UNA SOLA PAROLA RINNOVAMENTO
Il voto amministrativo del 27 maggio scorso in Abruzzo ha posto in evidenza due elementi di fondo al netto, ovviamente, delle specifiche peculiarità della tornata elettorale che si discosta, in quanto a comparazione, sia al voto regionale, sia a quello politico. Il primo aspetto riguarda l’aumento della disaffezione al voto. L’affluenza, infatti, è scesa sotto la soglia del 70% (69,65%), mai così in basso prima. Segno che la politica, anche quella più vicina ai cittadini, che riguarda cioè gli aspetti della vita di tutti i giorni (scuole, asili, rifiuti, strade, trasporti), continua a essere considerata, nel peggiore dei casi, una sorta di corpo estraneo o, nell’ipotesi più favorevole, con fastidiosa indifferenza. Il cittadino-elettore, dunque, non accorda più la propria fiducia con le modalità del passato: per aprioristica scelta di campo o turandosi il naso. Oggi lo fa (o non lo fa) consapevolmente, a prescindere dagli schieramenti; valutando le divisioni, le polemiche interne per scopi spartitori o di mero potere; scegliendo (quando il meccanismo elettorale glielo permette) i candidati che mostrano un interesse maggiore verso il bene pubblico, gli interessi collettivi. Quando registra divisioni di potere, interessi privati o di bottega; quando percepisce dietro le candidature altri scopi che non siano ispirati a una rigorosa etica amministrativa e politica non si tura più il naso: si tiene lontano dai seggi elettorali. Questa accentuata (nel corso degli anni) tendenza dell’elettorato dovrebbe far riflettere il ceto politico regionale. Ignorare questo fenomeno, tenere la testa sotto la sabbia e far finta di non vedere quanto sta accadendo, perfino a livello amministrativo, significa non essere interessati al fallimento della rappresentanza politica che sta mettendo in serio pericolo l’impalcatura istituzionale. Continuare con l’autoreferenzialità non ha più senso: bisognerebbe, invece, cominciare a ragionare seriamente sul rinvigorimento della partecipazione popolare che non può che passare attraverso il rinnovamento.
L’altro aspetto riguarda il mezzo fallimento (ovviamente sempre riferito all’ultima tornata amministrativa) di quei movimenti nati proprio per intercettare la protesta, il dissenso e il disincanto verso la politica.
È presto per trarne ragioni di analisi, però il campione regionale e nazionale sembra sufficientemente rappresentativo per cominciare a formulare qualche ipotesi di ricerca. Per esempio: quanto paga l’autoesclusione dai circuiti mediati nazionali e regionali in termini di consenso solo per mantenere integra l’immagine di cavalieri-duri-e-puri?
Qualcuno comincia ad avere qualche perplessità sul fatto di riversare ogni aspettativa alla rete ignorando i tradizionali canali mediatici dai quali, in prevalenza, traggono alimento gli elettori regionali, ancora: si fa un bel discutere sull’uso delle nuove tecnologie, della rete, della blogosfera, in realtà siamo ancora grandi fruitori di televisione.