UNA CHIESA AL PASSO CON LA VICENDA MODERNA

Che spazio c’è per la religione quando la tecnica garantisce la sicurezza, guarisce dalle malattie, permette di fabbricare il figlio su misura e promette anche l’immortalità? Com’è possibile parlare di salvezza eterna in una società non già ostile ma indifferente? E la Chiesa cattolica, devastata soprattutto in Europa da cattivi esempi e scandali, a cominciare dalla pedofilia nel clero, cos’ha da dire all’uomo inquieto del nostro tempo? Domande ostiche ma non nuove. Ad affrontarle in un libro denso e ricco di spunti, La scommessa cattolica (Il Mulino), sono Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, entrambi sociologi che insegnano all’università Cattolica di Milano, marito e moglie nonché genitori di sette figli, cinque naturali e due adottati. I due autori si chiedono se c’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo. Partono da un’immagine efficace: l’uomo moderno è come il figliol prodigo della parabola evangelica che dopo più di mille anni di cristianità diventa consapevole di se stesso, si prende la responsabilità di uscire da casa e di vivere autodeterminandosi, nell’illusione di bastare a se stesso. Ora è a metà del guado: intuisce di aver lasciato qualcosa di buono e giusto ma non riesce a intraprendere la strada del ritorno a casa. “Questa parabola – spiega Giaccardi – riassume in modo sintetico ed efficace diversi aspetti: da un parte un Dio che è padre, non padrone o tiranno. Poi emerge tra l’uomo e Dio un rapporto di filiazione basato sull’amore reciproco. Dio crea l’uomo a sua immagine, cioè libero. Come diceva il poeta Hölderlin, lo crea come il mare la terra: ritirandosi. Dopo la Riforma, la Chiesa ha sempre avuto il bisogno di controllare. Oggi invece c’è l’occasione di ripensare, anche partendo dai fallimenti della modernità, come giocare questa libertà. La parabola è esemplare perché dice che il padre che ama non è colui che desidera che il figlio faccia tutto quello che vuole lui ma colui che desidera che il figlio sia libero anche a costo di sbagliare. Se il figlio non fosse uscito di casa, avrebbe subìto il comportamento del padre. Il figlio che è uscito ha fatto i suoi errori. Solo da questo momento si costituisce tra i due un rapporto maturo e fecondo. Finalmente libero”.

Demonizzare la modernità e il tempo in cui viviamo non serve e infatti Magatti e Giaccardi evitano questa trappola: “Bisogna riconoscere – ammettono – che la modernità ha tanti meriti ma produce anche molti guai: solitudine, logica dello scarto, disuguaglianza, distruzione della natura. Tutti questi effetti possono essere letti, nell’ottica biblica e cristiana, come conseguenza del fatto che l’uomo pensa di autodeterminarsi. È  quello che tutti i figli pensano di poter fare quando raggiungono l’età adulta. A livello storico siamo nel bel mezzo di questa contraddizione e non è ancora maturata nella modernità, se non in alcune componenti, questo desiderio del ritorno. Il ruolo della Chiesa è quello di essere la voce della coscienza, che sussurra “ma non ti ricordi di quanto stavi bene nella casa del padre?”, facendo maturare questo desiderio del ritorno”.

“Superare la divisione

tra progressisti e conservatori”

Ma l’uomo moderno vuole ritornare alla casa del padre come il figliol prodigo che a un certo punto si rende conto di vivere una vita falsa? Questo è il punto decisivo. E la Chiesa riesce a suscitare negli uomini la nostalgia di questo “ritorno a casa”? Per gli autori una strada da tentare c’è: “Bisogna andare oltre il Concilio Vaticano II, che dopo secoli burrascosi di contrapposizione tra cattolicesimo e modernità aveva aperto il dialogo tra la Chiesa e il mondo moderno, riconoscendo in esso anche aspetti positivi. C’è bisogno di fare un passo ulteriore. Anche perché dalla fine del Concilio sono passati più di cinquant’anni e il mondo, in questo tempo, è cambiato radicalmente”. L’altra cosa da fare è superare la divisione tra progressisti e conservatori che si è prodotta dopo il Concilio: “Noi – spiegano – non siamo né progressisti né conservatori, sosteniamo che la modernità ha prodotto cose buone ma anche enormi distorsioni. Uscire da questo schema e assumere un ruolo fedele al messaggio evangelico e capace di essere lievito in un mondo che ha necessità di cambiare è la via che papa Francesco non si stanca di indicare”.

Il rischio, però, è di rinchiudersi in una sorta di guscio autoreferenziale rilanciando formule note solo agli addetti ai lavori. Il nocciolo della questione che questo libro ha il merito di affrontare di petto, senza reticenze e senza risparmiare critiche alla Chiesa è come rilanciare il discorso sulla vita e sulla morte e sulla salvezza personale quando, per esempio, la stragrande maggioranza degli under 30 è del tutto indifferente al problema della fede e in un mondo in cui, secondo gli autori, dominano due figure simbolo: lo “specialista senza spirito” e il “gaudente senza cuore”. “La sicurezza e il controllo promesso e realizzato dalla tecnica – dice Giaccardi – hanno un costo: riducono tutto a mezzo, noi compresi. Quello sulla salvezza è invece un discorso integrale, perché ‘salvo’, etimologicamente, non vuol dire solo ‘vivo’ ma ‘intero’ e ‘felice’. Salvezza non è solo avere un premio nell’aldilà ma una vita piena qui, il centuplo quaggiù. Questo discorso ha un potenziale altissimo se viene sviluppato in tutta la sua ricchezza. La Chiesa ha il compito di re-intercettare questo desiderio di salvezza”. Sì, ma come far comprendere che quello che noi desideriamo non è la sicurezza ma la salvezza? “Da questo punto di vista, il dualismo che ha caratterizzato molto del pensiero della Chiesa, perché si è innestato sul pensiero greco, non ha aiutato, perché tutto il discorso sulla mortificazione del corpo non ha nulla a che fare con il Vangelo dove Gesù si fa baciare e accarezzare i piedi dalla donna peccatrice. Noi ci salviamo anche con il corpo, tutti interi. Questo è un discorso che può essere affascinante anche per le nuove generazioni”.

La scommessa cattolica da rilanciare, allora, qual è? I due sociologi non hanno dubbi: “Affermare che il messaggio cristiano ed evangelico ha moltissimo da dire a questo tempo. Non si tratta di ripetere ciò che è stato detto in passato ma scrivere una nuova pagina nella storia della Chiesa”. Attenzione, però, non si tratta di una scommessa identitaria, di schieramento, ma antropologica: “Il messaggio del Vangelo, che è un messaggio di vita piena, ha qualcosa da dire non solo ai cristiani ma a tutti, è patrimonio dell’umanità. È un punto di resistenza alla tecnocrazie che con l’ideologia libertaria sta rendendo tutti gli individui funzionali a questo sistema. Anche per chi non crede questa è una prospettiva interessante. Il voler ridurre tutto alla fabbricazione, compresa la vita, non è un guadagno di libertà ma una perdita di umanità. Ad esempio, mantenere la differenza tra generare, che richiede la presenza dell’alterità, e fabbricare, che è semplicemente un’estensione del soggetto, è fondamentale”.

L'ECO di San Gabriele
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