BASTA A MORIRE DI LAVORO

DOPO LA RECENTE STRAGE NELLA CENTRALE IDROELETTRICA DELL’ENEL SULL’APPENNINO BOLOGNESE, SI RIPROPONE IL GRAVE PROBLEMA DELLA SICUREZZA. L’INAIL FA SAPERE CHE NEI PRIMI DUE MESI DEL 2024 SOLO LE DENUNCE DI INFORTUNI SONO STATE 92.711, IL 7,2% IN PIÙ RISPETTO AL 2023 MENTRE LE MORTI SONO AUMENTATE DEL 19%

Ancora morti sul lavoro. Ancora dolore, sdegno, rabbia. La recente strage nella centrale idroelettrica del lago di Suviana, a Bargi di Camugnano, sull’Appennino bolognese, che ha causato 7 morti e cinque feriti, ripropone per l’ennesima volta il grave problema delle morti e degli infortuni sul lavoro. A ricordarcelo sono gli ultimi dati forniti dall’Inail: nei primi due mesi del 2024 solo le denunce di infortuni sono state 92.711, il 7,2% in più rispetto a gennaio-febbraio 2023. Per quanto riguarda i morti, invece, solo nel primo bimestre sono 119 che rappresenta un aumento del 19% in più rispetto al 2023. Da tenere presente, inoltre, come tiene a precisare l’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro, che si tratta di dati provvisori che corrispondono alle denunce pervenute, di conseguenza i numeri potrebbero essere anche maggiori qualora non venisse sempre rispettata l’obbligatorietà delle segnalazioni. E comunque anche se restassero queste, parliamo di cifre assurde, non più tollerabili.

Naturalmente, come da copione, dopo l’ennesima tragedia i riflettori dell’opinione pubblica tornano ad accendersi come d’incanto. Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, invece, dovrebbero essere principi fondamentali e per nulla al mondo oggetto di “trattativa”. E la “vigilanza” dovrebbe essere quotidiana. Lavoratrici e lavoratori, infatti, hanno diritto alla piena tutela della propria integrità e salute psicofisica e della propria personalità morale. Altra cosa di assoluta importanza e non certamente derogabile, è la formazione professionale al fine di eliminare o ridurre al minimo i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Insomma, meno chiacchiere e più fatti. Proprio come auspicato dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, all’indomani del tragico incidente nella centrale idroelettrica. “Quando si parla di sicurezza bisogna parlarne di meno e farne di più. Lo dico a tutti, non solo al governo. Lavoro e morte non possono mai abbracciarsi. Lavoro è vita. Per questo chiediamo responsabilità e sicurezza. Questa tragedia impone sobrietà nelle parole e serietà negli impegni. Solo la manutenzione della sicurezza può tutelare da quelle che non sono mai solo fatalità. E la sicurezza richiede investimenti. Quando la sicurezza è vista come un costo si diventa irresponsabili. Le morti bianche non sono mai bianche nelle nostre coscienze. Ricordo le parole di papa Francesco, non si può in nome del profitto chiedere troppe ore lavorative. Siamo persone, non macchinari: la sicurezza non è un costo, non è un lusso ma è un dovere”. Come non sottoscrivere le parole del presidente della Cei? D’altra parte cosa c’è di più prezioso della vita?

L’incidente di Suviana ha suscitato ancora più sgomento in quanto è accaduto in una centrale Enel, la più grande azienda elettrica del Paese, una sorta di “istituzione”. Eloquente, in questa direzione, il commento di Vittorio Caleffi, segretario Uil tech: “Se in un’azienda come Enel si muore significa che le cose stanno degenerando…”. Ora spetterà alla magistratura fare piena luce, sperando che tutte le parti in causa si mettano a disposizione per la ricerca della verità. Nel frattempo, però, i dati sono lì. E sempre più drammatici. Osservandoli infatti nel dettaglio, l’analisi territoriale elaborata dall’Inail evidenzia un aumento delle denunce di infortunio più consistente nel Nord-Ovest (+10,2%), seguito da Centro (+7,5%), Nord-Est (+5,9%), Isole (+4,8%) e Sud (+4,2%). Tra le regioni con i maggiori incrementi percentuali si segnalano la provincia autonoma di Trento (+19,3%), la Lombardia (+11,6%), l’Umbria (+11,1%) e il Piemonte (+10,4%). L’aumento che emerge dal confronto dei primi bimestri 2023 e 2024 è legato sia alla componente femminile, che registra un +6,4% (da 31.867 a 33.902 casi denunciati), sia a quella maschile, che presenta un +7,7% (da 54.616 a 58.809). L’incremento ha interessato sia i lavoratori italiani (+6,6%) che quelli extracomunitari (+12,4%), mentre i comunitari hanno segnato un calo dello 0,8%. Dall’analisi per classi di età emergono aumenti generalizzati in tutte le fasce, soprattutto in quella fino a 14 anni (+28,5%) per l’incremento infortunistico degli studenti. La fascia tra i 45 e i 49 anni è la sola a registrare un calo (-0,7%).

Per quanto concerne i casi mortali, invece, l’aumento riguarda l’Industria e servizi (da 87 a 105 denunce) e l’Agricoltura (da 11 a 12). Guardando poi nello specifico al territorio, emergono incrementi al Sud (da 14 a 24 casi), nelle Isole (da 6 a 11), nel Nord-Ovest (da 35 a 39) e nel Nord-Est (da 22 a 24) e un calo al Centro (da 23 a 21). Tra le regioni con i maggiori incrementi si segnalano la Lombardia (+8), la provincia autonoma di Bolzano e la Campania (+6 ciascuna), il Lazio (+5) e la Sicilia (+4), mentre i cali più evidenti si registrano in Veneto (-8) e in Piemonte (-6). L’aumento rilevato nel confronto dei bimestri gennaio-febbraio 2023 e 2024, poi, è legato sia alla componente maschile, i cui casi mortali denunciati sono passati da 93 a 110, sia a quella femminile, da sette a nove. Aumentano le denunce dei lavoratori italiani (da 84 a 89), degli extracomunitari (da 14 a 23) e dei comunitari (da 2 a 7). L’analisi per classi di età registra aumenti tra i 30-39enni (da 8 a 16 casi) e tra i 45-54enni (da 22 a 37) e tra i 65-74enni (da 6 a 14) e diminuzioni, in particolare, tra gli under 30 (da 15 a 8).

Infine le denunce di malattie professionali protocollate dall’Inail, nel primo bimestre del 2024 sono state 14.099, 3.700 in più rispetto allo stesso periodo del 2023 (+35,6%). L’incremento è del 74,5% rispetto al 2022, dell’80,7% sul 2021, del 33,7% sul 2020 e del 41,9% sul 2019. Le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, quelle del sistema nervoso e dell’orecchio continuano a rappresentare, anche nel primo bimestre del 2024, le prime tre malattie professionali denunciate, seguite dai tumori e dalle patologie del sistema respiratorio.

Fin qui le cifre ufficiali Inail. Ora, però, è il momento di avvicinarci al tanto discusso subappalto e al lavoro nero, argomenti che puntualmente generano un acceso dibattito in presenza di incidenti sul lavoro. “Ogni giorno – osserva Maurizio Landini, segretario nazionale della Cgil che lo scorso 11 aprile insieme alla Uil ha organizzato uno sciopero nazionale – muoiono in media 3 persone, ogni mese, poi, succedono incidenti con più morti. Siamo un Paese con più di mille morti all’anno sul lavoro: c’è proprio un modello di fare impresa che non va bene e che va cambiato. In molti casi siamo di fronte a tante ditte in appalto, situazioni che indicano che tutto quello che è stato fatto in questi anni di liberalizzazione del mercato del lavoro, nel senso di precarietà e subappalti non funziona. Così non si va avanti, bisogna cambiare le norme e la modalità di fare impresa, salute e sicurezza non possono essere considerate un costo, un orpello, devono diventare un vincolo senza il quale non si lavora”.

I dati in possesso dell’Associazione nazionale costruzioni edili (Ance) dicono che le imprese italiane sono poco più di 400.000. Per i sindacati di categoria, però, 65.000 avrebbero zero dipendenti. In pratica, secondo la denuncia della Cgil, ci sarebbero squadre di lavoratori stranieri, con anche qualche italiano, naturalmente subappaltate. Inoltre, sempre secondo le stime degli edili del più antico e grande sindacato italiano, sarebbero 200 mila i lavoratori sfruttati nel settore e, secondo il rapporto Istat sull’economia sommersa del 2023, quasi 16 lavoratori su 100 nelle costruzioni sono in nero.

Visto allora che l’Abruzzo e la Basilicata, secondo i dati Inail, sono le uniche regioni a registrare un calo delle denunce di infortunio nei primi due mesi del 2024 (rispettivamente -2,2% e -1,2%), siamo andati a “interrogare” il presidente Ance della provincia di Teramo, Ezio Iervelli, al suo secondo mandato dopo la rielezione dello scorso ottobre. Sessantuno anni, oltre all’incarico nell’Ance è titolare, insieme a suo fratello Franco, dell’impresa di famiglia Iervelli Costruzioni S.r.l fondata nel 1964 dal papà Pierino. Ovviamente con il presidente non potevamo che iniziare dal “famigerato” subappalto a cascata, tanto contestato dai sindacati. “Puntare il dito sempre sui subappalti credo sia sbagliato e soprattutto lo ritengo un falso problema. Tra l’altro ci si dimentica che l’Italia è stata multata per non aver applicato un subappalto totale, cosa che accade da tempo in tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea. Cioè la possibilità di subappaltare intere opere, e quindi subappaltare a cascata. Parlo di falso problema perché norme che regolano gli appalti ce ne sono in quantità e sono anche molto restrittive. Basterebbe solo farle rispettare con controlli più capillari, magari incrementando il numero degli ispettori”.

Imprese con zero dipendenti: in provincia di Teramo l’Ance ne conta circa 150 mentre quelle senza operai sono meno del 10%. “Nella gran parte – osserva Iervelli – parliamo di imprese immobiliari. È vero che si servono di squadre di lavoratori, però sinceramente non vedo cosa ci sia di male. Ripeto, si facciano controlli accurati e in caso di situazioni irregolari si proceda in maniera dura. Inoltre non è vero che il subappalto comporti uno scarico di responsabilità. L’impresa madre è sempre responsabile”. Chi dà il lavoro in subappalto, si dice, cerca di “spremere” il subappaltatore che a sua volta si vede costretto a non rispettare le regole per avere un utile… “Può essere che ci sia una piccola percentuale di imprese che operi così, ma la gran parte lavora in maniera corretta. Anche perché tutto quello che succede nel nostro ambito riguarda il penale… Con un infortunio di 40 giorni di prognosi si rischia il fermo dell’impresa… Sicuramente la nostra tipologia di lavoro si presta a infortuni più numerosi, però posso garantire che le aziende investono sia nella formazione che nella sicurezza. Tra l’altro il datore di lavoro è quello che più di tutti ha interesse a evitare qualsiasi tipo di incidente e quindi che si lavori in piena sicurezza”.

Oltre alla formazione e quindi agli investimenti per rendere sicuri i posti di lavoro, secondo il presidente dell’Ance della provincia di Teramo, c’è necessita di uno step culturale. “Ci vuole un approccio diverso che deve scattare in ogni attore del mondo del lavoro. Nessuno deve dare niente di scontato, un caschetto o un meccanismo di blocco di sicurezza su una macchina, ad esempio, non possono essere giudicati superflui o non necessari perché magari in vent’anni non ci è mai capitato niente… Oppure ci crediamo sempre più bravi degli altri. Se si prestasse attenzione massima e in maniera costante nel proprio ambiente di lavoro, datori di lavoro in primis, molti rischi verrebbero evitati. Non bisogna mai abbassare la soglia di guardia, come anche ogni impresa deve garantire ai propri dipendenti un luogo di lavoro sicuro e nel pieno rispetto delle normative. In questa direzione nessun datore dovrebbe mai neanche pensare alla questione sicurezza come un inutile costo”.

Altro argomento molto dibattuto è il lavoro nero. “A mio avviso è quella la grande piaga da guarire, non fermandosi, però, solo al settore degli edili. Occorre estendere capillarmente i controlli a tutti i comparti del mondo del lavoro, come ad esempio l’agricoltura, le industrie, le imprese manifatturiere, il settore commerciale, eccetera… Il lavoro nero va combattuto a tutto campo. Ben vengano sanzioni e provvedimenti a chi sbaglia e, nello stesso tempo, produce concorrenza sleale”.

Il presidente dell’Ance, però, pone attenzione anche alla crescente difficolta a reperire personale. Un problema a dimensione nazionale. “Dopo il bonus 110%, con il Pnrr e la ricostruzione post sisma il lavoro potenziale certamente non manca, di fatto però le pratiche restano ferme perché non ci sono le imprese. O meglio, le imprese ci sono, quelli che mancano sono gli operai. Io, ad esempio, da tre mesi sono in cerca di un’autista… La mancanza di manodopera riguarda tutta l’Italia. Stessa cosa per i subappaltatori che non trovano impiantisti, elettricisti, idraulici, eccetera”.

Tra le possibili cause Ezio Iervelli identifica anche il retaggio su una professione considerata, a torto, di “serie b” o addirittura di cui vergognarsi… “Mi sia consentita una provocazione: forse i prossimi corsi di formazione andrebbero allargati anche ai genitori… Vorrei ricordare, infatti, che è finito il tempo del muratore con il cappello fatto con il sacco del cemento e fissato con un chiodo… Quella scena da film in bianco e nero non c’è più. Oggi l’operaio ha la tuta, le scarpe e tutte le altre dotazioni necessarie per lavorare. Anche sul fronte dell’impegno fisico sono cambiate molte cose. Ad esempio la movimentazione dei carichi non può superare i 25 chilogrammi per gli uomini e 15 per le donne, inoltre negli anni c’è stata una grande meccanizzazione dei mezzi d’ausilio. Vogliamo parlare poi dell’aspetto economico? Abbiamo quasi tutti contratti a tempo indeterminato, di 40 ore lavorative settimanali, con retribuzioni nazionali molto più alte dei metalmeccanici. Quindi ritorniamo al problema iniziale: c’è bisogno di un cambio culturale. Per quello che concerne il mio incarico nell’Ance, non passa giorno che non faccia appelli affinché i giovani possano avvicinarsi a questo mondo. Le fornisco un dato significativo: come Ance abbiamo vinto due bandi regionali per la formazione di un totale di 30 operatori edili. Dopo l’inizio da 30 sono rimasti in 6… E 29 erano extracomunitari. Uno solo era italiano ma di genitori extracomunitari…”.

In attesa di riflettere e magari offrire delle risposte a un dato sicuramente preoccupante, il presidente Iervelli ci saluta con un proposito. “Sto valutando di proporre, come Ance, un’iniziativa che coinvolga l’universo femminile. Le donne, infatti, potrebbero ricoprire molti ruoli. Anzi, direi tutti”.

L'ECO di San Gabriele
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