Da qualche tempo nel linguaggio di Chiesa si parla di sinodo, sinodale, sinodalità. Sono parole dal greco che indicano stessa strada o insieme sulla strada, appunto camminare insieme. La novità è che si vuole ricordare che questi termini esprimono l’identità profonda e sono la definizione più antica della Chiesa, così chiamata dagli apostoli nel fondare le prime comunità. In sintesi, dobbiamo imparare che la Chiesa è sinodo o sinodalità, cioè camminare insieme. Da circa sessant’anni, cioè a partire dal Vaticano II, il rinnovato catechismo ci ha insegnato che la Chiesa è popolo, comunità, comunione, e ci siamo abituati a chiamarla così. Ora dobbiamo chiamarla anche sinodalità.
Chi ci vive dentro non si sente frastornato, e tanto meno infastidito. Piuttosto prova un fremito di gioia nell’accorgersi che la Chiesa è una realtà così ricca che non si finisce mai di scoprirla. Infatti non si tratta di una svolta improvvisa o di novità peregrina, ma è l’emergere di una vena partita dal Concilio Vaticano II. Nel concludere quell’assise, il 15 settembre 1965, Paolo VI istituisce il Sinodo dei vescovi. Da quella data il Papa torna a incontrarsi a scadenza media biennale con qualche centinaio di vescovi per trattare i problemi della Chiesa. Cammin facendo pungola l’insinuazione, diventata poi convinzione teologica, che il sinodo non può essere soltanto il camminare insieme dei vescovi con il Papa, ma deve coinvolgere tutto il popolo di Dio. Gradualmente si impone la logica che il Sinodo dei vescovi debba diventare il sinodo della Chiesa intera.
L’avvento di papa Francesco accelera e consolida la consapevolezza. Imbevuto com’è della teologia di popolo dell’ambiente latinoamericano, tende a esplicitare sempre più la sua sintonia con il popolo di Dio, e a ogni seduta sinodale ne allarga la partecipazione con nuovi invitati, fino al massimo nel sinodo sulla famiglia. Finché il 17 ottobre 2015, commemorando il cinquantesimo dell’istituzione del sinodo dei vescovi, dichiara: La Chiesa è costitutivamente sinodale. Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio.
Il 10 ottobre 2021 Francesco apre la prossima assemblea del sinodo dei vescovi dal titolo: Per una Chiesa sinodale: comunicazione, partecipazione, missione. Ne stabilisce l’itinerario di preparazione in due tappe, una locale, una internazionale e intercontinentale. La prima, chiamata fase del popolo di Dio o dell’ascolto, è in corso fino al 15 agosto 2022. La seconda, fase universale, durerà fino allo svolgimento del sinodo, nell’ottobre 2023. L’Italia prolungherà il suo itinerario sino al 2025 per un proprio sinodo nazionale. Nel periodo che stiamo vivendo dall’ottobre scorso ogni vescovo è invitato a radunare la porzione del popolo di Dio a lui affidata perché ognuno possa condividere, o raccontare, il proprio modo di sentire la Chiesa o sentirsi nella Chiesa, alla guida di un apposito Documento Preparatorio e Vademecum. Per la data stabilita, ogni vescovo riceverà la sintesi di quanto espresso dal suo popolo in modo da ascoltarne le attese ed esserne il rappresentante nella seduta sinodale, confrontata e inserita nel sentire di tutte le Chiese del mondo.
Mentre il tempo si avvia alla scadenza, non si sa quanti e sino a che punto, anche tra i nostri lettori, siano stati coinvolti nel processo. Ovviamente vi sono enormi difficoltà. Limite e fretta nel tempo, popolo non abituato a parlare, attitudini radicate nei secoli. Ma è solo l’inizio. Un nuovo seme è gettato nella Chiesa e un altro germe di rinnovamento è stato proposto alla società. Ambedue hanno bisogno di nuovi orizzonti e nuove energie dopo due anni di pandemia e nel contesto di una guerra che lacerano l’unità dei popoli e delle Chiese. Ci ha diviso il Coronavirus, ci divide la guerra, sembra impossibile camminare insieme proprio quando sarebbe indispensabile. La Chiesa continua il suo sforzo di meglio comprendere se stessa, di spingere verso la fraternità universale (Fratelli Tutti), e di sognare una fraternità cosmica, ansia di tutto il creato (Laudato Sii).