Prima due anni di Covid e adesso una guerra che rischia di degenerare in distruzione planetaria. Come abbiamo fatto a ingannarci, al punto di ricadere in una situazione simile a quella che ha prodotto le due guerre mondiali del novecento? Lo scontro fra paesi autoritari e paesi democratici? Cosa deve pensare un adolescente degli adulti? “Prima il virus ci ha cancellato due anni di vita. E ora, con la guerra, ce ne volete rubare altri?”. E, cosa devono pensare gli adulti della realtà? “Abbiamo esagerato prima col troppo ottimismo, o sbagliamo adesso cedendo alla depressione?”.
La verità è che, tra la fine degli anni novanta e l’inizio del duemila, è prevalso un diffuso clima di fiducia. A motivo di una serie di avvenimenti positivi, – quali la caduta del muro di Berlino, la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la scomparsa dei nazionalismi aggressivi che hanno caratterizzato il novecento – un po’ tutti ritenevano che il progresso fosse ormai inevitabile e che la democrazia liberale rappresentasse l’unica scelta praticabile nel mondo. Nel periodo della Primavera araba (2010-2011), poi, si è imposta una sorta di ‘ottimismo tecnologico’. Si pensava che, di fronte alla protesta di migliaia di cittadini attraverso i social, i regimi totalitari non avessero possibilità di sopravvivere. Bisognava solo favorire lo sviluppo della rete informatica e attendere che la democrazia si diffondesse. Oggi, invece, molti sociologi riconoscono che quell’eccesso di ottimismo ci ha drogati. Non ci ha fatto capire che le piattaforme digitali possono sia favorire il libero pensiero, sia essere usate per diffondere falsità, se pilotate da demagoghi e dittatori.
E, allora, ci sono volute una pandemia e una guerra, per farci capire che la storia può anche regredire. “Per molto tempo – scrive Zygmunt Bauman – ci siamo cullati sul principio che la generazione dei giovani arriva sempre più in alto del livello raggiunto dai genitori. Per cui, nessun ragazzo era preparato al nuovo mondo del declassamento, della svalutazione dei meriti autentici, delle porte sbattute in faccia, della precarietà del lavoro e della disoccupazione persistente”. Oggi, invece, viviamo in un’epoca di ansia contagiosa: per i virus, l’ecosistema, la guerra, l’economia, le migrazioni, le tasse, il lavoro, il domani… La rete, su cui facevamo tanto affidamento, trabocca di rabbia, paura, insicurezza, angoscia. L’angoscia, poi, è peggiore della paura. Perché, la paura si riferisce a qualcosa di conosciuto (un problema, un avversario), l’angoscia, invece, si riferisce all’indefinito. Al punto che, ormai, molti ritengono che, in una realtà in cui tutto è mobile ed imprevedibile, non c’è niente di male a star male. E, a forza di vedere sofferenze, ingiustizie, immoralità, noi stessi imponiamo alla mente di dimenticare il negativo e alla bocca di tacere.
Dobbiamo, invece, imparare a convivere con la complessità e la contraddizione, allenando i ragazzi a prendere coscienza dei problemi e a confrontarsi con essi. Insegnando loro che non ci si libera da una cosa evitandola ma solo attraversandola. E che le prove o ci rovinano o ci migliorano.
“Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi; – sostiene sempre il sociologo Bauman – la vita felice viene dal superamento dei problemi. Bisogna affrontare le sfide. Si raggiunge la felicità quando si diventa capaci di controllare i nostri problemi”. è così. Il sentiero della nostra vita lastricato di sé inespressi, di occasioni perdute, di attimi non vissuti. La nostra mente non cerca solo di controllarsi, di sentirsi integra e coerente. Aspira anche a esprimersi, a fare esperienze significative. Ma, raramente abbiamo il coraggio di “entrare” dentro la vita.
E, se oggi nulla è come prima, forse è bene così.