Comunque ispirato, l’ordine del giorno approvato, lo scorso novembre, dal Consiglio comunale di Pescara che auspica una modifica dello Statuto regionale per il trasferimento del capoluogo dell’Abruzzo dall’Aquila a Pescara, senza voler scomodare la storia, è rivelatore di grettezza politica e di scarsa capacità di comprendere la contemporaneità.
Se è stato ispirato da un intento sabotatore del disegno della “Nuova Pescara”, o come qualcuno si ostina a chiamarla “Grande Pescara”, ossia la fusione dei comuni di Pescara, Montesilvano e Spoltore, – così come emerso dal referendum del 2014 – cerca di difendere interessi e posizioni di potere ignorando che è una battaglia persa. Il meccanismo di fusione, anche a voler prescindere dalla volontà dei cittadini, è un fatto (esteriore e costrittivo) pressoché inarrestabile. Il determinismo urbanistico, economico, sociale, infrastrutturale e perfino culturale che si è messo in moto – e non da ieri – l’avrà vinta su tutti i mezzucci e le furbizie politiche escogitabili da consorterie e confraternite più o meno trasversali.
Se, invece, non si tratta di una provocazione, ma c’è qualcuno che pensa veramente di modificare lo Statuto regionale per spostare il capoluogo dell’Abruzzo, allora vuol dire che costoro vivono una dimensione altra della realtà. Per essere buoni con loro potremmo definirli metastorici anziché antistorici, visionari anziché allucinati, pseudo-identitari anziché teatranti in cerca d’autore.
Lasciamo stare il passato, i “boia chi molla”, le barricate, le abitazioni date alle fiamme, le rivolte di piazza e le cariche della “celere”: tutto questo appartiene alla storia dell’Abruzzo. No, non è questo il pericolo che si corre con la riproposizione del dibattito dello spostamento del capoluogo di regione. È, invece, la dimostrazione dell’incapacità di capire, da parte di una certa politica, che l’Abruzzo non è una “città-regione”, ma una “regione urbana”. Il punto di forza dell’Abruzzo è questo. Lo individua con grande acutezza uno storico come Costantino Felice quando scrive che “ il policentrismo urbano – la città lineare della costa e la citta diffusa dei parchi- garantisce una crescita variegata e molteplice”. È di élites politiche in grado, allora, di avere una visione d’insieme dell’Abruzzo, di una capacità di proiettarsi su scala regionale e di non guardare al proprio “particulare”, che abbiamo bisogno. Se qualcuno vuole esercitare un ruolo egemonico in Abruzzo lo deve fare allargando la propria visione oltre i confini comunali.
Tutto il resto sono posizioni di retroguardia, non hanno spinta propulsiva. Più che tornare agli antichi malanni del municipalismo, un ceto politico accorto penserebbe, invece, a politiche di riequilibrio territoriale. Diadi invece di dualismi.