Pizze di marca

Farciture da gourmet raccontano le peculiarità provinciali

Diciamoci la verità: di mangiarci una pizza se ne sente di tanto in tanto il bisogno. Per il suo gusto e per gli ingredienti che ne fanno una miscela appetitosa. Complice anche quella scia profumata che si lascia dietro dopo essere uscita dal forno e che ti finisce dentro le narici da convincerti della sua bontà e da attirarti come un canto di sirena. Se poi la si spalma con farciture da gourmet state certi che superare la prova del palato è un gioco da ragazzi. Impegnativo è poi il fatto di riuscire a mantenere inalterato nel tempo il suo fascino gastronomico visto che, come dicono i pizzaioli, si tratta di un “pasto democratico” nel senso che il prodotto non viene imposto ma scelto. Le Marche, non potendo vantare una tradizione antica in tema di pizza come Napoli e dintorni, hanno puntato, dopo consulti e prove d’autore, sulla pizza gourmet: questa variante, con ingredienti molto ricercati, è sempre più in voga e spopola nelle nuove pizzerie. Essa, come la pizza Margherita, è un’invenzione tutta italiana e in particolare di Simone Padoan, a cui va dato il merito di averla elevata da “piatto povero” a “piatto di qualità”.

Certi di possedere ingredienti irripetibili in altri contesti regionali, i marchigiani hanno attinto da madre natura le loro peculiarità da rendere fama alle cinque province in abbinamento ai vini doc e docg e alle birre artigianali e agricole. “Del resto – si sostiene alla Camera di commercio regionale che, nell’operazione, riveste il ruolo di regista – una terra al plurale, che nella sua stessa lingua ha sonorità e radici multiple, non poteva estraniarsi, per quanto riguarda sapori e tradizioni di gusto, dal raccontare ancora una volta le diverse storie delle Marche”. A rimorchio è nata la rassegna “Pizze di Marca” fatta di degustazioni ed abbinamenti riportati con attenzione e passione. In primavera ed autunno si scelgono dei locali dove fare assaporare ai buongustai del comparto quella che un tempo andava sotto il nome di focaccia. La scelta di campo è avvenuta senza contrapposizioni campanilistiche, ma facendo propria l’affermazione del saggista Jacques Attali per il quale “se c’è un piatto universale, quello non è l’hamburger bensì la pizza, perché si limita a una base comune – l’impasto – sul quale ciascuno può disporre, organizzare ed esprimere la sua differenza”.

Per la cronaca “Pizze di Marca” è l’evoluzione di “Pizze terre di Rossini e Raffaello” che ha consentito di allargare il derby dei sapori dalla provincia di Pesaro e Urbino all’intera regione. Pertanto ogni territorio ha l’opportunità di mettere nel piatto qualcosa di unico nel solco della stagionalità facendo del prodotto culinario un momento di esperienza della composita realtà regionale. Grazie all’iniziativa sono state finora sperimentate e messe in carta 68 tipologie di pizze, 126 prodotti tipici, stappate migliaia di bottiglie tra vini e birre e portate a tavola 25 mila persone. Con l’obbligo, per i cultori della ristorazione, di rispettare i requisiti di prossimità e qualità degli ingredienti pena il cartellino rosso. Tra quelli che connotano le “Pizze di Marca”: i paccasassi del Conero, le olive ascolane, il salame di Fabriano, le alici dell’Adriatico, la cicerchia di Serra de’ Conti, la porchetta, le cozze di Portonovo, lo stoccafisso all’anconetana, i tartufi, il ciauscolo del maceratese, la cipolla rossa di Pedaso, il prosciutto di Carpegna, il carciofo di Montelupone, la coppa di testa, farine, formaggi ed olio della zona. Presenti sulle creazioni anche le eccellenze dei luoghi “Presidi Slow Food” che parlano di tradizioni.

L'ECO di San Gabriele
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