VI RACCONTO FRANCESCO

Pubblichiamo, in esclusiva, alcuni passaggi dell’autobiografia di papa Francesco: LIFE La mia storia nella Storia. Il volume, scritto con Fabio Marchese Ragona, il vaticanista di Mediaset e pubblicato dalla casa editrice HarperCollins, racconta per la prima volta la storia della sua vita, ripercorsa attraverso gli eventi che hanno segnato l’umanità negli ultimi ottant’anni.

Il Papa e l’Europa

La nascita dell’Unione europea fu una delle cose più belle concepite dalla creatività politica. Quei dodici Paesi avevano trovato la chiave per perseguire con successo la sussidiarietà, lungo il solco tracciato dai padri fondatori. Come ha sottolineato un gesuita francese, padre Pierre de Charentenay, l’Unione incarna, a livello europeo, ciò che la Chiesa nei suoi documenti – come per esempio l’en- ciclica sociale di Giovanni XXIII, Mater et magistra, e quella di Benedetto XVI, Caritas in veritate – chiede a livello mondiale: l’esistenza di un’autorità con competenze multiple che possa evitare le derive dei nazionalismi.

Anche per questo i cristiani sono chiamati a dare, oggi più di prima, il loro contributo all’Europa. Possono farlo in due modi: in primis, ricordando che essa non è un insieme di numeri ma di persone; sempre più spesso si parla di cifre, quote, indicatori economici, soglie di povertà, anziché parlare di cittadini, migranti, lavoratori, poveri. Tutto è ridotto a concetto astratto così che a livello politico si possa gestire più tranquillamente, senza creare allarmismi e senza produrre turbamento in chi ascolta. Ma se non si parla in modo chiaro delle persone, che hanno un cuore e un volto, allora questi ragionamenti rimarranno sempre senz’anima.

In secondo luogo, un altro contributo che i cristiani possono dare è riscoprire il senso di appartenenza a una comunità. Questo è il vero antidoto agli individualismi, alla tendenza diffusa oggi, soprattutto in Occidente, a vivere in solitudine. È grave quando così facendo si dà vita a una società priva di senso di appartenenza e di eredità. Lo vediamo, per esempio, quando si affronta la questione dei migranti: sembra che ci siano due Europe, con alcuni Paesi che pensano di poter vivere benissimo la loro vita guardando solo a sé stessi, lasciando altri membri dell’Unione – come per esempio quelli del Mediterraneo: l’Italia, Malta, la Spagna, la Grecia e Cipro – in balia degli eventi, in una situazione d’emergenza. Questo non è fare comunità, questo è vivere un individualismo suicida che può portare soltanto all’autodistruzione. È necessario che tutti, da Nord a Sud, facciano la loro parte per accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti.

Se si gioca una partita in solitaria, invece, si creerà anche uno scollamento affettivo tra cittadini e istituzioni europee, che possono essere percepite come lontane e disattente ai bisogni dei singoli. L’Europa è principalmente una famiglia di popoli: per questo il governo centrale deve tener conto delle necessità di ciascun Paese, rispettandolo nella sua identità e intervenendo se necessita di assistenza in qualsivoglia campo.

Tornando al Trattato di Maastricht, quando lessi la notizia su La Naciòn, il commentatore che raccontava questa novità ricordava che l’Europa, dopo la caduta del Muro di Berlino, aveva adesso bisogno di essere unita perché così avrebbe acquisito più forza per superare tutti i conflitti e mettere fine alle divisioni del secondo dopoguerra.

La regina Elisabetta in quel discorso aveva ragione: uno dei compiti dell’Europa che si stava delineando in quegli anni era proprio quello di preservare e coltivare la diversità dei vari Paesi. Il progetto era ambizioso e si stava camminando sulla scia indicata dai padri fondatori dell’Unione europea, con il loro sogno di armonizzare le differenze.

Durante il mio viaggio a Budapest nell’aprile del 2023 ho incontrato le autorità, esponenti della società civile e del corpo diplomatico: in quell’occasione, richiamando il discorso che ho tenuto al Parlamento europeo di Strasburgo nel 2014, ho parlato proprio della necessità che l’Europa non sia ostaggio delle parti, vittima di populismi autoreferenziali, e che non si trasformi nemmeno in una realtà fluida che dimentica la vita dei popoli. Ho parlato del bisogno di armonia, in cui ciascuna parte si senta integrata nell’insieme e conservi, allo stesso tempo, la propria identità; ogni popolo porta le sue ricchezze, la sua cultura, la sua filosofia e deve poter mantenere questa ricchezza, questa cultura e questa filosofia, armonizzandosi nelle differenze.

Il problema è che oggi questo non avviene più, il sogno dei fondatori sembra essere ormai lontano. E se ne ho parlato proprio a Budapest è perché spero che quelle parole siano state ascoltate sia dal primo ministro ungherese Viktor Orbàn, perché capisca che c’è tanto bisogno di unità, sia da Bruxelles – che sembra voler uniformare tutto – perché rispetti la singolarità ungherese.

Di questa necessità parlò sempre a Strasburgo – nel 1988 e quindi ancor prima della caduta del Muro di Berlino – anche Giovanni Paolo II, che tenne un memorabile discorso al Parlamento europeo: chiarì molto bene il concetto, aggiungendo che gli europei avrebbero dovuto accettarsi gli uni gli altri pur appartenendo a diverse tradizioni culturali o correnti di pensiero, e accogliere anche le persone straniere e rifugiate, aprendosi dunque alle ricchezze spirituali dei popoli degli altri continenti.

Una visione cristiana, questa, che ci permette di trovare nella storia dell’Europa un incontro continuo tra cielo e terra, dove il cielo indica l’apertura al trascendente, a Dio, che ha sempre contraddistinto il popolo europeo. La terra rappresenta invece la sua capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi. Il futuro dell’Europa – la vecchia Europa, stanca e sterile – dipende dalla scoperta del nesso vitale tra questi due elementi. Un’Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un’Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello spirito umanistico che ama e difende.

È necessario che l’Unione oggi si svegli dal torpore, che torni a dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: integrare, dialogare e generare. Dopotutto il Vecchio Continente, se necessario, è in grado di ricominciare da capo: lo ha dimostrato dopo la Seconda guerra mondiale quando tutto era da ricostruire. E ci riuscì perché la speranza non venne mai meno nei cuori di chi stava fondando questo nuovo soggetto politico, mettendo al centro di tutto gli esseri umani. é fondamentale, a tal proposito, che si pensi alla formazione di persone che leggano i segni dei tempi e sappiano interpretare il progetto europeo nella storia di oggi. Altrimenti prevarrà soltanto il paradigma tecnocratico che non attira le nuove generazioni e sancirà la fine di questo progetto.

Quel quadro della Madonna…

Tornando al 1986 e al mio soggiorno in Germania, i miei ricordi si soffermano anche su qualcosa che va oltre la vittoria della coppa del mondo e il gol di mano di Maradona: in quel Paese ho vissuto appieno la mia devozione alla Madonna che scioglie i nodi. Quando ero ancora a Buenos Aires, avevo sentito parlare di questo dipinto, Maria che scioglie i nodi – Virgen Maria Knotenlöserin – che raffigura la Vergine circondata da angeli e intenta, appunto, a sciogliere dei nodi. Il quadro è custodito nell’antica chiesa dei gesuiti di San Pietro sul Perlach che si trova ad Augusta, in Baviera, dove però, purtroppo, non sono mai stato. Se gli impegni me lo avessero permesso, mi sarebbe piaciuto fermarmi in preghiera di fronte a quel dipinto barocco del XVIII secolo, pensando a tutti i nodi che avrei voluto sciogliere in quel periodo della mia vita: pur essendo in un anno sabbatico, preso in accordo con il provinciale, non mancavano polemiche, difficoltà, peccati e ostacoli che sembravano insormontabili.

E in quei momenti, ancora una volta, nonostante tutto sentii la presenza del Signore che mi anticipava e della Madonna: era vicina alla porta del mio cuore e ascoltava le mie lamentele con la pazienza che solo una mamma può avere. Non solo: mi affidai totalmente a lei e sentii che mi stava aiutando a sciogliere i miei nodi. E questo non vale soltanto per me, vale per tutti! La devozione mariana dev’essere così: limpida, bella, pulita, semplice. Occorre mettere sempre davanti a tutto Maria e suo figlio Gesù. Senza intermediari che possono sfruttare il candore o la debolezza del popolo per trarre profitto.

Un giorno trovai un bel po’ di santini che riproducevano il dipinto e, al termine del periodo tedesco, li portai con me a Buenos Aires. Li regalai un po’ in giro, di qua e di là, ad amici, fedeli o conoscenti. Negli anni sono state realizzate diverse riproduzioni della Maria che scioglie i nodi che si trovano ancora in alcune chiese di Buenos Aires, dove questo culto mariano si è rafforzato, attirando sempre più fedeli.

Io nel frattempo, rientrato in patria, ricominciai la mia vita di tutti i giorni, ripartendo dal Colegio del Salvador, proprio a Buenos Aires.

“Life – la mia storia nella storia” è un libro di Papa Francesco edito da HarperCollins (336 pagine, 19 euro). Disponibile anche in versione audiolibro su Audible.

L'ECO di San Gabriele
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