Dal pretorio di Pilato a Roma

La Scala Santa, situata a Roma nel santuario pontificio, secondo un’antica tradizione cristiana con i suoi 28 gradini è quella salita da Gesù Cristo, per presentarsi a Pilato, prima della condanna a morte

Tra i luoghi sacri di Roma, ce n’è uno che ha un fascino particolare: la Scala Santa, custodita nel santuario pontificio, presso la basilica di San Giovanni in Laterano. Da secoli, i pellegrini che vanno alla Città eterna, non tralasciano mai di visitarla, perché rappresenta un anello di congiunzione con il Pretorio di Pilato a Gerusalemme. La Scala Santa, secondo una consolidata tradizione, è la stessa calcata da Gesù per comparire davanti a Pilato, prima di essere condannato alla morte di croce.

È una scalinata di 28 gradini in marmo bianco d’oriente. Due volte Gesù, in quel “Venerdì Santo”, è salito e sceso su quei gradini. Consideriamo la risalita fatta dopo la flagellazione e la coronazione di spine. Il suo corpo, piagato e insanguinato, ha sicuramente lasciato tracce di sangue sui gradini. Come mai quella “scalinata” è finita a Roma?

Eusebio di Cesarea (265-340), detto “il padre della storia ecclesiastica”, scrive che “il viaggio ad loca sancta di Elena, madre dell’imperatore Costantino, avvenne quando lei era in età avanzata”. L’imperatrice Elena, nata nel 250 circa da genitori pagani di bassa condizione sociale, a Drepamin in Bitinia (attuale Turchia), si convertì al cristianesimo in età adulta. Da allora, nutrì un forte desiderio di andare in Terra Santa. Questo sogno poté realizzarlo solo negli ultimi anni di vita.

Lo storico di Cesarea, riferisce “che Elena percorse tutto l’Oriente con la magnificenza della sua dignità imperiale”, elargendo le sue risorse ai poveri e agli oppressi di ogni città, grazie al ruolo che rivestiva.

In quel tempo dominava il paganesimo. L’imperatore Adriano (117-138) ha tentato di annientare la religione cristiana. Lo storico Rufino scrive: “volle cancellare il luogo della Redenzione… Fece costruire due templi, uno a Giove sul Santo Sepolcro e uno a Venere sul Golgota”. Il monte Calvario e il Sepolcro furono ricoperti di terra. Qui, viene in mente il detto: “Il Diavolo fa la pentola ma non il coperchio”. Al riguardo, lo storico Eusebio, alludendo ad Adriano fa questo commento: “Insensato! Credeva di nasconderli al genere umano! Non si accorgeva che, volendo far dimenticare i luoghi santi ne fissava irrevocabilmente il punto esatto”.

Quando Elena arrivò a Gerusalemme vide i templi pagani eretti sopra il Santo Sepolcro e sopra la buca dove era stata piantata la croce. Sant’Ambrogio ci offre una stupenda descrizione della fede dell’imperatrice: “Elena si recò sul Golgota, i soldati videro quell’anziana donna, aggirarsi e inginocchiarsi tra le macerie. Ecco il luogo della battaglia: dov’è la vittoria? disse Elena. “Io sono sul trono e la croce del Signore nella polvere? Io sono in mezzo all’oro e il trionfo di Cristo tra le rovine? Vedo cosa hai fatto, o diavolo, perché fosse seppellita la spada che ti ha annientato”. Scrive Ambrogio: “Elena ricevette dallo Spirito Santo l’ispirazione di cercare il legno della croce”. Così fa scavare il terreno e “trova i patiboli che le macerie avevano coperto”.

Encomiabile fu la tenacia con cui Elena si mise a ricercare tante reliquie della Terra Santa. Faccio un elenco delle principali reliquie recuperate: la croce di Cristo, un chiodo della crocifissione, la Sacra Lancia, la mangiatoia di Betlemme, le tre porte del Palazzo di Pilato, la Scala Santa, i corpi dei Re Magi, il Titolo della condanna.

Molti di questi oggetti sono conservati diligentemente nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, a Roma, costruita da Costantino sul palatium Sessorianum che divenne residenza di Elena.

Delle suddette reliquie, quella su cui vogliamo soffermarci di più è la Scala Santa. Diverse cose sono state esposte in precedenza. Ma vale la pena inserire altri dettagli.

Nel 326, l’imperatrice fece trasportare a Roma dal pretorio di Pilato la Scala, salita da Gesù il giorno della sua condanna a morte. Fu donata a papa Silvestro I, che provvide a collocarla nel Patriarchium, l’antica residenza papale in san Giovanni in Laterano. Restò lì fino al pontificato di Sisto V. Questi, nel 1589, volle onorare la insigne reliquia con un santuario, a poca distanza dal Laterano. Assegnò l’incarico all’architetto Domenico Fontana, il quale realizzò il nuovo edificio in quattro rampe di scale, ponendo al centro la Scala Santa.

Pio IX, il pontefice del “Dogma dell’Immacolata”, prese molto a cuore il santuario, ne curò i restauri e fece costruire l’attiguo convento che il 24 febbraio 1853 affidò ai passionisti.

La Scala Santa, si sale solo in ginocchio, pregando e meditando sulla Passione del Signore. Raggiunto l’ultimo gradino, il pellegrino scorge davanti a sé il Sancta Sanctorum, luogo di profondo misticismo. Nei secoli i pontefici hanno concesso numerose indulgenze a chi sale la Scala Santa.

Ultimamente, si è proceduto a un restauro “dai Musei Vaticani in collaborazione con i padri passionisti” di tutto il complesso del santuario. A noi interessa quello eseguito alla Scala Santa dal 2018 al 2020 e in questa direzione segnaliamo due chicche. La prima: è stato osservato che “sul secondo, sull’undicesimo e sull’ultimo gradino sono presenti degli oblò sotto cui si intravvedono delle croci di ottone e marmo. Queste croci confermano un’antica tradizione secondo la quale alcuni gradini siano stati macchiati dal Sangue di Cristo”; la seconda: il Sancta Sanctorum, detto così “perché vi si venera una antichissima icona di Cristo Salvatore denominata Acheropita Lateranense, che si vuole sia stata dipinta da san Luca con l’aiuto di un angelo (da qui acheropita, cioè “non fatta da mano d’uomo”).

I passionisti sono orgogliosi di custodire il santuario della Scala Santa, perché richiama il mistero della Passione, nucleo del loro carisma.

L'ECO di San Gabriele
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