UNA VOCE OLTRE PIAZZA SAN PIETRO
Il Giubileo per papa Francesco sta diventando il tempo giusto per annunciare la buona notizia, come lui sa fare, ai popoli del mondo. Ogni catechesi pubblica è orientata in questo senso. Ogni suo abbraccio con l’umanità dispersa e disperata. Instancabile nei suoi viaggi apostolici Il popolo di Dio, cioè la chiesa, non ha bisogno di soldi sporchi. Se viene qualche benefattore con un’offerta frutto del sangue di gente sfruttata, maltratta, schiavizzata, con il lavoro mal pagato, io dirò a questa gente, per favore portati indietro il tuo assegno, brucialo». Così papa Francesco, nell’udienza generale dello scorso mercoledì 2 marzo in piazza San Pietro, quando non ha fatto sconti a nessuno ed è stato fin troppo chiaro, andando oltre i “confini” del politicamente corretto. A cominciare dal dramma dell’immigrazione. Commentando, infatti, le parole del profeta Isaia, ha detto: “Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso: rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova, pensate ai tanti profughi che sbarcano in Europa e non sanno dove andare”. Se si compiono le opere di misericordia, tra cui il soccorso ai profughi, allora, ha spiegato papa Francesco, “i peccati diventeranno bianchi come la neve. Dio, mediante il profeta, parla al popolo con l’amarezza di un padre deluso: ha fatto crescere i suoi figli, e ora loro si sono ribellati contro di lui. Persino gli animali sono fedeli al loro padrone e riconoscono la mano che li nutre; il popolo invece non riconosce più Dio, si rifiuta di comprendere. Pur ferito, Dio lascia parlare l’amore, e si appella alla coscienza di questi figli degeneri perché si ravvedano e si lascino di nuovo amare. Questo è quello che fa Dio! Ci viene incontro perché noi ci lasciamo amare da lui nel cuore del nostro Dio”.
Il Giubileo, per papa Francesco, sta diventando il tempo giusto per annunciare la buona notizia, come lui sa fare, ai popoli del mondo. Ogni catechesi pubblica è orientata in questo senso. Ogni suo abbraccio con l’umanità dispersa e disperata. Instancabile nei suoi viaggi apostolici, e aiutato in ciò da un cardinale segretario di stato, Pietro Parolin, non solo affidabile ma che ha dato una svolta dinamica alla politica estera della santa sede, trova sempre il giusto timbro per coniugare misericordia e giustizia. In capo al mondo, o dentro le mura leonine.
Ben consapevole delle guerre fratricide che si stanno consumando in particolare lungo i confini del Mediterraneo e dei rischi che tutto ciò comporta, come il dramma dell’immigrazione, ha capito che solo da un abbraccio con le fedi sorelle potranno germogliare semi di speranza. Non è un caso che a Cuba ha incontrato il patriarca di Mosca, Kirill, non è un caso che la sua amicizia con il patriarca della chiesa greco-ortodossa Bartolomeo I è un fatto concreto, come non è un caso l’incontro che ha avuto con la chiesa valdese. I cristiani nel mondo rischiano di scomparire perché sono perseguitati dai regimi totalitari. È un “martirio del sangue”, questo, che non può non far riflettere il cristianesimo nella sua interezza, oltre le dispute teologiche che convivono da secoli e le discordie sul ruolo del ministero petrino.
Papa Francesco cerca instancabilmente i suoi fratelli nella fede e dialoga con ebraismo e islam. In ciò, è politicamente “scorretto”. Non sta lì a fare l’arbitro di un mondo che sembra aver perso i suoi riferimenti etici. Scommette, invece, sul povero, su chi soffre, su chi è perseguitato, su chi è costretto a scappare dalla terra natia perché altrove c’è, forse, uno scampolo di libertà. I suoi viaggi in direzione “ostinata e contraria”, incontrando le periferie del mondo, sono viaggi della speranza per tutti coloro che la desiderano, o che forse la sognano solo.
Poi, certo, c’è un Giubileo da portare avanti, anche dentro “oltretevere”. C’è la riforma della curia, che pare un po’ ferma ai nastri di partenza, c’è la riforma delle strutture economiche della santa sede, c’è l’esortazione apostolica su risultati del sinodo della famiglia (quando i lettori leggeranno questo articolo probabilmente l’esortazione sarà stata promulgata, ndr) da leggere e commentare, c’è la malattia, ancora da estirpare, dei preti pedofili, c’è una chiesa italiana in via di rinnovamento sotto la lente paterna di Pietro.
E ci sono tanti, tantissimi nuovi vescovi che Francesco ha nominato in questi ultimi mesi, in particolare in Italia. Un nuovo scenario pastorale che vede la chiesa italiana ridefinirsi nella sua classe dirigente, nelle sue prospettive pastorali e nella sua dimensione teologica.
Insomma, il pontificato di Francesco è in piena fase di attuazione. E c’è qualcuno (i detrattori esistono sempre) che, sotto sotto, per mettere in difficoltà il papa, si aspetta che piazza San Pietro sia sempre con meno gente, quando, invece, tutto il Giubileo della misericordia è pensato e vissuto “in uscita”, verso le altre porte sante della vita e del mondo che sta fuori.
La scommessa di papa Francesco si gioca fuori da piazza San Pietro. È questo il punto fondamentale del suo pontificato. Anche se per attuare questo suo intendimento, Francesco non esita a far sentire la sua voce all’interno del palazzo apostolico.
Da gesuita, da buon gesuita. La rivoluzione continua.