UNA TESTA MATTA di SUCCESSO

intervista a Salvatore Striano
By Gino Consorti
Pubblicato il 2 Ottobre 2015

E’ proprio vero che per conoscere un abisso bisogna averne prima toccato il fondo. Altrettanto vero, però, è che nessun abisso è senza ritorno. C’è sempre una possibilità per uscirne fuori, c’è sempre una corda a cui aggrapparsi per iniziare la risalita. Una corda che Salvatore Striano, 43 anni, ex camorrista e oggi attore di successo, non si è lasciato sfuggire.

Nato nei quartieri spagnoli di Napoli, è il terzo di quattro figli. Suo padre lavorava al porto mentre la madre si arrangiava vendendo qualche vestito in strada. Gente umile e con il senso della famiglia e del lavoro. Sasà, così era noto Salvatore tra i vicoli napoletani, ha avuto un’infanzia da brividi. E non solo quella. La vita, si sa, non fa sconti a nessuno, neanche a chi parte qualche metro dietro… La famiglia Striano, infatti, a stento riusciva ad assicurare un piatto di pasta a tutti… Parliamo degli anni ottanta, il terribile terremoto in Campania ha lasciato ferite pesanti, sia negli edifici che nel cuore della gente. Un giorno, però, Flora, 4 anni, la sorella più piccola di Sasà si ammala di epatite e mamma Carmela si trasferisce con lei in ospedale. Per due mesi non la lascia sola neanche un istante. A casa, dunque, restano i tre figli e il papà che ogni mattina si alza alle cinque per far rientro a tarda sera. Ecco, allora, che la vita di Sasà prende una brutta direzione. Di quelle sbagliate… A nove anni smette di frequentare la scuola all’insaputa di tutti e la strada diventa la sua nuova casa abitata da altri scugnizzi. Inizia così a vendere birre e sigarette di contrabbando agli americani, quindi qualche scippo lungo la via dei grandi alberghi e poi l’esperienza devastante della cocaina. Arrivano le prime denunce e a 15 anni conosce addirittura lo stridio delle porte e il cigolio delle chiavi del carcere… Da quel giorno sarà un andirivieni dagli istituti di pena: processi, condanne, latitanza. Nella sua vita si spegne la luce e sua madre, donna piena d’amore e dal carattere forte, trascorre le notti sul balcone in attesa che quella “testa matta” torni a casa…

Come in una fiaba, però, un giorno la vita di Sasà cambia nuovamente direzione. Nell’abisso in cui è sprofondato trova un’incredibile via d’uscita e di riscatto: il teatro. Un ergastolano, mostrandogli un copione, gli chiede se vuol recitare il ruolo di una donna in una commedia da rappresentare all’interno del carcere di Rebibbia. Dopo la perplessità iniziale, tanto per usare un eufemismo, Sasà accetta il ruolo e la sua vita svolta. S’innamora di William Shakespeare, i suoi scritti lo faranno volare al di sopra di ogni muro e barriera. E attraverso il pentimento e l’amore riuscirà finalmente a illuminare nel suo cuore la gioia della vita, fino ad allora rimasta nell’ombra. In pratica la lettura e il teatro d’incanto sostituiscono le gocce di psicofarmaci a lui necessarie per sopportare la vita carceraria.

San Giovanni Bosco ai suoi educatori ripeteva in continuazione che in ogni giovane, anche in quello più disgraziato, c’è sempre un punto accessibile al bene. Occorre dunque cercare quella corda sensibile del cuore e trarne profitto… I vari Fabio Cavalli, Matteo Garrone, Guido Lombardi, Stefano Incerti, Andrea Bosca, Toni D’Angelo, i fratelli Taviani, Alessandro Piva, Carmine Elia, Alexis Sweet, Marco Pontecorvo, Emanuela Giordano, Annaraisa Favale, Andrea De Rosa, Alessandra Cutolo, Abel Ferrara e Marco Risi quella corda l’hanno trovata trasformando un ex camorrista in un brillante attore di teatro, cinema e tv. Matteo Garrone, ad esempio, l’ha scritturato per il film Gomorra, tratto dal bestseller di Roberto Saviano, pellicola che nel 2008 ha ricevuto la candidatura all’Oscar come miglior film straniero; Paolo e Roberto Taviani, invece, gli hanno affidato il ruolo da protagonista di Bruto nel film Cesare deve morire, vincitore del prestigioso premio Orso d’oro al Festival di Berlino. Un successo che mancava all’Italia da ben ventuno anni… Insomma, da quando ha chiuso i conti con la giustizia Salvatore Striano ha conseguito una serie incredibile di premi e riconoscimenti. Il prossimo 8 ottobre uscirà al cinema Viva la sposa, il nuovo film di Ascanio Celestini (distribuito da Parthenos) dove appunto Salvatore Striano interpreta Sasà con un ruolo da protagonista.

Nella nuova vita di Salvatore, però, trova spazio anche la scrittura… Da poco,  infatti, è uscito in libreria Teste Matte (Chiarelettere, pp.623, euro 17,90) un travolgente e bellissimo romanzo, scritto con Guido Lombardi, dove racconta il suo passato. Pagine avvincenti sulla storia vera ed estrema di un gruppo criminale – Le teste matte – che ha osato combattere la camorra con le sue stesse armi.

Potevamo, allora, farci sfuggire una storia così cruda quanto bella? Potevamo, allora, ignorare il riscatto di un uomo che, lacerato dai rimorsi e dal pentimento, ha deciso di non buttare dietro le spalle la sofferenza ma di utilizzarla per gli altri, soprattutto per coloro a cui nessuno offre un’altra opportunità? Le colpe e il passato burrascoso, ovviamente, restano lì e sarà Dio a giudicarli, il suo riscatto, però, è un esempio straordinario che merita d’essere conosciuto. Così sono andato a trovarlo a Mantova, in occasione del Festival della Letteratura. Già, quella letteratura che nella società, ricordiamocelo sempre, ha il compito importantissimo di far riflettere…

In un pomeriggio afoso di metà settembre Salvatore Striano arriva in treno dalla sua Napoli dove il giorno prima ha presentato Teste Matte. La sua agenda è farcita di appuntamenti, ma con grande cortesia e disponibilità si mette a disposizione. Durante l’intervista più d’una volta la voce sarà rotta dalla commozione e il suo volto si bagnerà di lacrime. Vi assicuro che entrambe appartengono al suo cuore e non al suo copione…

Dalla camorra al festival di Venezia, dai furti e la cocaina al palcoscenico, dal carcere alla candidatura all’Oscar: la tua vita, Salvatore sembra lo spot del bisogno dell’uomo di abbandonarsi al sogno…

Sicuramente. Ma anche un chiaro messaggio a quanti credono che chi cade non possa rialzarsi… C’è sempre tempo, invece, per fermarsi quando si è dannosi…

La vita con te ha giocato subito duro. Quanto era difficile per un ragazzino come te tenersi fuori dai guai?

Sinceramente era più facile finire nei guai che tenersi fuori.

Perché?

Non saprei individuare una sola causa, so solo che la possibilità di finire nel mondo criminale era più alta di quella di continuare gli studi… Era molto più forte il fascino di un boss rispetto a quello di un insegnante che, magari, non aveva neanche gli strumenti idonei per svolgere compiutamente il suo ruolo. Di conseguenza si sceglievano altre strade…

Cosa che hai fatto a nove anni scegliendo la strada come scuola di vita… Perché?

Perché sono figlio del terremoto degli anni ottanta… All’epoca i quartieri spagnoli di Napoli erano diventati un’unica grande famiglia che si riuniva in mezzo alle piazze. C’era chi dormiva sui cartoni o nelle tende, c’era il contrabbando e tante altre cose. Insomma, da incosciente quello che mi girava intorno lo ritenevo veramente bello, perciò era molto più facile essere distratti dal malaffare.

E dire che soprattutto tua madre, quella che trascorreva più tempo in casa, ti stava col fiato sul collo. Passava nottate insonni sul balcone in attesa che rincasassi…

È vero, ha lottato con tutte le sue forze affinché cambiassi strada, anche se il suo grande amore, rivisto con gli occhi di oggi, potrebbe in qualche modo aver pesato in negativo nel mio comportamento…

Cioè?

Il troppo amore portava a proteggermi in ogni situazione e forse questo era sbagliato, mi faceva tra virgolette del male. Oggi, da uomo adulto, non mi comporterei come lei… Ad esempio se una mattina pioveva per lei era il giorno buono per restare a casa nel caldo del letto…

Lei ha sempre desiderato di essere madre, di avere dei figli a cui donare amore e attenzione…

Però la vita sembrava non volesse assecondare questo suo grande sogno. Nei primi otto anni di matrimonio, infatti, i figli non arrivavano. Tant’è che la nostra sorella maggiore è stata “miracolosamente” adottata…

Cosa intendi per miracolosamente?

Un giorno una giovane prostituta amica di mia madre le lasciò in custodia la figlia di due mesi per poi riprenderla a fine lavoro… Quella notte, però, la poveretta fu uccisa così mia madre si ritrovò con quella bimba in casa. Per anni non disse nulla, poi, però, raccontò tutto alle autorità e la bambina fu regolarmente adottata. Nel frattempo, sette mesi dopo quella “inaspettata maternità” rimase incinta, forse perché si era mentalmente sbloccata…

Che rapporto avevi con lei?

Un rapporto di amore e guerra, direi più guerra che amore… Ricordo lanci di bottiglie, botte. Lei mi chiamava “guerra persa” nonostante facesse di tutto per portarmi sulla retta via.

Con tuo padre, invece, come andavano le cose?

Per via del lavoro in casa c’era poco e il nostro rapporto è diventato più forte quando ho compiuto 18 anni. Bastava uno sguardo per capirsi, ma anche per lui non è stato facile avere un figlio come me… Sono state tante, infatti, le situazioni brutte che gli ho fatto vivere. E alla fine, poveretto, si è perso pure lui…

In che modo?

Era diventato schiavo del gioco, un vizio quasi ossessivo. Accumulava debiti su debiti…

Torniamo alla tua infanzia. Dopo aver abbandonato la scuola come riempivi le giornate in strada?

Ad esempio procurando le sigarette di contrabbando agli americani oppure accompagnandoli dalle prostitute. Ovviamente in cambio avevamo del denaro. Racimolavamo qualcosa anche dalle prostitute più brutte visto che comunque riuscivamo a farle lavorare portando loro clienti facoltosi e ubriachi…

Invece cosa cercavi nella cocaina?

Ho iniziato perché spiavo gli adulti mentre tiravano quella polvere bianca… Quando giocavano a carte, ad esempio, erano sempre mosci, non appena però sul tavolo compariva la cocaina diventavano vivaci e brillanti… Allora aspettavo che andassero via per provare l’effetto…

Come andò?

Sinceramente all’inizio non ci trovavo nulla di “miracoloso” se non il fatto di sentirmi più grande e importante solo perché avevo sniffato… Poi, però, pian piano la droga prese il sopravvento sul mio cervello facendomi vedere cose che non esistevano… Ero in preda alle allucinazioni, vedevo gente che mi spiava, che voleva uccidermi, la polizia che mi dava la caccia, m’immaginavo di tutto.

A quattordici anni arriva il primo furto…

C’era bisogno di un corpo piccolo ed esile che passasse in un buco che dava accesso a un grosso negozio di giocattoli. Un gruppo di adulti, allora, si rivolse a me: in due giorni, il sabato e la domenica notte, prima della riapertura del lunedì, svuotammo l’intero negozio…

Quale fu la tua parte?

Mi diedero 2 milioni di lire.

Come impiegasti quel denaro?

Purtroppo non spesi neanche una lira in quanto andò perduto…

In che modo?

Per tenerlo nascosto a mia mamma sistemai il denaro in una fessura del muro del nostro vecchio bagno di casa. Un giorno, però, tornando a casa dopo aver dormito alcune notti fuori, vidi che all’esterno della nostra abitazione c’era un’impalcatura. Stavano facendo dei lavori… Corsi immediatamente in casa e una volta nel bagno mi accorsi che avevano tirato giù tutti mattoni…

Cosa facesti?

Raccontai tutto a mia madre e con le mani iniziammo a scavare. Purtroppo la ricerca fu vana.

Perché la pazza idea di combattere la camorra?

All’inizio provammo con il dissenso, quando però ci accorgemmo che non bastava più ci organizzammo raccogliendo sempre più adesioni da parte di chi lamentava soprusi e violenze da parte loro. In un certo senso eravamo delle teste matte dalla parte della gente, praticamente siamo diventati un clan per cacciare via la ca-morra dai nostri quartieri.

Ma il soprannome Teste Matte come nasce?

Furono i carabinieri a darcelo quando seppero che noi, quattro scugnizzi di strada, volevamo combattere la camorra… Noi, infatti, eravamo diventati particolarmente abili nello scippo e nei furti così un bel giorno la camorra ci chiese di dividere con loro i proventi… Fu così che ci ribellammo ed ebbe inizio la “guerra”…

Però da uno striscione esposto allo stadio nella curva del Napoli nacque un grande equivoco che giocò a vostro favore…

Proprio così. Teste Matte era il nome di un nutrito gruppo di tifosi napoletani che però non c’entrava nulla con noi. Entrambi venivamo dai quartieri spagnoli, noi però appartenevamo alla brigata Carolina che all’interno dello stadio trova posto appunto accanto alle Teste Matte. Siccome in alcune segnalazioni della Digos si faceva riferimento alla nostra presenza nella curva napoletana, ecco che il collegamento fu quasi scontato… Quel gruppo di tifosi, però, non aveva nulla a che fare con noi, ma essendo composto da quasi mille persone a noi faceva gioco far credere il contrario…

Invece voi eravate quattro gatti…

Al massimo dieci morti di fame strafatti di cocaina. Quella falsa forza, però, ci consentiva di vivere di rendita…

A quindici anni, poi, arriva l’esperienza del carcere…

Per il possesso di una pistola. Fui condannato a 10 mesi, pena sospesa, e dopo due giorni tornai in libertà. Tre mesi dopo, però, mi arrestarono nuovamente. Avevo addosso 2 grammi di cocaina.

Nella tua difficile adolescenza, però, c’è stato spazio anche per un grande amore. A 17 anni, infatti, per strada incroci lo sguardo innocente di una graziosa ragazzina di 13 anni di nome Monica. Qualcosa di più di un colpo di fulmine…

Monica è stata la mia fortuna visto che da subito provò a togliermi l’esaltazione dalla testa curandomi con l’amore. Lei era bellissima e ne ero perdutamente innamorato. Senza dubbio ha recitato un ruolo fondamentale nel mio cambiamento. Non smetterò mai di ringraziarla.

Ancora minorenne Monica disse ai suoi che sarebbe andata a vivere con te. Non le bastava più il ruolo di fidanzatina a distanza…

Così diventarono due le donne che ogni notte affacciate al balcone aspettavano con ansia il mio ritorno… Lei e mia madre facevano di tutto per tirarmi fuori dai guai.

Al punto che Monica diventò un problema per te e la tua banda…

Infatti… Quando non mi vedeva rientrare si appostava sotto i balconi dei nostri “rifugi” e mi chiamava a squarciagola invitandomi a tornare a casa… Questo, ovviamente, ci creava problemi in quanto diventavamo un facile bersaglio, sia per le bande rivali, sia per la polizia…

E tu come ti comportavi?

Al primo urlo scendevo in strada e me ne andavo via con lei…

Una grande amore che nel 1995 sfocia nel matrimonio…

Appena uscito di prigione le chiesi la mano… Il suo sì fu immediato, aveva appena compiuto 18 anni.

Cambiò qualcosa nella tua vita con l’anello al dito?

Assolutamente no, non fui in grado neanche di regalarle un viaggio di nozze. Dovevo firmare ogni sera in caserma, dove avrei potuto portarla? Ricordo che pianse tantissimo e purtroppo non fu l’unica volta… Accanto a me non ha avuto certamente una vita facile. Negli ultimi anni, invece, per la precisione nove, da quando ho chiuso i conti con la giustizia e ho intrapreso la carriera di attore Monica vive decisamente più serena. Riesce a tenermi per mano e la notte non sudiamo più per la paura…

A proposito di paura, un giorno mentre eri a Genova a seguire una partita del Napoli tua madre ti disse che la Polizia era venuta a casa per arrestarti: associazione a delinquere di stampo camorristico. Avevi 23 anni…

Mi chiese subito spiegazioni e io le dissi che non avevo combinato nulla di male. Aggiunsi che non mi sarei assolutamente consegnato… Interruppi la comunicazione e iniziai la latitanza. Nel frattempo lei si era ammalata di cancro e dopo qualche mese, una notte andai a trovarla a casa. Mi disse subito che lì non sarei potuto restare così decisi di trasferirmi in casa di una mia cugina, nella zona orientale di Napoli, vicino Ponticelli. Una mattina, però, la polizia del mio quartiere venne a cercarmi anche lì, di conseguenza la mia copertura non era più sicura… Riuscii comunque a scappare anche se in quell’occasione si verificò un qualcosa di molto brutto…

Cioè?

Chi li vide disse che i poliziotti spararono per uccidermi… A quel punto, allora, de-cisi di lasciare l’Italia rifugiandomi in Spagna. Io e Monica raggiungemmo Torremolinos dove affittammo per tre mesi una stanza in un residence.

Di cosa vivevate?

I primi tempi sono stati molto duri, anche a causa della lingua. Andavamo avanti con i proventi del furto di alcuni orologi Rolex rivenduti successivamente in Italia… Un giorno, poi, conoscemmo una famiglia spagnola che gestiva un’agenzia di viaggio. La madre del titolare si innamorò della cucina di mia moglie e così ci fece un’offerta. Monica le avrebbe cucinato piatti napoletani e lei in cambio ci avrebbe dato i biglietti di aereo per tornare in Italia. All’epoca mi facevo chiamare Antonio.

Accettaste l’offerta?

Sì e ci trovammo benissimo, era una vera e propria famiglia. Per un anno, inoltre, trovai lavoro da un suo parente che aveva uno stabilimento in spiaggia. In Spagna ormai ci eravamo ambientati, anche se tutte le notti io e mia moglie ci tenevamo stretti come fosse l’ultima…

Quanto è durata la latitanza?

Tre anni.

Durante questo periodo un giorno si presentò a casa tua madre Carmela…

Non scorderò più quel momento… Disse a mia moglie di spostarsi in un’altra stanza in quanto voleva restare con me. Dormimmo in-sieme tre giorni nello stesso letto, era venuta a salutarmi per l’ultima volta… Lei stava morendo di cancro, ma io non l’avevo capito… Dopo quattro mesi, però, fui arrestato a Malaga e da lì mi trasferirono nel carcere di Madrid. Il giorno del suo onomastico, Santa Carmela, le telefonai per farle gli auguri ma lei, piangendo, mi disse che non ce la faceva più, che era arrivata alla fine…

Le cure non avevano funzionato?

Appena seppe di avere il cancro rifiutò di fare la chemioterapia. Principalmente perché non voleva lasciarci in casa da soli, e poi perché non voleva perdere i capelli. Successiva-mente, però, riuscimmo a convincerla ma ormai quella malattia infame si era impadronita del suo corpo.

Come terminò quella telefonata?

Lei piangeva, ma visto che al telefono le capitava spesso sbuffai un po’, le dissi che non doveva farmi sentire così anche il giorno del suo onomastico… E riattaccai. Dopo un’ora, però, mentre mi trovavo nel cortile del carcere vidi in cielo uno strano volteggiare di uccelli, ebbi una strana sensazione e così decisi di chiamarla nuovamente. Al telefono, però, c’era una fila incredibile. Cortesemente chiesi a tutti di farmi fare un’altra telefonata, brevissima. Mi rispose mia sorella dicendomi che mamma non c’era più…

Cosa hai provato in quel momento?

Quello che prova un criminale… Il criminale è un bastardo, uno che non riesce neanche a salutare la madre che sta morendo non può che essere l’ultimo degli uomini… Le prime persone che i criminali smettono di amare sono proprio le persone a loro più vicine. E nemmeno se ne accorgono…

Tuo padre, invece, è morto prima di tua madre…

Fu colpito da un infarto il giorno in cui mi arrestarono in Spagna… Telefonai dalla questura a casa di un’amica di mia madre che abitava nel nostro palazzo e me lo feci passare. “Ciao papà – gli dissi – sono tuo figlio Antonio, sono in questura in Spagna perché mi hanno arrestato…

E lui?

“Ma quale Antonio, mio figlio si chiama Salvatore…”. Subito dopo cadde a terra… Successivamente mi dissero che era stato ricoverato in rianimazione ma ogni tentativo di salvarlo fu vano. In un certo senso, però, lui fu contento di morire in quanto dopo la malattia di mia madre non faceva altro che ripetere che non avrebbe voluto assistere alla sua morte… Venni a sapere della sua scomparsa dopo una settimana, durante un colloquio con mia madre.

Nel carcere di Madrid ci resti circa un anno e mezzo in attesa dell’estradizione nei confronti della quale ti sei opposto sino alla fine. Perché?

Tra le carceri spagnole e quelle italiane c’è un abisso… Avrei voluto scontare lì la mia condanna…

Quanti anni avevi ancora di reclusione?

Nove.

Le accuse?

Associazione, estorsione e possesso illegale di armi.

Una volta a Rebibbia, però, la vita bussa alla porta della tua cella offrendoti un’altra opportunità. Questa volta indossa i panni di donna Amalia, una protagonista della famosa commedia Napoli  milionaria scritta da Eduardo De Filippo…

Proprio così. Un amico mi chiese di partecipare a un laboratorio teatrale per “evadere” dalla cella, per impiegare il tempo in modo migliore. Mi disse però che avrei dovuto recitare il ruolo di una donna…

Immagino la tua sorpresa…

Una donna…? Gli dissi che mi vergognavo ma alla fine mi convinse. Il personaggio di donna Amalia, però, era molto più bello di me e in quel momento capii che ci sarebbe potuto essere anche un altro Salvatore Striano. Io non ero quel delinquente da quattro soldi che faceva il guappo nei vicoli di Napoli… Dentro quell’involucro si nascondeva una persona migliore…

Da quel giorno, dunque, da buon napoletano ti sei subito innamorato di Eduardo De Filippo a tal punto che non volevi sentire parlare di altri autori…

Infatti, mi sembrava quasi di tradirlo… Il nostro regista Fabio Cavalli, allora, portò in carcere Luca, il figlio di Eduardo, il quale ci disse che suo padre per raggiungere il grande successo aveva studiato Shakespeare. Noi quel nome non sapevamo neanche pronunciarlo, però alla fine abbiamo preso in mano il copione de La tempesta, la famosa commedia in cinque atti scritta da William Shakespeare, restandone sconvolti… Il potere, il perdono, la liberta, la vendetta… Un qualcosa di illuminante.

Quando si dice che la lettura rende liberi…

Assolutamente sì. Ti fa scavalcare i muri senza muoverti, ti eleva il pensiero, ti trasmette un’armonia incredibile.

Con William Shakespeare è stato amore a prima vista?

No, inizialmente provavo quasi un sentimento di odio. Chi cavolo è questo, dicevo a me stesso, che crede di sapere tutto? Più lo leggevo e più lui mi rendeva stupido… Ogni pagina sembrava un appunto alla mia stupidaggine: se avessi letto me non avresti buttato la tua vita… Non lasciava nulla al caso, diceva che tutti coloro che erano compartecipi di un’azione prima o poi avrebbero dovuto darne conto. Io, invece, nel mondo criminale ero vissuto con la logica di farla sempre franca. Shakespeare, invece, dice il contrario: prima che finisca l’opera arriviamo da te… E nella vita è così. È quasi una cosa scientifica. Basta pensare a quei latitanti che vengono arrestati dopo trent’anni, quella tragedia non era ancora chiusa, mancava ancora un pezzo… E poi mi ha insegnato che uno nella vita può essere anche spettatore di una tragedia e non necessariamente parte di essa…

Da quel giorno, dunque, durante l’ora d’aria anziché parlare di processi e carte bollate correvi in biblioteca a leggere le opere del più eminente drammaturgo della cultura occidentale…

Andavo in biblioteca e mi arricchivo, grazie a lui e ad altri autori.

I tuoi compagni di cella come commentavano questo tuo cambiamento?

Quelli con ancora la malavita nel cuore dicevano: “Guarda quello anziché farsi la galera fa il buffone…”. Era il contrario, nell’altra vita avevo fatto il pagliaccio… Quindi viva l’arte tutta la vita, la letteratura in particolare.

Cosa rappresenta per te Fabio Cavalli?

Tutto, è la dimostrazione che non esiste il buono e il cattivo ma esistiamo noi. Lui mi ha insegnato che sulla tavolozza posso mettere tutti i colori, tenendo in disparte il bianco e il nero. Al momento di dipingere, però, non potrei farne a meno… Fabio mi ha insegnato l’uguaglianza, il fatto che ci sia sempre un’opportunità e che tutti debbano riceverla. In particolare mi ha indicato una disciplina di vita che da nove anni mi sta premiando.

In che consiste?

Rispetto della legalità, del prossimo, chiarezza e sincerità nei rapporti.

Tu sei uno dei tanti figli dell’indulto del 2006. Quanti anni hai avuto in sconto?

Tre anni.

Dopo tanto teatro, però, un giorno è arrivata la chiamata di Matteo Garrone, il famoso regista autore del pluripremiato film Gomorra tratto dal libro-inchiesta di Roberto Saviano…

Abbiamo parlato a lungo e alla fine mi disse se volevo andare con lui a Napoli per mettere a punto alcune cose del film in quanto il libro non lo convinceva pienamente…

Cosa non andava nel libro?

È un libro d’inchiesta dove si punta sempre il dito… Napoli però non è solo camorra, c’è tanta brava gente che lavora onestamente e che rispetta la legge. A un malato di tumore non puoi sempre e solo ricordargli la sua malattia, ogni tanto devi dargli pure qualche medicina…

Il film rispetto al libro cos’ha di diverso?

A mio avviso più verità e meno protagonismo.

Arriviamo a due mostri sacri del cinema, i fratelli Paolo e Vittorio Taviani che nel 2012 ti affidano una parte di primissimo piano. Parliamo di Bruto nel film Cesare deve morire che narra la messa in scena del Giulio Cesare di William Shakespeare da parte dei detenuti di Rebibbia diretti dal regista teatrale Fabio Cavalli.

Un giorno, prima di uno spettacolo, nel camerino avevo giurato a mia madre che non avrei più rimesso piede in un carcere… Invece sono dovuto rientrarci.

Però da un uomo libero…

Infatti. E poi non potevo proprio dire no ai fratelli Taviani…

Che effetto ti hanno fatto l’apertura delle celle e la visione di certi ambienti?

Confesso che avevo voglia di entrare dalla porta principale e senza manette…

Un successo incredibile, sia per il film che per la tua interpretazione…

È vero. Ricordo che quando abbiamo proiettato il film a Berlino c’erano circa tremila persone. Sul palco i fratelli Taviani, giustamente, sono stati omaggiati da un grande applauso ma quello riservato a me è durato di più… Quasi interminabile tant’è che Vittorio Taviani, scherzosamente, mi sussurrò in un orecchio: “Salvatore, non era mai successo che un attore prendesse più applausi di noi…”.

A tuo avviso qual è la sofferenza più grande che ci si trova ad affrontare dietro le sbarre?

Il rumore della serratura quando la guardia ti chiude dentro la cella… Quel rumore ti resta scolpito nell’anima, ti fa sentire impotente.

Che ne pensi del carcere minorile? A mio avviso credo si debba mettere bene a fuoco la responsabilità dei reati: sono i ragazzi gli unici responsabili o forse chi non ha insegnato loro il significato di una vita comunitaria nel rispetto delle regole e del prossimo?

Secondo me non ha nessuna ragione di esistere. Per gli adulti, tenendo comunque presente che attualmente il nostro sistema carcerario è veramente vergognoso, è invece una vergogna necessaria…

Perché una vergogna?

Per come è strutturato e per i risultati che consegue. Non ha nessuna funzione riabilitativa, anzi non fa che che trasformare un semplice delinquente in un criminale specializzato… Il carcere t’incattivisce. Se non hai modo di impiegare il tempo e quindi la mente non puoi che abbrutirti parlando con gli altri detenuti sempre e solo di criminalità. Diventi un vero e proprio esperto: droga, rapine, omicidi, truffe, eccetera, eccetera…

A te però il carcere ha regalato la vera vita…

Certamente, però in generale il sistema fa acqua da tutte le parti.

Nella solitudine e nella sofferenza della prigionia hai mai pensato al suicidio?

No, ma c’è un motivo. Siccome erano altri che volevano uccidermi non potevo essere io ad aiutarli… Ovviamente mi riferisco ai nemici fuori dal carcere, dentro non ho mai avuto problemi.

Chi ti voleva morto?

Le bande rivali… Un paio di volte c’erano quasi riuscite…

E con la fede che rapporto hai?

Sono molto ma molto amico di Gesù.

In che senso?

Tanti suoi insegnamenti sono la bussola della mia vita. Ovviamente parlo della mia seconda vita… Ho un rapporto fortemente personale, non ne faccio di certo un simbolo da sbandierare… Bisogna aiutare le persone, amare l’altro, stare tra la gente, vivere in armonia senza mai esagerare. Non ci vuole tanto per farlo e per essere felici. Nell’amore non può esserci il male, è tutto bello e lui è l’amore. Io Gesù me lo porto sempre appresso…

Se potessi per un attimo rivedere i tuoi genitori cosa gli diresti?

Di mettersi seduti e guardarmi…

Se invece avessi un figlio come gli racconteresti la tua vita?

Con grande verità. Gli direi tutto.

E quale strada gli indicheresti?

Quella del sacrificio.

Cosa dire, invece, ai tanti “Sasà” che si trovano imprigionati nelle maglie della criminalità e della droga?

Un criminale non ha ragione di esistere in quanto è fatto per mancare, per tradire, per uccidere, per non restarci vicino e per non esserti amico. Nel mondo criminale non c’è onore, non c’è dignità, non c’è rispetto, non c’è niente. Quindi non c’è un solo motivo per seguitare a esserlo. Cambiare si può, basta volerlo veramente. La vita è bellissima e va vissuta ogni istante con il cuore in pace.

Qual è il sogno di Salvatore Striano?

Diventare un insegnante e liberarmi un po’ della macchina da presa…

Vorresti tornare nell’ombra?

No, più che altro vorrei rendermi maggiormente utile.

Magari insegnando in carcere?

Anche, ma il mio vero sogno è realizzare una scuola di vita dove si possa fare recitazione, fotografia, matematica, storia, eccetera. In base all’inclinazione e al desiderio di ognuno.

Perché hai scelto Guido Lombardi come compagno di strada nella stesura di Teste Matte?

Perché lui mi ha scelto come attore e come uomo prima ancora. E poi perché è figlio di un giudice, un binomio perfetto tra un ex camorrista e un figlio della Napoli bene… Lui è un genio, le storie le crea dal nulla quindi non aveva certo bisogno di me per far circolare il suo nome…

Teste Matte ora diventerà un film…

Sì, però adesso non ne voglio parlare. Prima deve imparare a camminare come libro…

 

Comments are closed.