LA DISABILITÀ NON VA IN VACANZA

Noi – sottolinea la direttrice di Angelipress, l’agenzia di cultura sociale che fornisce il Parlamento – ci battiamo per raccontare la realtà e fare in modo che le cose positive vengano evidenziate e quelle negative non avvengano più. La prima qualità di un cristiano dev’essere il coraggio”

Senza alcun rischio di essere smentiti possiamo definirla una vera e propria autorità del Terzo Settore e della comunicazione sociale. Una donna intelligente, dal carattere forte quanto sensibile che ha speso tutta la sua vita dalla parte dei più deboli, battendosi per i diritti dei disabili e per l’inclusione. Per Paola Severini Melograni la solidarietà ha sempre rappresentato una necessità, un bisogno da cui nessuno può prescindere. Nella sua lunga e prestigiosa carriera di giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica e produttrice televisiva ha sempre condiviso la quotidianità accettando la realtà per come si pone. Storie di dolore, disperazione, esclusione da cui trarre, comunque, positività e speranza. Vicende dell’animo umano che affronta sempre allo stesso modo, mettendo cioè in campo una fede granitica e un amore puro, propri di chi condivide l’esistenza con il prossimo. D’altra parte con la forza della preghiera e la gioia del cuore ogni ostacolo diventa superabile.

Attualmente oltre a dirigere l’agenzia di cultura sociale che fornisce il Parlamento, www.angelipress.com (nel 2011 in occasione dei 10 anni di attività ha ricevuto la Medaglia d’Oro del presidente della Repubblica italiana), conduce su Rai 3 O Anche No, un programma di successo dedicato alla disabilità. Un modo “diverso” di entrare in questo mondo attraverso i protagonisti che si raccontano nelle attese, difficoltà e conquiste.

Prima di conoscere i programmi estivi e le attività future, con Paola Severini Melograni facciamo un passo indietro partendo da quella che può certamente essere considerata una scelta di vita non comoda…

Come nasce la tua “vocazione” per il sociale?

Nasce durante le scuole elementari. Ho avuto la fortuna di conoscere una grande insegnante, dalla seconda elementare alla classe quarta. Si chiama Emiliana Scriano, soprannominata “la maestra Lilly”. La voglia di lavorare tutti assieme per il bene di tutti me l’ha trasmessa lei, era proprio l’impostazione che dava a noi bambine. Era una classe femminile, nella scuola Santa Maria degli Angeli, una scuola cattolica. Tutte le altre maestre erano suore, lei è laica. È stata la persona decisiva per la formazione del mio carattere e delle mie ispirazioni. Lei era il modello di comportamento a cui mi sono ispirata.

Quale iniziativa ti rende più fiera?

Certamente il mio giornale Angeli, in vita dal 1996 al 2003 e poi trasformatosi in agenzia d’informazione, AngeliPress. L’unica agenzia in Italia sul Terzo Settore e sui diritti che ha scelto di mettere a disposizione di tutti i navigatori del web gratuitamente il suo archivio. Si tratta di un archivio gigantesco di 68 categorie che riguardano tutti i temi della solidarietà e quindi tutte le minoranze. da quelle religiose a quelle sessuali e, soprattutto, la disabilità.

Alla luce della lunga e preziosa esperienza nel sociale, quanto è difficile per un cristiano uscire dalla propria comodità e “sporcarsi le mani” nelle tante periferie umane?

Essere cristiani non è qualcosa che si può fare durante momenti o spazi della giornata. Essere cristiano non è a tempo. Ho scelto come mia parola d’ordine una frase di padre Davide Turoldo, che amo molto: “Voglio essere un disturbatore delle coscienze”. C’è anche un’altra frase straordinaria di un cristiano che si è “sporcato le mani” e che ha pagato tanto il suo coraggio, don Zeno Saltini, il creatore e fondatore di Nomadelfia. Diceva: “Non dobbiamo essere conigli, un cristiano non è un coniglio, bisogna essere coraggiosi”. La prima qualità di un cristiano, dunque, dev’essere il coraggio.

Il dramma dei profughi, le ingiustizie economiche, la degradazione del creato, le schiavitù moderne, i diritti calpestati dei più deboli, la persecuzione religiosa, le diverse dipendenze, la mancanza di un senso per la vita: qual è la via concreta per dare una risposta che illumini queste tristi realtà?

La via concreta è fare. La preghiera è molto importante ma, tornando al tema del coraggio e della pratica, bisogna cambiare comportamento, fare. Si può sempre scegliere quando ci si sveglia la mattina di fare una cosa anziché un’altra.

Il mondo della politica quanto deve ancora crescere in questa direzione?

Io lavoro da sempre nel mondo della politica e lo sanno anche i lettori dell’Eco di San Gabriele. Per anni ho curato una rubrica che si chiamava Care famiglie vi scrivo e si parlava anche e molto di politica. Il mondo della politica è molto cambiato. Certamente, senza raccontarci favole e dire che si stava meglio quando si stava peggio, il livello e la qualità umana di coloro che fanno politica sono scesi considerevolmente. Quindi quando diciamo che il mondo della politica deve crescere, diciamo che bisogna fare tanta formazione. Ben vengano le scuole di formazione. Un tempo questa funzione era svolta dai partiti politici, dagli oratori, dalle grandi istituzioni bancarie. Oggi, invece, di scuole di formazione per un’élite che deve governare non ce ne sono praticamente più. Forse l’ultima rimasta è quella diplomatica, che prevede una forte preparazione. Il tema di affrontare i grandi problemi senza avere esperienza è gravissimo, si viene catapultati nella politica da 0 a 1000. Si può diventare ministri senza neanche essere passati attraverso l’amministrazione di un Comune e questo è un grande rischio. C’è bisogno di reinventare la politica a partire dalla formazione.

Cos’è per te il concetto di speranza?

La possibilità che le cose possano cambiare. Negli ultimi cinque minuti, nell’ultimo momento. È per questo che non bisogna mollare mai. Bisogna tenere duro e ciò vuol dire avere grandissima costanza, assieme alla speranza.

I tanti egoismi della società attuale quanto incidono sul senso di “vuoto” delle nuove generazioni? Quanto contribuiscono a spegnere la fiducia?

La cosa che contribuisce di più a spegnere la fiducia è la presenza di cattivi esempi che sono terrificanti, ributtanti, indecenti e che purtroppo vengono replicati attraverso il web. Credo che per questo motivo sarebbe molto importante un cambiamento della televisione pubblica, che rimane la più grande agenzia di formazione e informazione di questo Paese e che dovrebbe dare dei buoni modelli. A partire dai talk, per esempio.

A proposito di televisione, il tuo nome recentemente è circolato tra quelli dei possibili candidati alla presidenza della Rai. Quale reazione ti ha suscitato?

Questa domanda, dopo un anno di governance della Rai che non è la mia, mi fa riflettere sul mio percorso. Quando mi hanno cortesemente ma fermamente chiesto di candidarmi, la prima volta ho detto di no. Ero la candidata del mondo cattolico, del Terzo Settore, del volontariato, del mondo sindacale e del mondo sociale italiano, così come della parte della politica che io vedo nelle persone di buona volontà. Alla fine, però, non ho potuto dire di no. Purtroppo la sconfitta finale non è stata mia, ma di chi rappresento. È stata la sconfitta del mio mondo. La gestione di alcuni programmi, a partire dai talk, sono la prova provata di quello che dico. È evidente che se ci fossi stata io e ci fosse stata una squadra diversa, tutto ciò non sarebbe stato possibile.

Nel riconoscimento della dignità della donna sono stati fatti molti passi in avanti. Dal tuo osservatorio privilegiato, sinceramente, quanta strada c’è ancora da fare?

Non c’è moltissima strada da fare. Devo dire che essendo una donna, e nonna di una bambina, vedo che le cose sono davvero migliorate. Però non bisogna nemmeno esagerare. Per esempio la battaglia sulle desinenze dei verbi o delle parole mi sembra grottesca e inutile. Amo talmente tanto la nostra lingua, quella degli angeli come diceva Thomas Mann, che rifiuto di credere che l’italiano possa essere storpiato per un’idea di emancipazione femminile che, invece, dev’essere nella concretezza dei gesti. Le parole possono servire ma non sono determinanti.

Nel corso delle tue tante battaglie sul rispetto dei diritti, cosa hai scoperto nelle persone con disabilità?

Loro rappresentano il miglior modello di comportamento perché sono un impasto di coraggio, speranza e soprattutto assoluta costanza. Insomma, sono le più testone. Quando si riconosce un diritto a una persona con disabilità se ne avvantaggia tutta la comunità.

Nel fortunato e prezioso programma La Sfida della Solidarietà che conduci su Radio Rai Gr Parlamento, recentemente hai affrontato il delicato rapporto tra follia, persona, libertà, pericolo e cura. A tuo avviso la chiusura dei manicomi è stato un bene?

È stato straordinario, importantissimo, è una delle più grandi rivoluzioni positive. Dobbiamo essere orgogliosi perché l’Italia è stato il primo Paese al mondo ad abolire i manicomi.

Quali caratteristiche dovrebbero avere gli ospedali psichiatrici?

Lo dice la parola stessa, dovrebbero essere degli ospedali e dovrebbero essere psichiatrici, non certo luoghi di contenzione com’erano prima quando si chiamavano manicomi.

Paolo VI diceva che a chi bussa alla nostra porta, perché soffre o è nel bisogno, non possiamo dire passa domani… Oggi quante volte ascoltiamo questa risposta?

Torniamo all’essere o non essere cristiani, a rimandare o meno l’impegno quotidiano. Noi non possiamo mai dire passa domani, dobbiamo essere disponibili subito.

Cosa ne pensi dell’invio delle armi all’Ucraina da parte dell’America e dell’Europa? Non ritieni che senza la pace nel cuore non potrà mai trionfare la pace delle armi?

I cristiani sono pacifisti come accezione e noi ripudiamo la guerra, ma dobbiamo ricordare due cose molto belle e importanti che ho seguito anche personalmente: noi stiamo cercando di far sì che un paese aggredito possa non soccombere completamente. Il nostro esercito è un esercito di pace e ha uno straordinario patrono: papa Giovanni XXIII, il Papa della Pacem in terris, che è stato cappellano militare. Noi abbiamo la pace nel cuore. Ringrazio la Comunità Papa Giovanni XXIII, l’amico Ramonda, che è andato senz’armi a dare un grande segnale in Ucraina. E ringrazio tutte le onlus e i ponti sociali a partire da Sant’Egidio fino a tutte le associazioni, che sono tantissime e che abbiamo raccontato in O Anche No, che ogni giorno combattono per la pace. Per avere la pace non devi preparare la guerra, devi preparare la pace e io credo che i cristiani possano comunque essere un ponte di pace sempre.

Tu conosci bene il nuovo presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna. Qual è il suo tratto distintivo?

Il tratto distintivo di Zuppi è il motivo per il quale è stato scelto: lui è un vero pastore, un uomo che conosce le sue pecore ed è abituato a confrontarsi con le più povere, disperate, sole, piccole, disgraziate… È un uomo coraggioso perché è anche grazie alla sua mediazione che dobbiamo la pace in Mozambico. È un uomo che non viene dalla sagrestia ma dai movimenti cattolici, che sono il sangue e la linfa della Chiesa.

Il 19 luglio ricorrono trent’anni dall’uccisione di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Che ricordo hai di quella strage?

È come se lo rivivessi ora quel giorno di trent’anni fa. Avevo già i miei tre figli e i più piccoli avevano 7 e 4 anni, ricordo come il 23 maggio avessi provato enorme dolore e ansia, da mamma, perché sapevo che i miei figli sarebbero stati più fortunati di quei bambini che invece in Sicilia, in Calabria, in Campania, avevano tutti i giorni un confronto e un contatto con la malavita organizzata. Devo dire che la mafia ha perso e di questo ne ho una profonda convinzione. Se continuiamo a dare gli esempi giusti e un’integra visione del mondo possiamo dire con forza e ad alta voce che la mafia ha perso.

Chiudiamo la nostra chiacchierata con una sguardo ai prossimi impegni. Cosa proporranno i vostri palinsesti estivi?

Proponiamo una nuova serie di O Anche No. È la serie numero 7 in quasi tre anni. È il secondo anno in cui lavoriamo d’estate e lo scorso anno abbiamo raccontato le Paralimpiadi, perché sono nate e qual è il ruolo dell’Italia in questa straordinaria realtà. Crediamo di aver offerto un servizio sociale importante. Quest’anno faremo ancora di più perché “la disabilità non va in vacanza” (è il nostro sottotitolo per la stagione). Noi ci battiamo per raccontare la realtà e fare in modo che le cose positive vengano evidenziate e quelle negative non avvengano più. Vi invitiamo a guardarci la domenica su Rai 3, saremo con voi tutta l’estate. Ci rivedremo poi in autunno con la serie autunnale-invernale di O Anche No, che segnerà l’ottava realizzazione.

L'ECO di San Gabriele
Panoramica privacy

Questo sito utilizza cookies per migliorare l'esperienza di navigazione.

I cookies sono piccoli files di testo salvati nel tuo browser per facilitare alcune operazioni. Grazie ai cookies, se torni a visitare il sito potrai essere riconosciuto non dovendo dare nuovamente il consenso al trattamento dei dati personali e saranno ricordale le preferenze già espresse.

Per gli sviluppatori, i cookies indicano le pagine più apprezzate dai visitatori al fine di un ulteriore sviluppo del sito.