UNA SPREMUTA DI FORMAGGIO…

LA “SPRISCIOCCA” È UNA PASTA TENERA OTTENUTA DALLA COAGULAZIONE PRESAMICA DI LATTE INTERO DI VACCA, CON L’AGGIUNTA DI CAGLIO DI VITELLO E SALE Un paese con tanti formaggi in tavola – osservava Winston Churchill – non può morire”. Lo statista inglese, appassionato estimatore oltre che di sigari e whisky anche di formaggi, rispose così al generale Charles De Gaulle che, in un momento di difficoltà storica per la Francia, sosteneva che “un paese con oltre 350 tipi di formaggi era difficile da governare». L’Abruzzo, vantando numerosi prodotti caseari contraddistinti da originalità e qualità, alla luce dell’intuizione del buongustaio primo ministro del Regno Unito, può giocarsi, con adeguate politiche di sostegno al comparto, una carta vincente per contrastare l’attuale crisi che investe tutti i settori e trovare nuova linfa per il futuro della regione verde d’Europa guardando a un passato non troppo remoto, cioè alla civiltà agropastorale. Tante sono, infatti, le eccellenze tradizionali capaci di ammaliare le gole più esigenti e di favorire una crescita felice. Basti pensare ai suoi diversi pecorini, formaggi e ricotte fresche e stagionate, dal latte bovino: cacio di vacca bianca, caciocavallo e scamorza.  Molte di queste specialità hanno già ricevuto l’attenzione di questa rubrica che questa volta mette in vetrina la giuncata vaccina abruzzese o sprisciocca. È un delizioso formaggio fresco a pasta tenera ottenuto dalla coagulazione presamica di latte di vacca intero crudo, con l’aggiunta di caglio di vitello e sale. Il profumo e il colore sono tipici del latte fresco, la fragranza è chiaramente legata all’alimentazione dei bovini. Il sapore proprio della cagliata fresca è di una delicatezza superlativa. Viene posta in commercio con una pezzatura variabile tra i 200 e i 1000 grammi, le forme presentano in superficie le caratteristiche impronte lasciate dalle fuscelle. Il nome sprisciocca o sprisciotta deriva dal termine dialettale che indica la spremitura, operazione che un tempo vedeva l’utilizzo di un telo di lino. Nella letteratura si incontrano frequentemente citazioni sul tema della lavorazione del latte. Omero, ad esempio, descrive Polifemo intento a porre il latte cagliato in “ceste finemente intrecciate”. Il nome giuncata nasce dai rami del giunco utilizzato per i cestini. Dall’Atlante dei prodotti tradizionali d’Abruzzo, edito dall’Arssa, apprendiamo che la preparazione prevede: filtrazione e riscaldamento del latte fino alla temperatura di 32-36°C, aggiunta del siero o latte innesto; raggiunta la temperatura di coagulazione si procede alla cagliatura con caglio di vitello tenendo la massa in agitazione. Dopo una sosta, utile per la completa coagulazione, si passa alla prima grossolana rottura della cagliata con l’utilizzo dello spino; dopodiché si procede a una seconda rottura della quagliata, stavolta in frammenti molto più piccoli. La massa, fatta sedimentare sul fondo della caldaia e scaldata con il siero, viene compressa sulle pareti del recipiente. Infine, si raccoglie la quagliata e la si pone, dopo una leggera pressione, nelle fuscelle a sgocciolare. La temperatura di conservazione del prodotto è di 4°C, per evitare la disidratazione si aggiunge acqua nelle vaschette. Per un consumo che va oltre le 48 ore è necessaria la salatura a secco. Il prodotto, comunque, non è più commestibile superati i 2-3 giorni. Il latte utilizzato proviene da mucche di razza pezzata nera e rossa e bruna alpina o incroci delle stesse. Che sia un’antica tradizione abruzzese la produzione di formaggi vaccini freschi la si evince da diversi documenti storici della fine dell’ottocento: in uno di essi si fa riferimento “all’abitudine di ogni famiglia di allevare vacche e produrre ottimi latticini”. Specialmente butirri, ricotte, scamorze, provole, caciocavalli e cacio fiore. Si ritiene che la giuncata vaccina venisse, a quel tempo, denominata cacio fiore, in dialetto sprisciocca. I tre colori del gonfalone della Regione Abruzzo sono il bianco, il verde e l’azzurro. Ma siamo certi che il bianco rappresenti solo i monti innevati e non il bianco e profumato latte prodotto da felici armenti al pascolo su verdi prati sotto un cielo azzurro? Ovvero l’Abruzzo: il colore del sapore.