vasto 30,2 milioni di ettari).

Anche nell’agricoltura e nella zootecnia eccelle la fantasia italica: tra i 271 prodotti a Denominazione di origine protetta (Dop), Indicazione geografica protetta (Igp) o Specia-lità tradizionale garantita (Stg), oltre a vini, salumi, formaggi, carni, vi sono delle vere chicche come il radicchio di Verona, il pecorino delle balze volterrane, lo zampone di Modena, il parmigiano reggiano, la ciliegina di Marostica, bresaola della Valtelli-na, eccetera.

Certamente il risveglio del settore agroalimentare e queste eccellenze sono un bel segnale in vista dell’Expo (a Milano, dal primo maggio al 31 ottobre). Un evento unico e straordinario che coinvolgerà 145 paesi, rappresentanti “simbolici” di circa il 94% della popolazione mondiale pari a 7 miliardi di persone; un vero e proprio viaggio attraverso i sapori e le tradizioni dei popoli della terra per riflettere sul tema: Nutrire il Pianeta, energia per la vita. Ci saranno 53 padiglioni (ben 11 in più del record di Shanghai 2010), 17 mila eventi e vetrine per consentire a tutti di mettersi in mostra. Si spera di avere qualcosa più di 20 milioni di visitatori, perché al di sotto di questa cifra sarebbe un madornale flop. Basti pensare che anche se arrivassero 28 milioni di persone, l’Expo milanese non entrerebbe neppure tra le prime 10 di sempre (Shangai 2010 prima con 73 milioni, Parigi 1930 decima con 31). Ma noi facciamo tifo affinché vada tutto per il meglio, anche se – nel rispetto della triste tradizione italiana – l’Expo non si è fatta mancare inchieste, con tanto di arresti, su tangenti per costruire l’area, le forniture e qualsiasi cosa buona per speculare. Denari finiti a maneggioni vari, alcuni in contatto strettissimo con quasi  tutti i gruppi rappresentati in parlamento. Per loro, potrebbe suonare come un elogio l’invito ad andare a zappare!

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