PAPÀ E MAMME TROPPO DELICATI?

L’ARGOMENTO È MOLTO DIBATTUTO, SOPRATTUTTO SUI SOCIAL MEDIA: SU TIKTOK, AD ESEMPIO, #GENTLEPARENTING CONTA 1,3 MILIARDI DI VISUALIZZAZIONI, SEGNO INEQUIVOCABILE CHE SE NE PARLA ANCHE TANTO…

La parola è antica, quasi desueta. Infatti nessuno la usa più. Disciplina deriva dal latino “discipulus” e dal verbo “discere”, “im-parare”, e indica un insegnamento che è innanzitutto dare una regola. Un’idea perspicace perché significa che non può esserci pedagogia (e molte altre cose) senza regole chiare e precise. A rilanciare il dibattito è stata Catherine Birbalsingh, preside della Michaela Secondary School nel nord-ovest di Londra, nota per essere molto rigorosa, che si definisce la preside più severa della Gran Bretagna e ha un motto preciso: “I bambini desiderano disciplina”.

È davvero così? La questione è complessa, il dibattito aperto. Due anni fa sul quotidiano americano New Yorker Jessica Winter scriveva: “Se i membri della Generazione X (i nati tra il 1965 e il 79, ndr) possono attribuire la colpa dei loro alti tassi di depressione e ansia a genitori assenti (in inglese latchkey parenting, uno stile genitoriale in cui i figli trascorrono molto tempo da soli) e se i Millennials (i nati negli anni ottanta e novanta, ndr) possono attribuire la colpa dei loro alti tassi di depressione e ansia a genitori troppo presenti (il famoso stile a elicottero, sempre vigile), forse la nuova generazione potrà attribuire la colpa dei suoi alti tassi di depressione e ansia a un eccesso di validazione e a una mancanza di correzione originate da genitori troppo delicati”.

Genitori delicati, che non sanno (o non vogliono) imporre regole e dare disciplina ai propri bambini. Sempre di meno, peraltro, perché almeno in Italia sono prevalenti le famiglie con il figlio unico.

L’analisi di Winter non è del tutto campata in aria e alcuni dati lo confermano. I ragazzi della Generazione Z, ossia i nati dal 1995 al 2010, i ventenni di oggi, sono più depressi e ansiosi dei loro coetanei delle generazioni precedenti. Negli Stati Uniti la percentuale che ha ricevuto una diagnosi di salute mentale (le più comuni sono ansia, depressione e disturbo di attenzione) oscilla tra il 42 e il 60 per cento, a seconda degli studi, mentre circa il 20 per cento è stato in terapia e il 60 per cento assume farmaci. Abbastanza per aver meritato etichette come la generazione più fragile o più depressa o tutte e due insieme. Una situazione che non cambia neanche per la successiva Generazione Alpha, ovvero i nati dopo il 2013.

Fragilità dei figli ed educazioni dei genitori

Questa fragilità a cosa è dovuta? Non sarà colpa anche dei genitori? Non è che il gentle parenting con la sua idea di comprensione, empatia, riconoscimento delle emozioni dei figli e assenza di autorità e di punizioni di qualsiasi tipo sta facendo più male che bene? Paola Mastrocola, insegnante di liceo e scrittrice, è convinta che la strada imboccata oggi sia del tutto sbagliata: “Sono cinquant’anni che cerchiamo di abolire la disciplina perché implica il concetto di autorità, e di regole (altre due parole che preferiamo non esistano nelle nostre vite) – ha scritto su La Stampa – credo che dovremmo cambiare la visuale. La disciplina non c’entra con l’autorità, c’entra con la felicità. Finché continueremo invece con questa storia dell’autorità, resteremo imprigionati in un corto circuito senza scampo. Dovremmo ripristinare la disciplina nell’educazione non perché amiamo l’autoritarismo (e siamo quindi orribilmente reazionari!), ma perché vogliamo la felicità dei nostri figli (e non importano un bel niente le idee politiche!). Questo sarebbe cambiare la visuale. Spostarci, metterci su un’altra collinetta a guardare col cannocchiale. Ci sono tante collinette, non una sola…”.

La disciplina come presupposto della libertà. Le regole come qualcosa che aiutano a orientarci per evitare di fare e farci del male. “In auto – è l’esempio di Mastrocola – quando ci ferma un vigile perché viaggiavamo a 80 km/h in città, non gli diciamo che è autoritario e deve lasciarci liberi di correre quanto ci pare. Paghiamo la multa. Perché disciplina è anche premio e punizione (altre due parole per noi insopportabili). Invece sono proprio le regole che ci danno la felicità. Le regole e i limiti. Persino nell’arte ci vuole disciplina. Prendiamo un ragazzo che ami la pallacanestro, che voglia fare quello tutto il giorno ma è costretto ad andare a scuola. La scuola lo limita, certo. Ma proprio perché ha quel limite, proprio perché può giocare solo un pomeriggio a settimana, quel pomeriggio sarà felice. Se per renderlo libero gli concedessi di giocare tutti i giorni, ne farei un infelice depresso: la pallacanestro sarebbe uno squallido tran tran quotidiano e gli verrebbe a noia, non sarebbe più un desiderio per sei giorni coltivato nella mente, né una conquista”.

Il #gentleparenting (genitorialità delicata) è un argomento molto dibattuto sui social media. Su TikTok 1,3 miliardi di visualizzazioni, segno inequivocabile che se ne parla anche tanto.

Negli Stati Uniti stanno facendo molto discutere le tesi di Abigail Shrier, laurea alla Columbia con specializzazioni a Oxford e Yale, ex opinionista del Wall Street Journal e autrice del libro Cattiva terapia: perché i bambini non crescono in cui sostiene che i genitori di oggi tendono a sopravvalutare ogni piccola ansia, anche fisiologica, dei figli, ne parlano continuamente e mandandoli da psicologi e psicanalisti per analizzare il trauma anche dove non c’è nessun trauma, i ragazzini sono diventati più deboli, fragili, depressi e infelici: “Gli adolescenti oggi si identificano profondamente con queste diagnosi, le mostrano nei profili dei social media, insieme a una foto e al cognome – sostiene Shrier – quando si tratta di bambini, siamo diventati più rapidi nel suggerire interventi e, come cultura, abbiamo trasformato anche le normali sfide infantili in motivo di preoccupazione”. La radice di questa degenerazione sta proprio nell’assenza di disciplina da parte dei genitori che non vogliono mettere regole che nell’opinione dominante sono da collegare all’esercito, alla caserma, al collegio. In ogni caso una prigione, qualcosa che ha a che fare con un mostro malvagio che ci toglie la libertà.

Felicità a ogni costo

“Una genitorialità di successo è diventata una funzione con un unico coefficiente: la felicità dei nostri figli in ogni dato istante – è l’accusa di Shrier – un’infanzia ideale significava nessun dolore, nessun disagio, no litigi o fallimenti e assolutamente nessun accenno di trauma. E quando questo non produce bambini perfettamente felici, ecco che i genitori si precipitano dagli esperti per test, diagnosi e farmaci”.

Allora va bene il modello educativo attuale o bisogna imporre più disciplina come avveniva in passato? Gianluca Nicoletti, giornalista, non è d’accordo con un ritorno al passato: “I bambini bramano disciplina? Chi lo afferma sa di mentire, o ha rimosso tutta la sua infanzia – spiega – noi boomer (i nati tra il 1946 e il 64, ndr) possiamo ricordarci del sacro terrore per il patto di ferro che legava i genitori e gli insegnanti, che rigorosamente ci disciplinavano con variegati e ingegnosi sistemi. Io posso testimoniare di aver provato l’inginocchiamento sui sassolini, le bacchettate sulle mani, schiaffi, pizzichi rotanti, calcioni nel sedere. Come pure l’onta dello svergognamento in giro per le altre classi, dell’essere messi all’angolo, dietro alla lavagna. Per la nostra gioia questo e altro; poi se lo raccontavamo a casa ci davano ‘la giunta’. Adesso solo perché torna di moda invocare ordine e disciplina, dovremmo fare finta che eravamo tutti contenti di essere stati educati a suon di espressioni arcigne, di ordini perentori, di principi indubitabili. Noi abbiamo sinceramente odiato i nostri insegnanti, disprezzato i nostri genitori e parenti dal rigore di facciata e dall’integrità indubitabile, che ci venivano continuamente indicati come modello”.

Tornare al passato o andare avanti su questa strada? Difficile dare una risposta univoca. L’educazione e il sistema di valori dipendono da molti fattori: “Di sicuro – afferma Mastrocola – non tornerà più la disciplina, almeno non in tempi brevi. Ci vuole un gigantesco sistema di valori condivisi, perché si possa pensare di educare i figli alla disciplina. Ci vuole una comunità, che si regga su quei valori condivisi. Non ci può essere una famiglia qua e una famiglia là che si mettono a educare alla disciplina, in mezzo a migliaia di famiglie che non lo fanno. O meglio, ci possono essere casi isolati, che però non portano a un cambiamento. Quattro mosche bianche, magari anche prese in giro ed emarginate. Il problema è che uno di questi valori condivisi dovrebbe essere la capacità di sopportare sofferenze e frustrazioni, visto che la disciplina impone un rigore che può anche dare sofferenza e creare frustrazione, a noi e ai nostri figli”.

 

L'ECO di San Gabriele
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