Alla buon’ora, Jeeves!

 di P. G. Wodehouse,
Traduzione di Beatrice Masini, Sellerio – pp. 392, euro 16

Per decenni la fortuna di Wodehouse è stata inquinata dalle accuse di collaborazionismo, nate dopo aver – quantomeno ingenuamente – accettato di trasmettere in radio alcuni suoi dialoghi comici dalla Berlino nazista. Riabilitato “formalmente” solo nel 1975 con la nomina di Cavaliere dell’Impero Britannico, oggi è riconosciuto come uno dei più importanti umoristi del Novecento; senza dubbio, uno dei più prolifici. Alla buon’ora, Jeeves!, nuovamente edito da Sellerio in una bellissima traduzione di Beatrice Masini, è solo uno dei suoi circa cento lavori. Appartiene al filone più noto della sua produzione, quello che segue le vicende di Bertram (Bertie) Wooster – ricchissimo e svogliato giovin signore – e il suo impeccabile valletto: Jeeves, per l’appunto. La trama, su cui non sarà necessario dilungarsi, ruota attorno ai capricci amorosi e culinari di una società sospesa nel tempo, protetta in una bolla di nobiltà lontana. L’intento, si capisce, è privo di qualsiasi pretesa edificante. Questo gioiello è piuttosto un concentrato di umorismo verbale; il linguaggio sofisticato ma non supponente, i personaggi iperbolici ma non caricaturali. Sfogliata l’ultima pagina si ha la sensazione di aver trascorso un paio d’ore in un salotto elegante, al riparo da ogni preoccupazione reale; in breve, di esser stati trasportati altrove. Uno dei compiti più nobili della letteratura.

L'ECO di San Gabriele
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