Durante la sua vita su questa terra, Gesù ha esercitato un gran numero di attività, mettendo a frutto i doni ricevuti dal Padre. Fu anzitutto un lavoratore manuale come il suo padre putativo Giuseppe. Fu poi predicatore di dottrine meravigliose, basti pensare al discorso della Montagna. Fu taumaturgo, cioè operatore di miracoli a favore di sofferenti di ogni genere. Fu difensore degli oppressi contro gli oppressori. Poteva dire di sé stesso: Il Padre mio sempre opera ed anche io opero (Gv 5, 17).
Venne l’ora, però, quella che Lui chiamava la sua ora (Gv 12, 27) in cui smise di dedicarsi a tutte queste attività e si offrì alla Passione e alla Morte di Croce in totale obbedienza alla volontà del Padre, passivamente. La dottrina della fede ci insegna che se Gesù avesse svolto tutte le precedenti attività, ma non si fosse sottomesso alla Passione, sarebbe stato indubbiamente un grande maestro e un grande filantropo, ma noi saremmo ancora nei nostri peccati, non saremmo stati redenti. Gesù sarebbe stato un uomo esemplare, ma non il nostro Redentore.
Questa considerazione riguardante il rapporto fra la Passione di Gesù e la passività che si esprime nella pazienza e nell’obbedienza è astratta e difficile da comprendersi per chi non ha fatto studi teologici? Ma no. Se consideriamo la vita quotidiana, vediamo che ci affatichiamo e soffriamo per le attività che dobbiamo svolgere, ma anche per la sopportazione e la pazienza che dobbiamo esercitare. Il giovane studente deve affrontare la fatica dello studio, l’impiegato o l’operaio devono affrontare la fatica di ogni giornata lavorativa, l’imprenditore deve aprirsi alla creatività e magari alla concorrenza con altri e così via. Questo è il peso di ogni attività che svolgiamo, un peso che tuttavia è bilanciato dalla soddisfazione che si prova nelle nostre realizzazioni: lo studio porta allo sviluppo della persona e delle sue attitudini, il lavoro genera un guadagno, creare un’azienda fa sentire realizzati nella vita.
Accanto alla fatica per le attività che si svolgono, però, c’è una sofferenza che è ancora meno gratificante: il peso della sopportazione e della pazienza. L’inno della carità della Prima Lettera ai Corinti ci dice che la carità si esercita spesso nel sopportare il male che ci circonda, nello scusarlo e magari nel non fare cose che saremmo portati a fare: la carità non si gonfia di orgoglio, non si adira, non tiene conto del male ricevuto… (1Cor 13). Ci sono poi le sconfitte, i fallimenti dei propri progetti familiari o anche economici, le espropriazioni non solo economiche. A volte veniamo espropriati dei frutti del nostro lavoro. Un libro che mi colpì molto era intitolato Teologia del fallimento (di John Navone) e faceva osservare che anche Gesù aveva sofferto per il fallimento del suo progetto di salvezza per Israele: Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali e tu non hai voluto! E piangeva (cf Lc 13, 34).
Quanta pazienza è richiesta a genitori ed educatori con i figli e i discepoli? Attesa e pazienza sono spesso più fecondi di qualche intervento affrettato. Tuttavia si tratta di una vera partecipazione alla Passione di Gesù.
Concludo richiamando una riflessione del gesuita scienziato Pierre Theilhard de Chardin. Diceva: Dio non opera soltanto per la divinizzazione delle attività dell’uomo, ma anche per divinizzare le sue stesse passività. È più facile capire la divinizzazione delle attività piuttosto che quella delle passività. Ma proprio attraverso queste ultime si viene a contatto col mistero più profondo di Gesù, quello della sua Passione e Morte, alle quali “si consegnò volontariamente”. L’Eucaristia può aiutarci in questo: Benedetto XVI insegnava che si riceve l’Eucaristia per essere presi dentro al suo dinamismo, diventare in qualche modo noi stessi Eucaristia (Sacramentum caritatis, 11). L’ebrea Etty Hillesum, morta ad Auschwitz, concludeva il suo Diario scrivendo: “Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati e da tanto tempo” (Edizione integrale, 797).