“La vocazione – ricorda padre Norberto – benché trascurata, benché soffocata esisteva da più anni e confratel Gabriele la sentiva dagli anni più teneri. Non era determinata ad Istituto particolare, ma la vocazione era un fatto. Me ne parlò…”.
La domanda ricorrente che si sente fare un giovane quando decide di intraprendere un cammino di consacrazione è semplicemente: Perché? O se preferite: Chi te lo fa fare? Cosa o chi, allora, spinse il giovane Francesco Possenti a abbracciare la vita passionista e i suoi voti, quando fuori, solo seguendo le orme del papà Sante, avrebbe potuto fare una brillante carriera diplomatica?
Qualcuno, osserva padre Norberto durante il processo per la canonizzazione di san Gabriele, vorrebbe far risalire la vocazione del giovane alla morte della sorella. Ma non è così.
A dirglielo è stato lo stesso confratel Gabriele. E così padre Norberto può raccontare che per questo giovane la vocazione è arrivata già in tenera età ed è stata purificata nel dolore.
E infatti, il giovane Possenti rischia ripetutamente di morire per qualche malanno.
La prima volta, vedendosi prossimo alla morte, il giovane fa una promessa che rinnoverà senza dargli seguito altre volte: quella di entrare in religione se fosse stato guarito. Padre Norberto nota: “La promessa fu accettata poiché prontamente migliorò e in poco tempo ritornò alla primiera sanità” ma aggiunge: “Lasciò ritornare l’affetto al mondo, mise da parte la promessa, attendendo intanto alla vita di prima”.
Una seconda malattia affligge il giovane durante l’infanzia. Questa volta il problema è alla gola: essa si gonfia al punto da rendere difficile anche solo respirare.
In quel tempo era stato da poco beatificato un religioso gesuita, Andrea Bobola (oggi sant’Andrea Bobola è patrono principale della Polonia, ndr). Egli se ne procura una immagine, se la applica alla gola sulla parte malata prima di andare a dormire e rinnova la sua promessa di consacrazione. Al mattino la gola è sgonfia e lui respira meglio, mentre sull’immagine del beato resta attaccato un “gruppetto disseccato di materia” (sic!), segno – per il giovane – dell’intercessione del religioso polacco cui egli resterà per sempre grato e la cui immagine conserverà fino alla morte talora mostrandola ai confratelli.
In verità, questa volta Francesco chiede di essere ammesso nella Compagnia di Gesù e a quanto riferisce padre Norberto, l’ammissione gli fu accordata ma, differendo nel tempo il momento dell’ingresso, continuò a vivere come prima per lungo tempo.
Sarebbe poi stata la vergine, durante la processione della Santissima Icone di Spoleto del 1856 a chiamare Francesco alla vita religiosa in modo perentorio ed efficace: “Che fai nel mondo? Presto, fatti religioso!”.
Spesso, guardando i santi, si può essere tentati di ritenerli dei privilegiati e magari pensare la loro condizione fuori della nostra portata. San Gabriele dell’Addolorata invece ci mostra di essere stato un ragazzo come tanti, anche nell’incostanza alle promesse. E come il profeta Samuele, che serviva Dio nel Tempio eppure ha bisogno della mediazione del vecchio profeta Eli per incontrare il Signore, così anche san Gabriele, nonostante abbia avuto segni di vocazione fin dall’infanzia, ha avuto bisogno della mediazione prima della Vergine e poi del suo confessore, il gesuita Carlo Bompiani per abbracciare risolutamente l’idea della consacrazione.
Padre Norberto dice: “Da quel punto si sentì cambiato nelle inclinazioni, negli affetti, ed altro più non pensava che effettuare il suo ingresso in religione”.