ANCHE LA FANTASCIENZA DEVE FARCI RIFLETTERE

Durante questi tempi in cui il virus ci ha costretto a casa, le nostre abitudini sono cambiate e con maggior tempo da passare davanti al piccolo schermo, abbiamo assistito al proliferare (con relativa concorrenza) di diverse piattaforme di video streaming.

Una serie che ci ha permesso di sollevarci, per un po’, dalla pesantezza della nuova realtà quotidiana, non solo per uno svago fine a sé stesso, ma con la pretesa di riflettere su problemi futuri tra umanità e robot, è stata Star Trek, Picard di produzione statunitense, ambientata nel 2399. La nuova serie si pone cronologicamente nell’universo cinematografico vent’anni dopo La nemesi in cui il tenente comandante Data (un sintetico, avente fattezze simil umane) si sacrifica per salvare il capitano Picard dall’esplosione dell’astronave romulana Scimitar.

Nei nuovi episodi ci troviamo con l’anziano capitano (più che novantenne, ma battagliero come sempre) dimesso da diversi anni dalla Flotta Stellare in seguito a diverse vicende che hanno portato a bandire le forme di vita artificiale all’interno della Federazione dei Pianeti Uniti. Nonostante il bando, in ambienti di ricerca clandestini si continua il perfezionamento della vita sintetica al punto che, sotto fattezze femminili perfettamente umane, le due gemelle androidi Dahj e Soji sono scambiate per (e si considerano loro stesse) perfettamente umane.

La trama del film porta la seconda gemella Soji a essere il fulcro del futuro dell’universo. Una volta scoperta la sua identità di artefatto va in crisi perché tutti i ricordi della sua infanzia sono falsi, instillati in maniera virtuale dal suo inventore umano. Si assiste così al singolare costituirsi di un rapporto tra umano e robot che avrà come base l’istinto, la fiducia e il presente.

Seppur la cultura romulana porterebbe Soji a dedurre che il suo fato è l’essere la distruttrice del genere umano, secondo un’antica e necessitante profezia, la svolta per ritrovare sé stessa sarà fidarsi del capitano Picard.

Alcuni dialoghi dell’ultima puntata di questa prima serie sono molto significativi. Soji, insieme alla colonia degli altri sintetici, si sente minacciata dall’attacco dei romulani che vorrebbero sterilizzare il loro pianeta. Qui comprende che la sua nuova identità si dovrà basare, come è per gli umani, sull’accogliere o meno il bene, seguendo quella che noi diremmo “coscienza”.

Nel momento in cui potrebbe adempiere al fato di distruttrice, aprendo un varco dimensionale ad una razza aliena completamente sintetica che sterminerebbe la vita organica, umani compresi, Soji è messa in crisi dall’agire di Picard. Oramai allo stremo delle forze per una malattia al cervello, quasi disarmato di fronte ai falchi da guerra romulani, il coraggioso capitano decide di fare la cosa “meno logica”: piuttosto che la fuga si sacrifica lanciandosi contro i romulani a favore dei sintetici.

Lui, che conosceva veramente Data (di cui Soji ha lo stesso “Dna” positronico) è fiducioso che l’androide non rimarrà indifferente di fronte a un’azione di salvezza nei suoi confronti. Alla successiva domanda di Soji “perché l’hai fatto?” Picard risponderà “Vi ho salvato la vita perché voi salvaste la nostra… ecco perché siamo qui, per salvarci”.

Certo si tratta di fantascienza e potremmo dire che sono tutte cose inventate. Ma la fantascienza è immaginazione dell’uomo, e di conseguenza ci dice qualcosa di lui, del suo pensiero e del suo presente. E anche se queste cose “narrate” non accadranno mai, in qualche modo sono già accadute nella realtà vera e l’uomo sente il bisogno di rappresentarle, rifletterle, trasporle nelle produzioni streaming di oggi, in maniera non dissimile da quanto fa con i libri e con le storie orali.

Anche in un futuro lontano ci sarà sempre qualcosa che deve essere salvato. È il nostro essere umani, la nostra coscienza, magari trasposti, in forme che oggi non possiamo immaginare, magari in una esistenza artificiale senziente.

L'ECO di San Gabriele
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