Tra i quattro racconti evangelici della Passione, quello di Giovanni è considerato dagli studiosi il più accurato dal punto di vista dei fatti, se si adotta la prospettiva di un processo che avrebbe formato la trama di tutta l’azione pubblica di Gesù. Giovanni si presenta come un testimone oculare dei fatti che racconta. La sua lingua e il suo stile denotano un’origine semitica; è perfettamente al corrente dei costumi giudaici e della topografia palestinese al tempo di Cristo. Le tradizioni giovannee si costituirono in una data molto antica, anche se il Vangelo fu redatto ed edito più tardi, probabilmente dai discepoli di Giovanni. Nel quarto Vangelo, simbolismo e storia non sono opposti: il simbolismo sgorga dalla storia, vi si radica e ne esprime il senso.
Secondo Giovanni, il processo giudaico avvenne lungo tutto il ministero pubblico di Gesù, con un conflitto continuo tra Gesù e i Giudei. Le fasi essenziali del processo si ritrovano nella discussione del capitolo 10, apice di questi scontri. La condanna è anticipata (11,47-53) quando i membri del sinedrio, incitati da Caifa, decidono di uccidere Gesù. Gli elementi del lungo processo si ritrovano anche nei sinottici, ma distribuiti diversamente, secondo diverse pedagogie adattate a diversi uditori.
I quattro Vangeli convergono per l’essenziale sullo svolgimento della Passione. Secondo Giovanni, l’azione pubblica di Gesù si apre con una prima salita a Gerusalemme per la Pasqua, accompagnata da un gesto polemico: l’azione contro i mercanti del tempio, seguita da un dialogo breve e intenso tra Gesù e i Giudei. In Giovanni, il termine “Giudei” spesso designa i dirigenti della città santa. Ad esempio, in Gv 18,14: “Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: Conviene che muoia un solo uomo per il popolo”. Questa frase fu detta durante una seduta del sinedrio, quindi il termine “Giudei” designa le autorità legali.
Dopo l’azione contro i mercanti del tempio, le autorità che interpellano Gesù (Gv 2,18) sono quelle del tempio, consapevoli di quanto accaduto: Gesù ha cacciato alcuni commercianti del sagrato, che sono materialmente necessari al ciclo quotidiano dei sacrifici. Si immagina il potente Anna, “numero due” del tempio e cognato di Caifa, o uno dei suoi collaboratori sacerdoti sorveglianti, che convocano questo giovane maestro. L’azione di Gesù dovette essere meno clamorosa di quanto dice Giovanni, poiché se ci fosse stata l’espulsione di tutti i mercanti e cambiavalute, la guarnigione romana della Torre Antonia avrebbe preso provvedimenti severi. Invece, le autorità si limitano a interrogare Gesù, interessate a sapere nel nome di chi agisce così.
Per i sacerdoti o dottori della Legge, il “perché” è importante quanto l’atto in sé. La risposta di Gesù suona loro assurda: “In quarantasei anni fu costruito questo santuario, e tu in tre giorni lo farai risorgere?” (Gv 2,20). Il senso del detto di Gesù apparirà in seguito solo ai suoi discepoli. Per ora, le autorità di Gerusalemme vi vedono una folle insolenza.