IA e umani: a che punto siamo tra lavoro ed educazione?

Che cosa vi viene in mente se vi dico IA? La chatbot di ChatGPT in cui fare domande? Oppure qualche scena apocalittica in cui le intelligenze da artificiali diventano senzienti e autonome, e prendono il controllo dell’umano? O semplicemente che come umani siamo tanto “svogliati” (intelligenti? sconsiderati?) che delegheremo tutto il lavoro e noi “moriremo di noia” (o “moriremo a causa delle macchine”)?

Sembra che per adesso non ci sia nessun pericolo imminente! Gli analisti che si sono concentrati sulla “capacità di linguaggio” degli LLM (Large Language Model, ossia simulare il linguaggio umano) dicono che i lavori (seri) fatti con ChatGPT e affini, riguardano maggiormente i programmatori informatici e gli addetti alla stesura di documenti tecnici o legati a processi creativi.

Le IA “non possono essere lasciate sole”, non sono ancora in grado di eseguire lunghi processi lavorativi. In generale però l’interessamento da parte delle aziende aumenta in maniera considerevole insieme ai capitali investiti.

È chiaro che ci sono infinite potenzialità perché alle intelligenze artificiali si può chiedere “molto”: sicuramente ciò che già chiedevamo al motore di ricerca, ma adesso anche tradurre un testo, fare un riassunto, elaborare una locandina grafica. E ancora, produrre stralci di programmazione per un sito internet, eccetera. Infine, c’è anche la possibilità di generare video, ma qui il rischio, già presente delle fake news, potrebbe evolvere in quello di una fake reality.

C’è un campo, quello dell’educazione, con particolare riferimento alle giovani generazioni, che è doveroso approfondire perché a grandi, grandissime potenzialità (tecnologiche ma soprattutto umane), sono associati rischi visibili. La riflessione della Chiesa in merito è con il documento Antiqua et Nova di gennaio 2025, ai numeri 77-84.

Riflettiamo: chi è giovane è tentato dal facile entusiasmo del “tutto e subito”, dal “copia e incolla” di contenuti generati da IA a lui “straniere”, di cui non conosce il funzionamento, le fonti, e gli scopi (secondo il business che vi sta dietro). L’IA rischia di essere invocata come il deus ex machina per noiosi compiti che l’umano non è più disposto a fare. Forse bisognerà rivedere la modalità di valutazione dell’impegno scolastico e dell’acquisizione delle “famose competenze”. Questione complessa, che qui è possibile solo accennare.

Valutiamo i rischi: il primo inerente alla capacità mnemonica umana. Se tutti, democraticamente, possono sapere “tutto” perché hanno uno strumento potentissimo (l’IA) a cui chiedere, si rischia di non saper più quale è il “peso specifico” proprio di ogni informazione, e dunque quali considerare vitali, degne di essere ritenute, pensate e approfondite.

Secondo, viene “toccata” la capacità di giudizio critico. Affidarsi acriticamente ai risultati della macchina in merito a problemi pratici, ma soprattutto morali, senza fare prima la “fatica umana” di elaborare un giudizio quanto più verosimile sulle entità materiali e spirituali coinvolte, equivale a non prendere in seria considerazione le eventuali “pazzie” della macchina, sempre fallibile perché progettata dall’uomo, o semplicemente i limiti intrinseci di un artefatto.

Infine: è sufficiente parlare delle IA come “strumento”? Personalmente ritengo la sfida più grande: stiamo costruendo un nuovo ecosistema mondiale, in cui entra sempre più l’infosfera, per dirla alla maniera di Floridi, in cui sarà normale “farsi aiutare” da agenti informatici. Dovremo capire in maniera variegata quali compiti possiamo delegare, quali può essere utile integrare (come già stiamo facendo), e quali invece dovranno rimanere sempre e solo umani, perché solo l’umano in definitiva ha quella sapienza, speriamo illuminata da Dio, per poter discernere ogni cosa che il futuro riserva.

L'ECO di San Gabriele
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