BARUFFE CON POCO RISPETTO

Ha tenuto banco (molto più di quanto avrebbe forse meritato) il duello verbale, e verboso la sua parte, tra il tecnico dell’Inter, Roberto Mancini, e la conduttrice di Mediaset, Mikaela Calcagno (nella foto). Il diverbio ha fatto seguito a quello di poco precedente tra lo stesso Mancini e l’allenatore del Napoli, Maurizio Sarri, tra i quali erano corse parole offensive ai limiti della decenza. Con la conduttrice, Mancini se l’è presa non solo in quanto “colpevole” di fare domande, ma secondo l’intemerata del tecnico marchigiano di fare polemiche. La questione – non questa, ovviamente, ma quella del rapporto dialettico e comportamentale tra i protagonisti e gli interpreti di un evento agonistico – non è nuova: il grande interesse che circonda, quasi liquido amniotico, il calcio ha sostanzialmente modificato il rapporto tra gli uni e gli altri, costretti (consapevoli e consenzienti, sia ben chiaro, sia gli uni che gli altri) a rispondere a tamburo battente alle cosiddette esigenze mediatiche. E può succedere, come talvolta, o anche spesso, succede, che si perda l’aplomb in altri tempi e con altri tempi richiesto, auspicato, invocato, oggigiorno spesso inutilmente. Sul caso in questione, a difesa della conduttrice è intervenuto anche l’organismo di categoria, Ussi, mentre nei confronti di Mancini ci sono state reprimende (una giornata di squalifica) anche dagli organismi sportivi. L’episodio non può non suscitare ricordi d’antan, in chi scrive e forse anche in chi legge, oltre a modeste considerazioni personali. È acclarato che i contratti tra emittenti e società sportive prevedono le interviste “a caldo” (con buona pace non solo del lessico ma anche della scontata ovvietà di quasi tutte le dichiarazioni): perché allora le une e le altre non si adoperano più concretamente nel ricordare ai rispettivi “terminali” come stanno realmente le cose e ad agire di conseguenza?

 

L'ECO di San Gabriele
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