Su Netflix si moltiplicano le pellicole, o meglio gli streaming, e siamo adesso nel tempo in cui si riflette su AI, robot e mondo che verrà, perché abbiamo bisogno di immaginare come sarà il futuro, per farlo essere come vogliamo, ma anche per evitare le storture che non desideriamo.
Atlas, titolo di una “piccola gemma fantascientifica” come recensisce Wired il 24 maggio sul suo sito online, è una pellicola insolita, che non ti aspetti e che ti sorprende, perché riesce a dire tanto e in maniera anche piacevole tra eventi che rischiano la fine del mondo, drammi esistenziali umani e una sana ironia nei dialoghi tra donna e macchina, per alleggerire la tensione.
L’originalità della trama è pensare a dei terroristi AI. Harlan, il primo della specie robotica che diventa senziente, riprogramma altri robot che erano asserviti per i lavori domestici e li fa diventare combattenti. Circa 3 milioni di persone muoiono a causa del conflitto iniziato dai robot, ma questo viene sedato dalle truppe dell’ICN, una coalizione internazionale armata che sconfigge l’insurrezione.
Il capo dei ribelli “automatici” riesce però a fuggire verso un pianeta lontano, ma promette di tornare per portare a compimento il suo progetto di epurazione del genere umano.
Atlas è il nome della lunatica e intrattabile protagonista, interpretata da Jennifer Lopez che come bambina cresce insieme ad Harlan (una sorta di fratello maggiore tecnologico), progettato da sua mamma come aiuto per l’umanità. Il padre di Atlas, un amante delle escursioni e della natura, abbandona il nucleo familiare per le molte attività di ricerca della madre che non dedica la giusta attenzione alla coppia.
Accade un evento tragico che traumatizza Atlas e la fa diventare un’antieroina: Harlan con un sotterfugio riesce a craccare il proprio codice sorgente e si riprogramma in modo da non dover sottostare al comando degli umani. Così avviene il “deicidio”: attraverso l’interfaccia neurale con cui era comandato, Harlan prende possesso dei centri nervosi della mamma di Atlas e la costringe a spararsi sotto agli occhi della bambina.
Il film, di cui si consiglia la visione, sia per passare una serata in relax, sia per avviare una proficua riflessione su che rapporto vogliamo tenere con le macchine, prosegue con la ricerca del criminale galattico attraverso delle armature chiamate ARC9 in cui i soldati dell’ICN, alloggiati in un potentissimo esoscheletro, interagiscono attraverso una sincronizzazione cerebrale con l’IA che governa la strumentazione.
Chi è esperto di fantascienza troverà molte “citazioni”, da Pacific Rim per l’interazione uomo-jaeager, ad Ironman 1 in cui dopo le caverne ci si lascia ispirare per un upgrade dell’armatura, ma c’è anche un po’ di Terminator con il fascino della CPU ribelle, e un po’ di Avatar per i mondi colorati che sono rappresentati.
Per avviare una riflessione: sembra che il film voglia andare oltre la classica prospettiva binaria del pro o contro le IA, cioè l’asservimento delle macchine ai lavori dell’uomo per sostituirlo nelle sue fatiche, oppure alla condanna delle IA per lasciare il mondo così com’è agli umani e proteggerne la creatività da indebiti plagi.
Si tratta invece della sinergia che può attuarsi tra umano e macchina. Attraverso la rappresentazione fantascientifica della “sincronizzazione” tra Atlas e Smith (questo il nome dell’ARC9 che J. Lopez guida), o anche se vogliamo di condivisione di pensiero e dati, si vede la virtuosità di abbinare tra loro la mente umana valoriale e analitica con la capacità di trattamento dei dati della macchina. Insieme possono essere qualcosa di più grande della singola somma delle parti.
La cooperazione apre nuove frontiere per una creatività “interdisciplinare”, in cui il rischio dell’esistenza delle IA cattive e terroriste è visto come secondario rispetto al nuovo che accade con IA buone e cooperative, anzi di più, come chi avrà pazienza di vedere nel film fino in fondo, nelle macchine può sorgere anche una speranza imprevista.
marco.staffolani@gmail.com