ERA IL VEZZEGGIATIVO UTILIZZATO AFFETTUOSAMENTE SIA IN FAMIGLIA CHE IN SOCIETÀ. L’AVEVANO CHIAMATO FRANCESCO PER RINNOVARE IL NOME DEL NONNO PATERNO, DECEDUTO POCHI GIORNI PRIMA TERNI E IN OSSEQUIO AL SANTO D’ASSISI
Come già osservato nel precedente servizio, il papà di san Gabriele, Sante Possenti, ha ricoperto ruoli di grande responsabilità nel Regno Pontificio. È stato Governatore in diverse città, concludendo la sua professione a Spoleto in qualità di assessore. Uomo integerrimo, meritandosi la stima di tutti per la sua onestà.
Gli spostamenti cui era soggetto a motivo del suo incarico, venivano decisi da Roma. Raramente lui avanzava richieste di particolari località. Ma lo faceva solo per avere uno stipendio più soddisfacente per sopperire alle necessità della numerosa famiglia.
Ad Assisi vi andò il 14 gennaio 1837 e, grazie al suo incarico di Governatore, prese alloggio con la famiglia nell’antico Palazzo Comunale. Sante aveva 47 anni e la consorte Agnese, 36. Rimasero nella città del “Poverello d’Assisi” fino al novembre 1841. Durante questi anni venne alla luce il “Santo del Sorriso”, destinato a irradiare con la sua santità il conventino di Isola del Gran Sasso nella storica “Valle Siciliana” d’Abruzzo.
La data di nascita, del futuro san Gabriele dell’Addolorata, che tutti conosciamo, è il primo marzo 1838. Lui è l’undicesimo di tredici figli. A quei tempi, era normale vedere famiglie numerose, contrastando in questo modo l’alta percentuale di mortalità infantile. Di certo, una nidiata così ricca di vita, cozza non poco con la cultura odierna, che va adeguandosi purtroppo a una carenza di natalità preoccupante. In passato, invece, quando nasceva un bambino, c’era gioia in casa. La prima cosa a cui pensavano i genitori era il Battesimo.
Considerando i continui spostamenti del Governatore Sante Possenti, possiamo ritenere provvidenziale che lui e la sua famiglia si trovassero ad Assisi, quando venne alla luce san Gabriele. Per di più, il Palazzo Comunale si trova nelle vicinanze del luogo dove nacque san Francesco, oggi patrono d’Italia.
Il battesimo del neonato Possenti viene amministrato la sera dello stesso giorno della nascita, nella cattedrale di san Rufino. Il Fonte battesimale, costituito da una colonna di pietra scavata, è situato sulla destra dopo l’ingresso. Lì, è stato battezzato l’undicesimo figlio del Governatore. L’hanno chiamato Francesco, sia per rinnovare il nome del nonno paterno, da pochi giorni deceduto a Terni; e sia in ossequio al santo d’Assisi. Quel Battistero ha acquisito nel corso dei secoli una importanza unica, perché in esso hanno ricevuto il battesimo tre celebri santi: san Francesco, santa Chiara e san Gabriele dell’Addolorata.
D’ora in poi, fino al giorno della vestizione religiosa a Morrovalle (MC) in cui assume il nome di confratel Gabriele, lo chiameremo Checchino, vezzeggiativo di Francesco, con cui veniva chiamato affettuosamente sia in famiglia che in società.
La mamma Agnese che tanto amava il suo bambino, non aveva latte per nutrirlo. Insieme al marito Sante, decisero di affidarlo a una balia di nome Teresa Batori, che abitava a Petrignano, una contrada a poca distanza da Assisi. La balia aveva una bimba nata qualche mese prima di Checchino. Per cui accettò volentieri di allattare i due bimbi come fossero gemellini. Spesso i genitori andavano a trovare il figlioletto che cresceva florido e vispo. Dopo circa un anno venne riportato in famiglia, dove fu accolto con gioia dai fratellini.
Agnese e Sante, genitori esemplari e profondamente religiosi, si prodigavano mirabilmente nell’educazione dei figli sia sotto il profilo della fede che della vita sociale. La madre, coadiuvata dalle figlie più grandi, controllava attentamente le faccende di casa. Il marito pur assolvendo con serietà e dedizione la sua professione pubblica, non faceva mai mancare il suo apporto paterno e amorevole nell’inculcare principi etici e comportamentali ai figli.
A tal proposito, gli calzano a pennello due aneddoti rivelati al direttore spirituale Norberto Cassinelli dal suo discepolo (il futuro san Gabriele). Mi piace trascriverli con le parole del teste: “Un giorno mi disse confratel Gabriele che il padre era solito alzarsi di buon mattino, e prima di uscire dalla camera, era solito impiegare un’ora nell’orazione e nella preghiera, e che se in tal tempo alcuno avesse domandato di parlargli, non lo permetteva all’udienza finché non avesse terminate le sue pratiche religiose. Finite queste si portava ad ascoltare la santa messa, e mi pare, che con sé voleva condurre anche quelli dei figli che non erano impediti. Finita la messa si portava in ufficio. Mi disse anche che a ventidue anni suo padre era già Governatore di Urbania (Città delle Marche in provincia di Pesaro-Urbino)”.
Subito dopo il precedente episodio, senza dubbio edificante, padre Norberto ne riferisce un altro non meno efficace. Lo espongo con le sue stesse parole: “Confratel Gabriele era già grande e il padre era assessore a Spoleto. Un giorno comparì alla mensa un piatto di pesce squisito. Prima che fosse servito ad alcuno, l’assessore domandò in qual modo quel pesce fosse venuto in casa; e siccome nessuno sapeva rispondere, fece chiamare il cuoco al quale fece la medesima domanda: rispose che l’aveva portato come dono tal dei tali, facendo capire l’identità. “Nessuno tocchi il pesce – ingiunse il signor assessore – ma tutto si dia ai poveri. Non sapete che il donatore ha una causa in pendenza? E tutto ai poveri dovette darsi”.