Era il 1962 quando Joseph Carl Robnett Licklider, ricercatore americano, formulò le prime idee di una rete informatica globale, in una serie di promemoria in cui illustrava il concetto di “rete intergalattica di computer”. L’Italia è il secondo Paese d’Europa più presente nei gruppi di Facebook
Ormai lo si usa come l’aria: non si vede, eppure è lì, continuamente a nostra portata, sfruttato per qualsiasi cosa, dalla prenotazione vaccinale all’ordine di un oggetto, dai messaggini, alle e-mail, al lavoro da lontano, ricerche, anche complesse, svolte in poco tempo potendo consultando biblioteche immense e in tutte le lingue, e tantissime altre cose come. Sembra così giovane, eppure quest’anno festeggia 60 primavere: internet. Era il 1962 quando Joseph Carl Robnett Licklider, ricercatore del prestigioso Massachusetts Institute of Technology di Cambridge (Usa), formulò le prime idee di una rete informatica globale, in una serie di promemoria in cui illustrava il concetto di “rete intergalattica di computer”.
Queste idee contenevano quasi tutto ciò che internet è oggi. Volendo fare un parallelo terra-terra, è come quando il genio, Leonardo da Vinci, studiando il volo degli uccelli e le correnti d’aria capì che il volo dell’uomo sarebbe stato possibile. Dopo quasi 400 anni arrivò l’aeroplano. Nel caso di Lickliders sono passati pochissimi anni fra la teoria e la pratica. Dopo Internet, è stata la volta del Web (world wide web), due realtà diverse tra loro. Il web (concepito nel 1989 dall’informatico Tim Berners-Lee) è l’ambiente in cui navighiamo usando un browser e sfruttando i vari indirizzi url e link; internet è l’infrastruttura tecnologica che permette il trasferimento dei dati e ha reso possibile non solo il web, ma anche la e-mail, le applicazioni su smartphone e parecchie altre cose. Senza internet il web non esisterebbe. Una “scoperta” che ha causato un immenso sconquasso. Ci ha cambiato la vita. Se in meglio o in peggio sta a noi deciderlo. Certo, la possibilità di agire stando anche migliaia di chilometri lontani da un posto di lavoro o riunirsi in videoconferenza o farsi una chiacchierata tra amici o parenti disseminati nel mondo, sono cose positive (e il lockdown lo ha dimostrato ampiamente).
Nel 2016 le Nazioni Unite proclamarono internet un diritto umano fondamentale, sostenendo che non avervi accesso sia fonte di diseguaglianze. Non più un lusso, quindi, ma una necessità soprattutto per i meno abbienti. Nello stesso anno anche il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha prodotto una serie di atti dedicati alla promozione della libertà di espressione in internet. Dal 2020 è in vigore l’Agenda digitale per l’Europa varata dalla Commissione europea per aumentare l’accesso a Internet veloce e super veloce per tutti i cittadini del continente, e per costituire un nuovo mercato unico dei benefici portati dall’era digitale. Praticamente, è come se si fosse preso atto che i social sono per le masse un diritto come mangiare da McDonald. Tuttavia, così come le diete delle catene alimentari non possono sostituire una costante e intelligente alimentazione, l’uso del web, attraverso internet, non può sostituirsi alla vita di relazione normale. Invece, assistiamo a teste affondate negli smartphone, nei tablet, che viaggiano in internet dilagando nei social network e accantonando la realtà circostante.
In un mondo connesso si socializza nei social con la rete dei contatti sempre più tambureggianti senza limiti di età e di confini territoriali, recuperando e mantenendo rapporti accantonati per distanze altrimenti incolmabili di tempo e di spazio. Nelle metropoli ci si perde di vista come in una foresta, attanagliati dalla nostalgia per le quattro chiacchiere al bar o attorno a una tavola imbandita assieme a parenti e amici. Il nostro destino è sempre più lasciato in balia della rete, della piazza virtuale. Le piattaforme online sono usate ogni giorno da 2,7 miliardi di persone. Secondo dati di We are social, 4,7 dei 7,70 milioni di esseri umani sono connessi a internet (60 per cento) e l’86,6% di queste persone è attiva su almeno una piattaforma social! Per quanto riguarda l’Italia, ci sono più numeri di telefono attivi (80 milioni) che persone (60,5 milioni) e si usano meno i social media per lavorare (31%) che nel resto del mondo (40%). Ci sono 49,48 milioni di utenti internet (l’82% della popolazione, percentuale maggiore della media mondiale, 59%) e 35 dei social (questi ultimi aumentano al ritmo di 4 milioni l’anno). Un italiano spende in media 6 ore al giorno su internet e un’ora e 57 minuti sui social network (la media mondiale è, rispettivamente, di 6h 42’ e 2h22’).
Oltre i numeri, la realtà. Siamo il secondo Paese d’Europa più presente nei gruppi di Facebook. I social propongono fatti e storie a rullo continuo e alla stragrande maggioranza dei frequentatori è più che sufficiente per soddisfare i propri interessi, le proprie curiosità. Sotto il profilo dell’informazione (o disinformazione) ormai l’opinione pubblica si è trasferita in massa nel web, nei social network, dove, però, la comunicazione sta perdendo le sue peculiarità di “mente pubblica” perché sostituita dall’opinione autonoma di ciascuno dei navigatori. Secondo uno studio dello statunitense National Institute of Health, sul cervello infantile l’abuso di smartphone e tablet ha un impatto diretto non solo sullo sviluppo mentale, ma anche su cervello, mentre l’Osservatorio TuttiMedia avverte che i social finiscono con l’incidere sul comportamento della persona. Anche dal mondo della scuola arriva un grido di allarme: tramite i risultati degli ultimi esami Invalsi fatti nelle terze medi, il 35% dei ragazzi non sa più leggere, non capisce quello che legge, non si orizzonta nei concetti e nei pensieri complessi, nei linguaggi articolati. Ormai la loro sfera intellettuale è condizionata dai tweet e dai post, si esprimono per emoticon (le faccette) o acronimi, comunicano con schemini sintetici di massimo 140 caratteri. Sono perennemente connessi e hanno imparato a usare lo smartphone e il tablet prim’ancora di imparare a leggere e scrivere (e c’è chi vorrebbe abolire l’esame scritto di italiano…).
Internet è il più grande mercato nella storia dell’umanità e ha imparato a sfruttare tutte le informazioni personali prodotte ogni volta che facciamo un clic, elaborandole in algoritmi in grado di orientare i bisogni, i comportamenti sociali e anche influenzare le scelte politiche. Si chiama profilazione, il commercio dei nostri profili, una merce molto richiesta da migliaia di aziende e gruppi di pressione. Quasi tutti i genitori hanno la pessima consuetudine di pubblicare e diffondere le foto dei loro bambini sui social. Un’indagine del Governo australiano ha scoperto che più della metà delle foto illustrate nei siti pedopornografici viene trafugata da account di genitori ignari. Insomma, aspetti negativi ce ne sono, ma non si possono demonizzare i collegamenti aerei solo perché ogni tanto ne cade uno. Va considerato che, percentualmente, spostarsi in volo è più sicuro che andare in automobile. Quindi, sta a noi scegliere cosa, come e quando navigare. Perciò, grazie mister Licklider.