Una vera e propria bontà di antica tradizione realizzata con latte, buccia di agrume, uova e zucchero semolato. E per san Biagio taralli, ciambelline e panicelle
Budino a chi? Tanto facile da realizzare, tanto buono da gustare: il lattacciolo, chiamato anche latteruolo o latteruola. Un dessert al cucchiaio che corona degnamente un pasto raffinato o che rappresenta un tocco finale a effetto di un pasto modesto. Si perviene a questa bontà portando ad ebollizione il latte con buccia di agrume (limone o arancia), battendo in una piccola casseruola le uova con lo zucchero semolato (4 cucchiai) e infine unendo il tutto avendo cura che l’impasto risulti omogeneo. In uno stampo da budino, con il vuoto al centro, si mettono a caramellare lungo le pareti a fuoco lento 2/3 cucchiai di zucchero; a operazione ultimata si aggiunge il composto e si lascia cuocere a bagnomaria in forno per circa 75; minuti oppure, dopo 15-20 minuti di cottura, si passa al forno sempre a bagnomaria e si lascia cuocere per altri 35-45 minuti.
Il lattacciolo, sfizioso antesignano del crème caramel, è un dolce di antica tradizione in Abruzzo, così come nelle altre regione confinanti, quali Marche e Umbria.
L’Abruzzo è noto perché custodisce altre tradizioni che cerca caparbiamente di salvare dall’oblio. Sono feste e sapori che coinvolgono comunità intere e che lasciano i turisti, sia quelli veri e propri che quelli per caso, con gli occhi pieni di meraviglia e con il palato soddisfatto.
Il 3 febbraio, festività di san Biagio, ad esempio, è possibile lucrare sia la benedizione della gola – per allontanare i mali a essa collegati – sia per gustare taralli, ciambelline e panicelle.
“Per san Biagio il mitrato, il freddo è andato” recita un vecchio proverbio, e al vescovo martire di Sebaste, in Armenia, molto venerato negli ambienti rurali, sono dedicate feste e fiere suggestive e affollate. Il suo patrocinio non è solo medico ma è legato ad antiche professioni come quelle dei cardatori di lana in quanto egli fu straziato con pettini di ferro per essersi rifiutato di rinnegare la fede cristiana.
A Taranta Peligna (CH) si preparano le panicelle piccoli pani dalla lunga lavorazione e rituale di cottura, a base di farina e acqua dalla forma di una mano benedicente con tanto di timbro della confraternita dei cardatori e quello dei funai. San Biagio è patrono di Bussi sul Tirino (PE) dove vengono preparati i ciamball (ciambelle infornate) e i ciamball allessat (ciambelle lesse e poi infornate) e Ju ciambelloun, un grosso ciambellone dal diametro di 80 cm che viene messo come premio della lotteria, ricoperto di glassa decorata con le codine e i confetti di Sulmona. È anche protettore di Fontecchio (AQ) e dell’intera valle Subequana dove avviene anche qui la distribuzione delle ciambelle benedette e il bacio della reliquia. A tal proposito in Abruzzo, precisamente a Penne (PE), è venerato il cranio del santo, mentre a Giulianova è conservato il suo braccio racchiuso in un prezioso reliquiario d’argento della stessa forma e con la mano benedicente che stringe una palma, datato 1394 e realizzato da Bartolomeo di ser Paolo da Teramo.
La grande venerazione verso questo santo, nel nostro Abruzzo dall’antica cultura pastorale, non è casuale. La “scardassatura” è un processo che vede l’utilizzo di due pettini di ferro, i cardacci, per sfilacciare la lana ed eliminare i nodi. Nell’iconografia cristiana san Biagio è raffigurato con un pettine in mano. La sua festa, posta all’inizio di febbraio, si colloca fra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera ed è carica di notevoli significati e valenze socio-culturali proprie delle società agro-pastorali.
A noi dell’Abruzzo del gusto, che ogni mese proponiamo allettanti proposte culinarie, è sorto un interrogativo: ma è a san Biagio, sotto il cui patrocinio ricade la gola, che i buongustai si devono appellare per limitare le pene inflitte al corpo e all’anima per i peccati di gola?