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La storia di Kaba, un musulmano ventenne della Costa d’Avorio “adottato” da una coppia di commercianti di Mestre. Diverse le associazioni come Refugees Welcome che mediano tra rifugiati e famiglie pronti a ospitarli

Ci sono quelli, tra i quali molti politici, che dicono “aiutiamoli a casa loro” e quelli che fanno l’esatto contrario e li aiutano in casa propria. Concretamente. Aprendo loro la porta, offrendo ospitalità, condividendo un’esperienza comune. Non sono eroi, ma persone e famiglie normali che, soprattutto all’inizio, devono superare naturali diffidenze e preoccupazioni. Sfuggono, queste famiglie, alle statistiche e ai dibattiti mediatici dove non di rado emerge l’Italia perennemente arrabbiata e diffidente verso gli immigrati, a tratti anche xenofoba e razzista. L’altra Italia, quella dell’accoglienza discreta, non viene mai troppo fuori. Forse perché non fa notizia o non alimenta polemiche.

Cristina Bottazzo e suo marito Luca hanno una tabaccheria vicino Venezia e vivono in una bella villetta non lontano dalla stazione di Mestre. Dopo aver visto un servizio della trasmissione televisiva Le Iene sull’associazione Refugees Welcome, hanno deciso di contattare l’associazione e rendersi disponibili. Da qualche mese ospitano Mohamed – che però tutti chiamano col suo cognome, Kaba, perché più riconoscibile – che ha 20 anni, è musulmano e arriva dalla Costa d’Avorio. Lo trattano come un figlio. Cristina racconta che il giorno in cui è arrivato “eravamo tutti molto agitati”: la preoccupazione della coppia era soprattutto “proteggerlo, fargli conoscere dove abita, cercare di farlo sentire a casa”. Lei stessa ammette che ai primi tempi “era come avere un bambino piccolo, di nuovo. Non l’ho mai provato con le mie figlie, ma sentivo di volerlo proteggere, e avevo paura che lo ferissero”. Kaba è scappato dal suo paese dopo una brutta storia di violenza che ha avuto strascichi anche durante il suo transito in Libia. Non tutto è rose e fiori, ovviamente. Il primo giorno in cui è arrivato Kaba, la famiglia Bottazzo lo ha portato in comune per richiedere la carta d’identità. Kaba ha un permesso di tipo umanitario, una forma di protezione internazionale che dà diritto agli stessi benefici riservati ai cittadini dello stato ospite. Eppure in comune nessuno sembrava disposto a fargliela, come racconta la figlia maggiore dei Bottazzo: “All’inizio gli chiedevano il passaporto. Poi il titolo di viaggio. Dicevano che il permesso di soggiorno non è un documento: io all’università ho studiato che un documento deve avere la data di scadenza, un numero, deve essere fatto da un pubblico ufficiale, la foto: niente. Siamo andati dalla polizia: anche loro ci chiedevano il passaporto”.

Prima di andare a vivere a casa di Luca e Cristina, Kaba era ospite in un Centro della provincia di Padova. “Dopo il trasferimento all’estero per motivi di studio e di lavoro delle nostre due figlie – racconta Cristina -la nostra casa era diventata troppo grande e vuota per me e mio marito e quindi abbiamo deciso di dare un’opportunità a persone veramente bisognose di aiuto”. A far da tramite tra la famiglia Bottazzo e Kaba è stata, appunto, l’associazione Refugees Welcome, nata in Germania nel 2014, e da due anni attiva anche qui col nome di Refugees Welcome Italia. L’accordo che le famiglie stringono con Refugees Welcome è su base volontaria: non c’è nessuno scambio di soldi o rimborso o sussidio, né da parte loro né da parte dello Stato. La coppia o la famiglia accetta di ospitare una persona, solitamente un ragazzo giovane e disposto a integrarsi, segnalato da varie Ong con cui sono in contatto, per un periodo minimo di cinque mesi, garantendogli una stanza, i pasti e un certo grado di fiducia e sostegno. L’associazione si occupa di tutto il resto: selezionare il rifugiato, occuparsi della parte burocratica e della mediazione fra ospiti e famiglie. “Noi – spiega Sara Consolato, una dei soci fondatori di Refugees Welcome – facciamo firmare alla famiglia e ai rifugiati un patto che non ha valore legale in cui si stabiliscono le regole della convivenza”. Regole che non sono uguali per tutti. Spetta alla famiglia e all’ospite decidere come regolarsi nella vita quotidiana, tra incombenze varie, abitudini e i pasti. La famiglia Bottazzo, per esempio, dopo aver accolto in casa Kaba un anno fa adesso ha aperto le porte anche a Dembo, 26 anni, che è scappato dal Senegal, zona di Casamas, per motivi politico – religiosi. “Dembo ci è stato presentato da alcuni amici di Bolzano molto attivi nel volontariato”, racconta Cristina, “a differenza di Kaba, lui arriva letteralmente dalla strada e non aveva un tetto dove dormire”.

Le difficoltà iniziali sono state superate brillantemente: “Il bilancio a distanza di un anno è sicuramente positivo – dice – i ragazzi lavorano entrambi. Kaba si è anche iscritto a dei corsi serali di un istituto scolastico superiore con ottimi risultati perché il suo sogno è diventare meccanico. Aiutano molto in casa e sono molto disponibili. Posso dire che si sono inseriti perfettamente nel nostro mondo e nella nostra quotidianità:cuciniamo spesso assieme,visto che la cucina è un ponte ideale per mettere a contatto culture diverse come le nostre. Ascoltiamo le loro storie e il racconto dei loro mondi, così estremamente diversi, anche tra di loro,visto che Kaba è musulmano e Dembo cattolico. Entrambi però sono accomunati dalla stessa voglia di inserirsi nel nostro paese in questo momento storico dove molta gente, anche senza motivo, è assai diffidente nei loro confronti”.

All’inizio, Cristina e suo marito Luca hanno dovuto affrontare una certa ostilità ambientale di chi gli stava attorno. “Siamo circondati, purtroppo, da una xenofobia strisciante e crescente – dice Cristina – presente anche e soprattutto nelle nuove generazioni, frutto d’ignoranza e pregiudizi. Noi in questi mesi abbiamo sentito i peggiori commenti sulla nostra ospitalità, ma anche parole di apprezzamento e di sostegno. Noi andiamo avanti, nella nostra casa si è instaurato un clima “magico” di allegra serenità, perché, lo confesso, nella nostra famiglia “allargata”, oltre a mangiare bene, si ride tanto ed è anche merito dei nostri ragazzi”.

Il progetto Refugees Welcome va avanti, è ricco di storie come quella di Luca e Cristina. Barbara Cei e suo marito Marco vivono a Verona, vicino alla stazione, e hanno aperto la propria casa a Rashid, un ragazzo di 20 anni che arriva dal Ghana. Severina Mozzon e suo marito Maurizio abitano alla periferia sud di Milano, in mezzo ai campi. Sono una famiglia numerosa, hanno ospitato ragazzi giovani con il progetto di scambio scolastico Intercultura, e in alcuni momenti in casa sono stati anche una dozzina. Avendo una certa esperienza con gli stranieri, hanno contattato Refugees Welcome e messo a disposizione una camera della loro casa per ospitare Lamine, originario della Guinea e arrivato a Lampedusa su un barcone nel 2014. A casa Mozzon, il ragazzo ha imparato a parlare l’italiano e a ricominciare, in un clima familiare, la sua nuova vita.

Il messaggio del papa per la Giornata mondiale dei migranti

Ogni storia di accoglienza è una storia a sé. Però tutte hanno in comune una cosa: cercano di affrontare il tema dei migranti e dei rifugiati salvaguardando – sempre e in primo luogo – la dignità della persona. È esattamente quello che invita a fare papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 14 gennaio. Il pontefice propone quattro azioni concrete: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Per ognuna il messaggio offre anche indicazioni pratiche su come attuare questo invito. L’accogliere diventa “innanzitutto offrire a migranti e rifugiati ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione” in modo che si sfugga al traffico di esseri umani. Sì, dunque, a visti umanitari, ai ricongiungimenti familiari, alla creazione di corridoi umanitari, alla formazione del personale di frontiera perché sappia operare nel rispetto della dignità umana. Forte chiaro il no a “esplusioni collettive e arbitrarie”. Sul proteggere il papa offre suggerimenti pratici come il “riconoscimento e la valorizzazione delle capacità e delle competenze dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati”, che rappresentano “una vera risorsa per le comunità che li accolgono”. Dunque integrazione passando dal mondo del lavoro, perché in esso vi è anche la dignità dell’uomo. Un pensiero il papa lo rivolge anche ai minori, specialmente quelli non accompagnati, affinché, in assenza di documenti reali, diventino apolidi.

Promuovere è l’altra azione indicata da Francesco che invita la comunità che accoglie a “mettere queste persone in condizione di realizzarsi come persone in tutte le loro dimensioni”, compresa quella religiosa, garantendo “a tutti gli stranieri presenti sul territorio la libertà di professioni e pratica religiosa”. E ancora una volta l’integrazione lavorativa è un’azione da promuovere con sempre maggior efficacia.

Infine, bisogna integrare queste persone. Questo non vuole dire affatto assimilare, precisa papa Francesco nel suo messaggio, ma “aprirsi a una maggior conoscenza reciproca per accogliere gli aspetti validi” di cui ogni cultura è portatrice. Ecco allora l’invito ad accelerare questo processo anche “attraverso l’offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici e di percorsi di regolarizzazione straordinaria per migranti che possano vantare una lunga permanenza nel paese”.

L'ECO di San Gabriele
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