Ospite di questa rubrica, un competente e studioso molto esperto nell’universo del Non Profit, che recentemente ha pubblicato una collana di quattro volumi: Riforma del terzo Settore. Codice ragionato ed essenziale edito da Editoriale Scientifica. Un’opera completa, un manuale che va oltre i tanti codici e codicilli, molto utile per le associazioni che operano in questo ambito.
L’avvocato Giuseppe Brandi è un grande esperto in legislazione degli enti Non Profit. Formatore in materie giuridiche per il Terzo Settore, nonché ideatore, organizzatore – in collaborazione con pubbliche amministrazioni e università – e relatore di numerosi convegni sul tema. È anche revisore legale dei conti e consulente strategico di numerosi enti e fondazioni ecclesiali (vaticane e diocesane) e laicali.
Avvocato Brandi, come giudica quest’ultima riforma?
Giudico senz’altro positiva l’opera di riorganizzazione normativa avviata dal legislatore del 2016 con la delega al Governo per la riforma del Terzo Settore, dell’Impresa sociale e della disciplina del Servizio civile universale. La legislazione pregressa sul Terzo Settore, infatti, era frutto di interventi normativi spesso disomogenei tra loro che si sono succeduti nel corso del tempo, e che esigevano finalmente una revisione organica in modo da giungere ad un diritto unitario del Terzo Settore. Ma se l’obiettivo di operare un riordino complessivo e organico della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti, compresa la disciplina tributaria applicabile agli enti del terzo settore, è stato raggiunto, purtroppo ci sono una molteplicità di enti non profit, soprattutto quelli di minore dimensione, che ne escono penalizzati, perché non sono adeguatamente strutturati per far fronte a tutti gli adempimenti introdotti dalla nuova normativa. Infatti, se da un lato il legislatore riconosce molteplici agevolazioni finanziarie e fiscali, dall’altro introduce importanti vincoli di carattere statutario e contabile e maggiori controlli, interni ed esterni.
Quali contromisure possono adottare le piccole organizzazioni?
Tali organismi, ma anche quelli di maggior dimensione, in primis, devono aprirsi alle relazioni con gli altri enti del Terzo Settore, dando più valore alla funzione delle “reti”. La rete, oltre a offrire il vantaggio di condividere risorse, mezzi, conoscenze e competenze (penso alle varie professionalità da coinvolgere, dalla gestione, alla contabilità, alla progettazione, eccetera), è in grado di accompagnare le strutture associate in tutte le necessità, sia gestionali che sociali, e di partecipare a bandi per conto e nell’interesse dei propri associati. In secondo luogo, devono imparare a sfruttare le molteplici opportunità offerte dalla riforma anche in termini di interazioni tra pubblica amministrazione e società civile, guardando agli strumenti della co-programmazione e della co-progettazione, ma anche alle partnership tra Stato, privato sociale e imprese. Una relazione di scambio che sarà utile incentivare con una leva fiscale più flessibile e politiche pubbliche, anche locali, mirate, per investire sempre più nell’istruzione e nella formazione, nell’arte e nella cultura, nella ricerca scientifica, nell’assistenza alle categorie sociali deboli e nella sanità, e aprire nuovi orizzonti a chi opera sul territorio e per il territorio.
In questo processo di riforma, quale può essere il ruolo del mondo ecclesiastico?
Le Confessioni religiose rappresentano una parte molto rilevante, anche numericamente, del Terzo Settore, ma anch’esse risultano indebolite, non solo dalla crisi economica che stiamo attraversando in questi anni con l’inevitabile riduzione dell’8×1000, ma anche dalla carenza di vocazioni, con conseguente diminuzione del numero di religiose e religiosi aderenti al carisma impegnati nel sociale. Perciò credo che in questo momento storico per l’universo parrocchiale, diocesano, della vita consacrata, eccetera, aprire le porte al Terzo Settore significhi anche aprirsi a nuove risorse utili anche a valorizzare l’ingente patrimonio immobiliare, dandogli nuova vita (oltre a quella spirituale sempre necessaria), restituendolo al territorio e generando anche un impatto dal punto di vista occupazionale, necessario a far fronte all’impressionante contrazione lavorativa degli ultimi tempi. Non senza ovviamente garanzie sulla sua conservazione. Anzi, ciò significherebbe salvaguardarlo da un lento ma progressivo e inesorabile deterioramento. Se abbandonato tale patrimonio rischia di diventare una zavorra per la sua vetustà appunto, per una sempre più difficile e costosa manutenzione.