UNA VITA PER GLI EMIGRANTI

Era nata a Sant’Angelo Lodigiano. E lì sarebbe rimasta tutta la vita a fare la maestra se non avesse incontrato un grande vescovo, il beato Scalabrini che l’aiutò a scavare dentro di sé, rivelando lei a lei stessa. Per la prima volta sentì che la sua vocazione autentica era di partire missionaria. Dove non lo sapeva. Quando si era fatta religiosa e aveva preso i voti, aveva voluto aggiungere al suo nome quello di Francesco Saverio, in omaggio al santo gesuita san Francesco Saverio che si era spinto fino in Cina. Forse – pensava madre Cabrini – la Cina era la sua meta e il suo destino. Ma dentro di sé nutriva molti dubbi, le restava solo il fervore, l’entusiasmo, la passione in un corpo minuto e dalla salute incerta.

Partire, evangelizzare, erigere chiese, convertire, fondare scuole, orfanotrofi: erano questi i pensieri che rimuginava dentro di sé ma questa Cina le appariva ancora confusa, come un sogno appannato. E un giorno si decise ad andare a Roma per chiedere consiglio al santo padre. Lo incontrò nei giardini vaticani e a Leone XIII confessò la sua incertezza. Voleva però che il pontefice approvasse il suo progetto e la incoraggiasse a partire per la Cina. Ma il papa, guardando questa figura esile ma dall’aria decisa, una suorina che non sembrava fatta per lunghi viaggi e per pesanti fatiche le disse che invece bisognava guardare a Ovest: “Non a Oriente ma a Occidente”, al di là dell’Atlantico.

Dagli ultimi anni dell’ottocento era cominciava la massiccia migrazione italiana verso l’America. Le guerre d’indipendenza e la politica piemontese avevano indebitato le casse dello stato e imposto all’Italia meridionale – già stremata – tasse e balzelli, come la tassa sul macinato. Per di più migliaia di giovani diciottenni erano stati strappati dal lavoro dei campi per prestare servizio militare che non esisteva nello stato borbonico. La fame, la miseria, i magri raccolti, la crescita demografica, l’assenza di una politica sociale, aveva spinto masse immense di contadini verso gli Stati Uniti e il Sudamerica. A partire per primi furono i piemontesi, poi i veneti e i friulani, seguiti dalla grande emigrazione dell’Italia del Sud. Dal 1876 al 1900 furono più di dieci milioni gli italiani che si imbarcarono per cercare fortuna dall’altra parte del mondo. Un viaggio verso l’ignoto di gente analfabeta (era altissimo il tasso di analfabetismo nella popolazione), famiglie intere che lasciavano la propria terra, uomini che abbandonavano moglie e figli per un pezzo di pane in paesi sconosciuti.

Cominciò così l’avventura di madre Cabrini, la prima donna missionaria che decise che il suo campo di apostolato non sarebbe stata la conversione dei cinesi ma l’assistenza ai nostri emigranti che vivevano in condizioni disperate. Migliaia e migliaia di braccianti che sbalzati da oscuri paesi del Meridione nell’immensità dell’America, fra gente tanto diversa, emarginati nelle grandi metropoli di Chicago e New York, addetti ai lavori più umili, separati dagli stessi italiani di altre regioni da dialetti incomprensibili (Garibaldi e i generali piemontesi in Sicilia si servivano di interpreti) vivevano il dramma della solitudine. Madre Cabrini cominciò a fondare scuole, case di assistenza, ospedali, convitti per le ragazze, uffici per le pratiche burocratiche dei lavoratori, istituti per anziani, orfanotrofi. Mise le suore a disposizione degli emigranti per la corrispondenza con le loro famiglie, organizzò scuole di lingua inglese e spagnola, dette agli italiani il senso di comunità e di famiglia. Era entrata negli Stati Uniti senza un soldo e tutte queste iniziative nacquero dalla sua forte personalità che seppe coinvolgere i ricchi americani a finanziare le sue opere oltre che da una fiducia assoluta nella Provvidenza.

Fragile com’era imparò ad andare a cavallo, a spostarsi a dorso di mulo su grandi distanze, attraversò le Ande per andare in Argentina, percorse migliaia di chilometri da una città all’altra, si inoltrò all’interno del paese per raggiungere le più lontane comunità di emigranti, venne a contatto con tribù indiane, fece per ben ventiquattro volte la traversata Genova-New York su navi che impiegavano allora non meno di due settimane, condivise con gli emigranti viaggi estenuanti. E trovò anche il tempo di fondare una congregazione, quella delle suore missionarie che si estese rapidamente negli Stati Uniti e in Sudamerica.

Malgrado questa frenetica attività in otto nazioni, sostenuta da una fede granitica, la sua vita negli Stati Uniti fu relativamente breve e pare impossibile che abbia potuto realizzare tante opere in così vasti territori che vanno dal Minnesota al Cile all’Argentina. Ebbe la cittadinanza americana nel 1909 e si spense a Chicago nel 1917 mentre si apprestava a partire per un’altra avventura di carità.

Pio XII la proclamò santa e patrona degli emigranti. La prima santa americana. Una donna che nata in un piccolo e sconosciuto paese lombardo mai avrebbe immaginato che qualcuno l’avrebbe condotta per le vie immense del mondo.