VIVIAMO LA VITA SECONDO DIO E NON SECONDO IL MONDO

By Mons. Antonio Riboldi
Pubblicato il 31 Ottobre 2013

Nella solennità di Tutti i santi, che precede la commemorazione dei defunti, la chiesa ama presentarci quello che sarà il nostro vero domani. Sappiamo tutti che questa vita è un breve pellegrinaggio che Dio, il padre, creandoci, “ha pensato” per noi, per giungere alla felicità eterna con lui. E tale è. Così l’apostolo Giovanni descrive il domani dell’eternità: “Dopo di ciò apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nelle mani e gridavano a gran voce: La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello… Uno dei vegliardi, allora, si rivolse a me e disse: Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?. Gli risposi: Signore mio, tu lo sai. Ed egli: Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole bianche nel sangue dell’Agnello” (Apocalisse 7,9-14).

Noi, ci saremo in quella moltitudine? È la domanda che deve accompagnarci nella vita di tutti i giorni, perché, non esserci, vuol dire che abbiamo sbagliato tutto nella vita, andando nella direzione non giusta!

Guardando come troppi vivono alla giornata, senza un pensiero e tantomeno senza darsi un programma di santità, restiamo stupefatti e sembra impossibile tanta sventatezza. È così raro ammirare i tratti della santità o, almeno la tensione verso la santità, nella gente che ci sta attorno, come se questa fosse il privilegio di alcuni e non la vocazione di tutti.

La parola santo, invece, dovrebbe accompagnare la parola cristiano. Ci chiediamo: Chi ci andrà mai, nella moltitudine celeste? È una domanda che sorge soprattutto confrontando la grande fatica che facciamo per trapiantare il divino, che è poi la santità, in noi. Vorremmo essere umili e ci accorgiamo che tanti nostri atteggiamenti sono imbrattati di superbia. Vorremmo essere poveri in spirito per riempirci il cuore di amore e ci troviamo le mani sporche di “cose” a cui siamo attaccati, fino a diventare chiusi e gretti verso la più elementare generosità, che ci insegni a liberarci di noi stessi per aprirci alla luce e alla carità. Vorremmo contenere nel cuore tutta la gente, soprattutto quelli che soffrono e sono poveri e, a volte, siamo insensibili e distratti verso i nostri stessi cari, in famiglia, maligni con i vicini, indisponenti con i colleghi, capaci solo di scegliere la nostra comodità, che porta all’indifferenza.

Fa davvero impressione vedere tanti, e troppi giovani, “bruciare” quotidianamente la vita, come un falò delle vanità, che chiamano “vivere l’oggi”. Verrebbe la voglia di urlare contro tutto quello che si offre come alternativa al cielo: un pugno di illusioni, che sono le mode, e quel buttar via letteralmente il grande bene, che è nella vita santamente vissuta.

Ma chi, su questa terra, ha saputo cogliere la felicità? I tre pastorelli di Fatima, san Luigi Gonzaga, santa Teresina del Bambino Gesù, san Francesco, santa Chiara, san Giuseppe Moscati, e quanti altri volete… o quei “paperoni” della felicità subito e a ogni costo, che bruciano la vita con la droga, l’ubriachezza, nelle spericolate corse in macchina, finendo sbriciolati su una strada, e magari distruggendo intere famiglie? Oppure i tanti che a sera si sentono “vuoti, nonostante tutto” e giungono così alla conclusione che “se questa è la vita, davvero è un inferno-dentro” e sentono il bisogno di una felicità diversa! Viene da chiederci: Ma la santità è accessibile a tutti o solo una scelta eroica di qualcuno che Dio privilegia in modo particolare? Come se, davanti al padre, non fossimo uguali nell’essere amati e chiamati alla felicità! Assurdo pensarlo ma proficuo, soprattutto in questi giorni.

Troppo prezioso il bene della vita, questo dono incomparabile del padre che già qui, se siamo davvero saggi e prudenti, come le vergini del vangelo, possiamo trasformare in un meraviglioso ricamo di fatiche e gioie, impegni e svaghi, amore e amicizia, debolezza e perdono… armoniosamente intrecciati, come i colori dell’arcobaleno. La saggezza evangelica è la via per realizzare belle cose!

Anche il commemorare i nostri defunti, facendo le visite al camposanto, ci aiuta a riflettere sul vero senso della nostra vita. Quelle tombe ci parlano del grande mistero della morte, ma anche, se abbiamo fede, della nuova vita dopo la morte. Non è possibile che tutto finisca lì, sotto una manciata di terra, come se non fossero mai esistiti. Come non è possibile che il grande affetto che ci univa in vita, abbia conosciuto la sua fine. Se c’è un grande bene, che sopravvive sempre, è l’amore, tanto è vero che, non solo visitiamo le tombe, ma sentiamo la gioia e il dovere di pregare per loro, di parlare con loro, di fare qualcosa per alleviare le possibili sofferenze di purificazione, che ancora devono accettare.

Tanti colgono l’occasione per essere generosi nelle offerte ai poveri o nell’offrire messe in suffragio… Tutti beni che affermano la profonda certezza che la nostra vita continua dopo. Ed è il pensiero di quel dopo, che dovrebbe sostenerci nel diventare persone serie, veri cristiani. E in quel dopo tutti, spero, vorremo essere nella “moltitudine immensa, che nessuno poteva contare…”. È possibile, se viviamo la vita secondo Dio e non secondo il mondo.

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