UNA SPY STORY NEL SEGNO DEL DUCE

“Mussolini è in assoluto il personaggio italiano più celebre al mondo. Più di Cavour, Garibaldi, Guglielmo Marconi o Enrico Fermi, per citare solo qualche nome. Gli scaffali degli appassionati di storia, e non solo, sono pieni di libri in cui ogni aspetto della sua vita, persino quelli più segreti e intimi, viene passato al microscopio da studiosi e giornalisti. Dunque, che altro si può dire di lui che non sia stato già detto?».

A questo interrogativo posto da Mario José Cereghino, saggista ed esperto di archivi anglosassoni che ha pubblicato vari studi di storia contemporanea e Giovanni Fasanella, giornalista e ricercatore, autore di pubblicazioni, con importanti case editrici, sull’“indicibile” della storia contemporanea italiana, rispondono attraverso una appassionante inchiesta raccontata nel libro Nero di Londra (Chiarelettere, pp. 256, euro 18.00), dove si evidenziano, per la prima volta, i legami segreti tra Mussolini e i servizi d’intelligence di sua maestà, e le gravi responsabilità dell’establishment conservatore del Regno Unito. I due autori lo fanno nel centenario della marcia su Roma, una manifestazione armata eversiva organizzata dal Partito Nazionale Fascista (PNF), volta al colpo di Stato con l’obiettivo di favorire l’ascesa di Benito Mussolini alla guida del governo in Italia. Il 28 ottobre 1922 migliaia di fascisti si diressero verso la capitale minacciando la presa del potere con la violenza. Il tutto si concluse due giorni dopo, il 30 settembre, quando il re Vittorio Emanuele III incaricò Mussolini di formare un nuovo governo.

Una ricostruzione minuziosa e puntuale effettuata grazie alle carte dell’archivio personale di Sir Samuel Hoare, declassificate nel 2001 e conservate nella biblioteca dell’università di Cambridge, in Inghilterra. Il tenente colonnello Hoare, artefice del progetto eversivo, era il capo del Directorate of Military Intelligence (Dmi) nel nostro Paese. “La sua – sottolineano gli autori – è una missione al limite dell’impossibile: impedire che l’Italia esca dalla guerra contro gli imperi centrali e, al contempo, porre le premesse di un sistema occulto basato su gruppi di potere trasversali fedeli alla Corona dei Windsor, garantendo così gli interessi vitali dell’Impero britannico nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente. Con l’assenso di Londra, dunque, Sir Hoare crea l’archetipo di un movimento politico e paramilitare che sfocia ben presto nei Fasci italiani di combattimento guidati da Benito Mussolini. È il prototipo della ‘strategia della tensione’ come modello terroristico. Finanziato dal Secret Service sin dall’inizio del 1918 con il nome in codice di The Count, il futuro duce conquista il potere nell’ottobre 1922 e instaura un regime autoritario di massa che influenzerà lo scenario internazionale nel corso del Novecento”.

Il volume, dunque, mette sotto la lente d’ingrandimento le relazioni tra Mussolini e i servizi d’intelligence britannici. “Ci occupiamo di questo preciso aspetto – tengono a puntualizzare Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella – senza la velleità di scrivere la storia delle origini del fascismo, terreno su cui si sono già cimentati studiosi ben più autorevoli di noi negli ultimi cent’anni. Il campo della nostra ricerca è molto più ristretto e riguarda il ‘dietro le quinte’ di alcuni eventi accaduti tra Caporetto e la Marcia su Roma. Un’area più circoscritta ma non per questo meno importante. Al contempo, siamo convinti che il nostro studio apra prospettive rilevanti per la ricerca futura. Nel Regno Unito storici, giornalisti e semplici cultori della materia (britannici e non) hanno infatti la possibilità di accedere anno dopo anno a nuove, straordinarie collezioni documentarie, archivi pubblici e privati desecretati da enti governativi e statali che consentono di rileggere il Novecento con cognizione di causa. Duole ammettere che è un privilegio di cui gli studiosi non godono ancora in Italia”.

Il tema del duce e gli inglesi ha suscitato sempre interesse dando vita a ricostruzioni e teorie che, nella gran parte dei casi, non hanno avuto un seguito concreto. Cioè, come si dice nell’ambito delle investigazioni, è sempre mancata la prova regina. Una sorta di “Dna” che facesse luce sulla vicenda. “In effetti – confermano gli autori – non si è mai trovata la prova provata di un rapporto stretto e duraturo fra il dittatore italiano e i servizi segreti di sua maestà britannica. O forse perché non la si è cercata abbastanza. Per pigrizia. E in qualche caso, probabilmente, anche per quieto vivere. Così, partendo proprio da quelle teorie, separando gli elementi che presentavano qualche verosimiglianza da quelli di pura fantasia e approfondendo la storia pubblica dei rapporti politico-diplomatici e militari tra Italia e Gran Bretagna nel corso della prima metà del Novecento, abbiamo costruito negli ultimi anni un’ipotesi investigativa. E seguendo quella pista siamo giunti ancora una volta alle ricchissime collezioni preservate ai National Archives di Kew Gardens, nei pressi di Londra. Da lì, abbiamo poi imboccato la strada che porta a Cambridge e alla sua prestigiosa università, nella cui antica biblioteca è custodito il tesoro che cercavamo: il fondo archivistico privato di Sir Samuel Hoare, funzionario di altissimo rango dei servizi militari del Regno Unito ed esponente fra i più autorevoli dell’establishment conservatore inglese”.

Parliamo del super agente che nell’estate del 1917 fu inviato a Roma per una missione a dir poco estrema, in seguito a un’intensa esperienza, seppur infruttuosa, nella Russia zarista alla vigilia della Rivoluzione d’ottobre guidata da Lenin. “All’indo-mani del disastro di Caporetto – spiegano Cereghino e Fasanella – Sir Hoare doveva impedire che l’Italia diventasse una seconda Russia, che sprofondasse nel caos, rompesse l’alleanza con la Triplice Intesa francobritannica e firmasse una pace separata con la Triplice Alleanza degli imperi centrali: la Germania guglielmina, l’Austria-Ungheria asburgica e l’Impero ottomano. Non doveva in alcun modo ripetersi quello che era appena accaduto a Pietrogrado. Se il vento dell’Est avesse raggiunto il Mediterraneo, Berlino e Vienna avrebbero liberato le proprie truppe dispiegate sul fronte meridionale per concentrare i loro sforzi militari esclusivamente contro Francia e Gran Bretagna. Uno scenario di per sé cupo. Che per Londra si sarebbe trasformato addirittura in una catastrofe se gli abboccamenti segreti tra il leader dei pacifisti italiani, Giovanni Giolitti, e il suo emulo francese, l’ex primo ministro Joseph-Marie Auguste Caillaux, avessero portato, com’era nelle loro intenzioni, a un rovesciamento del governo a Parigi e al suo immediato disimpegno dall’alleanza con Londra. Quest’ultima infausta eventualità avrebbe assestato un colpo mortale all’Inghilterra, costringendola a combattere da sola contro tedeschi, austriaci e turchi. Uno scenario che avrebbe finito per mutare l’intero corso della Grande guerra, provocando verosimilmente il crollo dell’impero coloniale più vasto e potente della storia moderna”.

Roma, dunque, era centrale nello scacchiere mediterraneo. La chiave di volta dell’intera strategia britannica. “Rappresentava la tessera più importante del domino europeo e mondiale. Samuel Hoare – prosegue la ricostruzione – doveva quindi scongiurare il peggio, facendo in modo che gli interessi del suo Paese ne uscissero intatti, se non addirittura rafforzati. In via delle Quattro Fontane, dunque, istituì nell’estate del 1917 la Special Intelligence Section nell’ambito delle attività del Dmi, il potente servizio segreto militare di sua maestà. Aveva a disposizione fondi illimitati e una rete di agenti di prim’ordine ramificata in tutto il Paese. E poteva contare sul supporto degli apparati della propaganda occulta britannica, che stabilirono il loro quartier generale nella rete di antichi palazzi appartenenti all’aristocrazia romana legata alla dinastia anglofila dei Caetani. Per una bizzarra coincidenza storica, era lo stesso contesto urbano dove, sessant’anni più tardi, si consumarono le ultime ore di vita di Aldo Moro, rapito e assassinato dalle Brigate rosse nel 1978. Ma questo è solo un dettaglio del tutto incidentale. Hoare, dunque, riuscì a portare a termine con successo la sua missione, una delle più spericolate e complesse nella storia dell’intelligence britannica di tutto il Novecento. Non solo mantenne l’Italia nell’intesa sino al termine della guerra, che era il suo obiettivo prioritario, ma andò ben oltre ogni rosea prospettiva. Disarticolò infatti il ‘partito tedesco’ e gettò le basi per il rilancio dell’influenza anglofila utilizzando il fascismo come un’arma letale, in seguito all’esaurimento del-la spinta propulsiva risorgimentale e liberale alimentata da Londra sin dal 1848. E lo fece contribuendo in modo determinante alla creazione – o meglio, alla vera e propria invenzione – del fascista Mussolini, alla sua ascesa al potere e al consolidamento del suo regime quando rischiava di essere travolto dall’ondata emotiva sollevata dall’assassinio del leader socialista Giacomo Matteotti, nell’estate del 1924. L’appoggio dell’establishment britannico e dei suoi apparati d’intelligence al nascente duce e al suo regime è uno degli aspetti più imbarazzanti della storia che raccontiamo in presa diretta, grazie alle carte private del suo stesso protagonista, Sir Samuel Hoare. Imbarazzante perché offusca non poco l’epica costruita dalla propaganda inglese a partire dalla Seconda guerra mondiale, basata sulla rappresentazione del Regno Unito come unico, inflessibile baluardo contro il nazifascismo e le potenze dell’Asse. E poi perché il ‘modello Hoare’ – come i lettori intuiranno scorrendo le pagine di questa incredibile e inquietante spy story – ha fatto scuola in altre epoche temporalmente più vicine a noi e in contesti del tutto diversi”.