La possibilità di congelare il corpo alla morte per poi risvegliarsi può sembrare fantascienza, eppure ci si lavora già da 57 anni. Costo dell’operazione? Dai 200 mila dollari in su e nessuna garanzia…
Quando torna settembre il pensiero si avviluppa di reminiscenze scolastiche tra cui la melanconica poesia “I pastori”, di Gabriele d’Annunzio. La mente ripercorre i versi “… che vanno verso il mare… che verde è come i pascoli dei monti…”. Stavolta, arrivati a “monti” il pensiero è planato dall’Appenino abruzzese alle Alpi svizzere, posandosi a Rafz, paesino del Canton Zurigo. Lì, il medico tedesco Emil Kendziorra ha realizzato la European Biostasis Foundation e in un’anonima costruzione in cemento armato sta conducendo un esperimento dai più diversi interrogativi: la criogenizzazione di esseri umani, cioè l’ibernazione post mortem (non è il prima farlo, ma usa mezzi e tecniche da lui definite all’avanguardia). Se la criogenizzazione è possibile, ciò che lascia a dir poco perplessi è il “risveglio” tra qualche secolo. Verrebbe da dire “ma va là” e passare oltre. Tuttavia il fenomeno sta assumendo proporzioni interessanti sia sotto il profilo economico, sia dal punto di vista sociale. C’è gente che è già “parcheggiata” per il mondo e diverse centinaia di persone si sono prenotate per il futuro (soprattutto uomini di età media tra 25 e 45 anni, in particolare professionisti – scienziati, informatici, ingegneri!). Significa che c’è chi ci crede davvero, come alla Terra piatta, ai marziani a Roma, all’amatriciana con pancetta e parmigiano (ci vanno guanciale e pecorino!!!). Rafz – dove si troverebbero già 4 ibernati speranzosi – non è il solo centro in cui si compiono questi esperimenti, ma è il più recente, il più moderno e l’unico in Europa. Altre due strutture stanno negli Usa (Alcon e Cryonics) e in Russia (KrioRus). Tutte hanno lunghe liste d’attesa per accedervi. Nel frattempo, si sono costituite agenzie che offrono il servizio di trasporto, dal letto al frigo tutto compreso.
La possibilità di congelare il corpo alla morte per poi risvegliarsi può sembrare fantascienza, eppure ci si lavora già da 57 anni. Il primo “congelato” fu lo psicologo americano James Bedford: è in attesa dal 12 gennaio 1967 che trascorrano i 200-300 anni previsti dalla scienza per tornare a insegnare alla University of California. Glielo auguriamo di cuore, sempre che nel frattempo non ci siano guasti elettrici e che qualcuno si ricordi di aprire il frigo; soprattutto, che nel frattempo le possibilità di riuscita dell’esperimento, oggi ritenute “basse” da chi se ne occupa, diventino “altissime” e che lo riguardino. Il corpo di Bedford è conservato nelle strutture della Alcor Life Extension Foundation, a Scottsdale (Arizona). Già due anni prima di lui la possibilità di congelare il proprio corpo era stata offerta a Evan Cooper, un imprenditore che si definiva “il primo crio-attivista”, fondatore dell’Alcor. I primi candidati, però, morirono all’improvviso e per questo fu impossibile criopreservare i corpi. In questi decenni la tecnica è cambiata molto, a partire dalle sostanze chimiche usate per sostituire il sangue. Nel caso di Bedford è stato utilizzato il dimetilsolfossido, un composto dello zolfo, ora considerato fortemente tossico (quindi, si risveglierà avvelenato?). Il primo italiano che ha avuto accesso alla tecnica è Aldo Fusciardi (deceduto nel 2012). In tutti i casi si tratta di un atto di fiducia, perché le tecniche attuali non permettono di scongelare i corpi senza danneggiarli anche in modo irreparabile. Nonostante ciò, pare che oltre duemila persone abbiano già firmato il contratto per subire la procedura alla loro morte. Costo dell’operazione? Dai 200 mila dollari in su. Garanzie? Neanche uno straccetto.
La procedura di ibernazione inizia appena il cuore smette di battere e prima che sia dichiarata la morte cerebrale. Prima di portare il corpo a -196 gradi, la temperatura dell’azoto liquido, il sangue viene sostituito da una sostanza che protegge dalla principale controindicazione della tecnica, il congelamento dell’acqua nelle cellule. La conservazione avviene a testa in giù in cisterne che contengono azoto liquido. Sui loro siti le compagnie spiegano che è possibile congelare anche solo il cervello (a un costo minore). Viene consigliato di stipulare una polizza assicurativa sulla vita da minimo 30 dollari al mese, che coprirà il costo della crioconservazione al momento della morte.
Nell’ottobre del 2016 vi è stata addirittura una sentenza favorevole alla crioconservazione: un giudice dell’Alta corte britannica la dispose in favore di un’adolescente morta di tumore. A convincerlo – contro il parere negativo dei genitori – fu un biglietto in cui la ragazza spiegava: “Ho solo 14 anni e non voglio morire, ma so che lo farò. Penso che essere crioconservata mi dia la possibilità di essere curata e risvegliata, anche tra centinaia di anni. Non voglio essere sepolta sotto terra. Voglio vivere e vivere più a lungo e penso che in futuro potrebbero trovare una cura per il mio cancro e svegliarmi. Voglio avere questa possibilità”. Un messaggio struggente, scritto da un’adolescente amareggiata per il suo destino cinico contro il quale voleva comunque combattere; un messaggio di fiducia nella scienza. In casi come questo l’ironia fa un passo indietro per lasciare spazio alla riflessione: è davvero nelle nostre mani la sorte che ci aspetta? Se così non fosse, non sarebbe più sereno affidarsi alla Fede? Interrogativi che richiederebbero una profondità di pensiero che travalica i confini della semplice cronaca. Tuttavia, al di là di questo, resta il fatto che l’unica risposta data sia stato il “mercato” di un’attività che prende oggi (i soldi) e non garantisce un domani. Fra uno-due-tre secoli che ne sarà delle società che hanno incassato i soldi? E dei corpi ibernati? E di chi dovrebbe vigilare sull’intero processo? Soprattutto, ci si ritrova senza affetti e amicizie, in un mondo mai sognato prima e in totale disagio, avendo una cultura arretrata di secoli. Tornando all’adolescente inglese: la risposta migliore avrebbe dovuto contenere una spiegazione meno materialistica e più umana o religiosa. Forse ciò avrebbe cambiato le sue aspirazioni, evitando che venissero monetizzate le sofferenze, le paure e il desiderio di vita di una persona fragile alle prese con un male incurabile.
Torniamo a… settembre: speriamo che tra i pronipoti di quei pastori ce ne sia uno che, diventato scienziato, possa contribuire a elaborare una risposta alla domanda che ci assilla da quando abbiamo scoperto questa corsa alla criogenizzazione di esseri umani: ma l’anima – quella entità astratta eppure fondamentale – che fine farà? Sarà anch’essa messa in frigo e scongelata all’occorrenza? Ri-teniamo che una conversazione sull’anima e sullo spirito avrebbe giovato di più a quella giovane, morta con la speranza (secondo noi mal riposta) nella scienza. Forse avrebbe trovato più giovamento in un Aldilà scientificamente non provato eppure certamente più consono agli aspetti legati a quella entità che differenzia gli uomini da alcune bestie: l’anima.