Negli ultimi anni, anche grazie l’attività che svolgo e che mi porta a confrontarmi in diversi dibattiti televisivi con molti interlocutori, ho trovato spesso presente una pervicace posizione, tesa a denigrare i comportamenti dei nostri giovani in tema di lavoro e occupazione. A volte perché a ciò si crede in buona fede, frutto di una certa educazione o come credo da pregiudizi comuni. Ma spesso strumentalmente al fine di condurre battaglie politiche proprie che nulla hanno a che fare con la realtà. Infatti, sul tema lavoro i dati ufficiali dicono che negli ultimi 10 anni almeno 900 mila italiani, in prevalenza giovani, lasciano il nostro Paese e l’andamento continua con una media di 80 mila l’anno. Sono cifre spaventose, che peraltro non toccano solo valori sociologici, come un depauperamento della nostra popolazione, ma hanno impatti negativi su questioni squisitamente economiche. Si pensi alla perdita del nostro Pil che ne consegue, alle spese sostenute per l’acquisizione di professionalità che perdiamo e regaliamo ad altri Paesi, oppure alle mancate risorse contributive (per almeno 6-7 miliardi annui) per sostenere le pensioni al nostro Paese che invecchia sempre di più e che ha un sistema previdenziale a ripartizione, dove chi lavora ne sostiene il carico economico. Questi migranti sono per lo più giovani da 20 a 30 anni e solo un quarto di questi detiene una laurea.
Assistiamo, quindi, a una fuga presso altri Paesi di giovani, non solo per lavori assai qualificati, presso laboratori di ricerca scientifici e altro, ma anche per fare sguatteri, camerieri eccetera (da Londra a Sidney, passando per Berlino e Parigi). E nel contempo non c’è in Italia comunicazione in cui non ci si lamenti di non riuscire a coprire posti di lavoro nei settori del nostro Paese, quali quelli citati, criminalizzando la nostra gioventù sdraiata sul divano. O ancora, come nel caso della protesta affitti, per poter studiare. Giusta rivendicazione con valenza peraltro di carattere generale, perché questi giovani universitari non vogliono fare, come ben si sa, un comodissimo pendolarismo in treno. Sono tutte calunnie che dovrebbero fare indignare e che nascondono (tranne qualche raro caso) la verità, relativamente alle offerte di lavoro che si identificano non solo per un precariato insistente ma spesso sottopagato o addirittura in nero. O peggio per modificare leggi a sostegno di chi non ha reddito per mancanza di lavoro.
Dobbiamo dire basta a questa indecente campagna che, lo ribadiamo, non solo denigra i nostri figli e nipoti ma umilia il Paese intero, con tutte le conseguenze del caso. Allora facciamo di tutto per rintuzzare queste calunnie, intervenendo in tutti i nostri discorsi, in ogni luogo e laddove se ne presenti l’occasione. Ristabilire la verità e amare i nostri giovani deve diventare un “imperativo categorico”, così come prima del filosofo Kant ci insegnò, duemila anni fa, il “Figlio” di una “Signora palestinese”, nato a Betlemme…