“Benedite acque tutte che siete sopra i cieli il Signore (…) benedite piogge e rugiade il Signore, benedite o venti tutti, il Signore. Benedite rugiada e brina il Signore, benedite gelo e freddo il Signore, benedite ghiacci e nevi il Signore, benedite notti e giorni il Signore. Benedite luce e tenebre il Signore, benedite folgori e nubi il Signore” sono alcune delle benedizioni del Cantico dei tre fanciulli (cf. Dn 3,52ss). Una collana di lode che scende dolce come la neve e argentina come il canto della pioggia. Quella di Daniele s’accompagna alla nostra voce che sale dal cuore dell’inverno. C’è una musica che può dare le note dell’accordo ed è quella di Ludovico Einaudi specialmente nel brano – soffice e come velato di brina – che si intitola Nuvole.
La terra d’Israele era spesso assetata, bruciata dalla siccità. La mancanza d’acqua spaccava i pascoli e faceva prosciugare i letti dei fiumi rivelandosi come una maledizione. Terribili suonano le parole di Mosè, portavoce del Dio che si rivolgeva a Israele prigioniero delle steppe: se non sceglierai la via del bene, se non sarai fedele al patto che hai fatto col Signore verrà la catastrofe. “Il cielo sarà di bronzo sopra il tuo capo e la terra sotto di te sarà di ferro” (Dt 28,23). Sotto un cielo duro come la guerra, senza ombra di nuvole e d’acqua, senza umori di feconda umidità, la terra diverrà sterile come il ferro, priva di vitale morbidezza; il suo corpo come un’incudine invece che come colline di grano. Al contrario quando vorrà riconoscere l’amore sapiente del suo popolo, “Il Signore aprirà per esso il suo benefico tesoro, il cielo, per dare alla tua terra la pioggia a suo tempo e per benedire tutto il lavoro delle tue mani” (Dt 28,12). La sacra collaborazione tra Dio e l’umano avviene attraverso la pioggia che fa germogliare i semi che l’uomo ha sotterrato nel suolo, che gonfia i tralci e i chicchi delle vigne che l’uomo ha vangato e potato, prima che il sole li insaporisca di miele e li colori di rosso. “Tu visiti la terra e la disseti, la ricolmi di ricchezze. Il fiume di Dio è gonfio di acque; tu prepari il frumento per gli uomini. Così prepari la terra: ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle, la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli. Coroni l’anno con i tuoi benefici, i tuoi solchi stillano abbondanza” (Sal 65,10-12). Ma l’opera di Dio esige la fede della persona umana, di chi confida in lui. In Samaria la siccità divorava il Paese quando il profeta Elia, implorò il Signore dall’alto del monte Carmelo, per la pioggia, con una scena di stupenda tenerezza: “Gettatosi a terra, pose la faccia tra le proprie ginocchia. Quindi disse al suo ragazzo: Vieni qui, guarda verso il mare. Quegli andò, guardò e disse: Non c’è nulla!. Elia disse: Tornaci ancora per sette volte. La settima volta riferì: Ecco, una nuvoletta, come una mano d’uomo, sale dal mare. Elia gli disse: Và a dire ad Acab: Attacca i cavalli al carro e scendi perché non ti sorprenda la pioggia!. Subito il cielo si oscurò per le nubi e per il vento; la pioggia cadde a dirotto” (1Re 18,41-45).
Abituati a prendere il cibo dal supermercato, chi oggi abita in città non sente forse più il sollievo delle piogge d’autunno e la bontà della neve d’inverno; poco si pensa alla terra che ha bisogno dell’una e dell’altra per rigenerarsi e continuare a farci da madre. In quelle giornate grigie, nelle mattine gelate, nelle sere rigide e piovose anche il nostro corpo sembra gemere; ma chissà se anch’esso ha bisogno di chiudersi all’interno del cuore, come la chiocciola nella sua casetta, per germinare nuovi sogni e speranze.
Il diluvio
L’inverno, però, non deve oltrepassare i confini dei suoi mesi, a marzo dovrà lasciare il passo alle primule e ai mandorli in fiore e ad aprile ai fiori di pesco. La pioggia non deve smottare la terra facendola sommergere dalle acque. Fu quanto capitò col diluvio, al tempo di Noè. “Il diluvio durò sulla terra quaranta giorni: le acque crebbero e sollevarono l’arca, che s’innalzò sulla terra. Le acque furono travolgenti e crebbero molto sopra la terra e l’arca galleggiava sulle acque (…). Perì ogni essere vivente che si muove sulla terra, uccelli, bestiame e fiere e tutti gli esseri che brulicano sulla terra e tutti gli uomini. Così fu cancellato ogni essere che era sulla terra: dagli uomini agli animali domestici, ai rettili e agli uccelli del cielo; essi furono cancellati dalla terra e rimase solo Noè e chi stava con lui nell’arca” (Gen 7,17-24). È un racconto mitico, terribile. Ma che si conclude con un arcobaleno a dire che neppure quella “glaciazione” portò alla fine del mondo! Perché “Dio si ricordò di Noè, di tutte le fiere e di tutti gli animali domestici che erano con lui nell’arca. Dio fece passare un vento sulla terra e le acque si abbassarono. Le fonti dell’abisso e le cateratte del cielo furono chiuse e fu trattenuta la pioggia dal cielo; le acque andarono via via ritirandosi dalla terra e calarono dopo centocinquanta giorni” (Gen 8,1-3). E fece una promessa, stringendo addirittura un’alleanza con Noè, dicendo: “Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto. Finché durerà la terra, seme e mèsse, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno” (Gen 8,21-22). Dio ristabilisce il ritmo delle stagioni e l’avvicendarsi delle piogge col sereno e della neve con la calura estiva, e con ciò riordina i tempi e ridona salute a tutto ciò che muove la vita. Una storia che deve farci riflettere sulla grande responsabilità che abbiamo nei confronti della natura e degli squilibri, dei disastri causati dalla mancata, dovuta, collaborazione umana all’armonia del creato cui è appesa, come a un filo, la vita dello stesso e quindi anche la nostra.
Nelle lunghe sere d’inverno cogliamo l’occasione per ritrovarci a cantillare la sua Parola, umili e fiduciosi che, come pioggia, scenderà ancora benevola sulla terra dell’anima. “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,10-11). Approfittiamo per supplicare Dio con una delle benedizioni ebraiche, quella che dice: “Siano rugiada e pioggia come una benedizione su tutta la superficie della terra. Benedici i prodotti della terra perché ne goda il mondo intero e concedi la benedizione, abbondanza e successo all’opera delle nostre mani”.