Pare sia stato sant’Agostino il primo a intuire la funzione terapeutica del raccontarsi, fatta propria, in seguito, dalla psicanalisi. Quale psicologo, del resto, non ha mai dato ai suoi pazienti il compito di scrivere un diario? Agostino configurò il suo libro come una forma di confessione (Le Confessioni, appunto). Un termine che deriva dal salmo 31, dove confessione (dal latino confiteor), significa riconoscere, guardare ad una cosa per ciò che è veramente: Dio come Dio, l’uomo come uomo, il peccato come peccato, la misericordia infinita di Dio e la nostra miseria.
Però, attenzione. Agostino ripercorre la sua vita non per il compiacimento di raccontarsi, come faranno altri, ma allo scopo di individuare le motivazioni profonde del suo vissuto. E lo fa di fronte a Dio, muovendosi su tre poli: l’ammissione della nostra pochezza, la gratitudine al Signore per la sua bontà, la dilatazione del cuore verso le persone che hanno popolato la nostra storia. Perché, come afferma Paolo: “In ogni cosa rendete grazie” (1 Ts 5, 18). Precisando che “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” (Rm 8, 28). “Etiam peccata”, aggiunge Agostino. Anche i peccati.
Oggi, alcuni praticano un tipo di orazione detta “Preghiera della memoria”, consistente nel ripercorrere la propria esistenza alla presenza di Dio, ringraziando il Signore per quanto ha operato in noi, giorno dopo giorno. Si tratta di una preghiera carica di potere liberatorio, paragonabile alla visione panoramica della valle sottostante di cui può godere chi arriva in vetta.
Che cosa meravigliosa veder scorrere i fotogrammi dell’esistenza, sotto l’occhio di Dio. Partendo dai primi barlumi mentali dell’infanzia, per giungere alla giovinezza, all’età del “progetto”, quando la domanda fondamentale è: “Chi sono, cosa voglio essere?”. Per approdare, poi, all’età adulta o della “realizzazione”, quella in cui la società, consegnandoci i ruoli sociali, permette di misurarci con le nostre capacità, a prezzo di faticosi processi di adattamento. Fino al grande bilancio della vecchiaia, o età della “consapevolezza”, in cui si ha comprensione globale di sé, basata su un’altra domanda di fondo: “Che senso ha avuto la mia vita?”. Ammettiamolo. Non sempre la risposta approda a un rassicurante sentimento di significatività. Guardando al passato, dobbiamo però riconoscere che Dio ci ha sempre aiutato, passo dopo passo. Camminando con noi, non lasciando mai la nostra mano nelle cadute, in modo da consentirci di rialzarci velocemente.
E anche adesso che, nella preghiera di memoria, esaminiamo, con Lui, i passaggi salienti della nostra vita, il Signore ci comunica una luce di consapevolezza e di conforto. Ci rende certi che nulla è avvenuto al di fuori della sua volontà o permissione. Perché anche un battito di ciglio è regolato dalla sua sapienza. E perché siamo tanto imperfetti da imparare spesso più grazie agli errori che alle vittorie morali. Ma, proprio le angosce della terra servono a confezionare il luminoso corredo della vita eterna. Quando ci uniremo anche noi all’inno di lode: “Canterò per sempre l’amore del Signore”.