UNA RICCHEZZA SORPRENDENTE

ricerca sul volontariato
By Marta Rossi
Pubblicato il 2 Marzo 2017

Per la prima volta in Italia conosciamo chi si impegna gratuitamente a beneficio di persone al di là della propria famiglia o per la collettività e ambiente. Non necessariamente si tratta di individui che operano all’interno di organizzazioni bensì in modo informale In Italia 6,63 milioni di persone si impegnano gratuitamente per gli altri o per il bene comune: 4,14 milioni degli italiani lo fanno all’interno di organizzazioni e 3 milioni individualmente (dati Istat 2013). Una ricchezza che per la prima volta viene fotografata scientificamente nel libro Volontari e attività volontarie in Italia. Antecedenti, impatti, esplorazioni, a cura di Riccardo Guidi, Ksenija Fonovi e Tania Cappadozzi (Bologna, Il Mulino, 2016), che approfondisce i caratteri e i significati dell’azione volontaria in Italia.

Il terzo settore è un ambito nel quale milioni di persone ogni giorno impiegano il loro tempo. Nel volume vengono suddivisi in sette profili: i fedelissimi dell’assistenza (il 29,6% dei volontari organizzati, 1.228 mila persone) che dedicano mezza giornata alla settimana a chi ha bisogno di aiuto nel campo dei servizi sociali, della protezione civile e della sanità; le educatrici di ispirazione religiosa (il 25% dei volontari organizzati, 1.036 mila persone), si dedicano alle attività educative e alla catechesi, si tratta per lo più di donne e del Sud Italia; i pionieri (il 13,6% dei volontari organizzati, 561 mila persone), laici e istruiti, sperimentano modalità di impegno per l’ambiente e la collettività ai margini delle modalità organizzative tradizionali;  gli investitori in cultura (il 10,3% dei volontari organizzati, 427 mila persone), mettono a disposizione competenze professionali specializzate e offrono supporto organizzativo per iniziative culturali e ricreative; i volontari laici dello sport (l’8,9% dei volontari organizzati, 368 mila persone), sono allenatori e dirigenti di associazioni sportive dilettantistiche; i donatori di sangue (l’8% dei volontari organizzati, 333 mila persone), fidelizzati all’associazione e si mettono a disposizione una volta al mese; gli stacanovisti della rappresentanza (il 4,6% dei volontari organizzati, 190 mila persone), sono dirigenti e organizzatori di associazioni che si occupano di politica, attività sindacale e tutela dei diritti; per un terzo è un impegno a tempo pieno.

Come si può leggere dal volume e dai profili che ne emergono, il terzo settore non vive solo di associazionismo ma anche di tante persone che si impegnano individualmente sotto tanti punti di vista. Grazie al lavoro degli autori, per la prima volta si più tracciare i profilo di questi volontari, che rappresentano il 5,8% e sono 3 milioni di persone. Anche qui, quattro profili: il primo è quello che si offre nell’ambito casalingo per sbrigare pratiche burocratiche o aiuti domestici; poi ci sono quelli specializzati che offrono assistenza specialistica, si tratta soprattutto di donne che svolgono questa  attività per almeno dieci ore al mese; poi ci sono i professionistilaureati per lo più – impegnati per l’ambiente o la cultura; e infine i donatori di sangue, che iniziano nelle associazioni ma poi spendono del tempo anche da soli come volontari negli ospedali.

L’incentivo più forte, finora, è ancora la condizione di una identità religiosa, sia per chi svolge volontariato con un’associazione sia per chi lo fa da solo. Nel libro poi viene sfatato il mito del volontariato legato a una agevole condizione economica: la ricerca attesta che non sono le risorse economiche la variabile determinante per accrescere le probabilità che una persona faccia volontariato, bensì le risorse socio-culturali.

Nel libro, poi, c’è anche l’analisi dell’impatto del volontariato sulla vita delle persone. Cosa produce il volontariato? Qual è il contributo di chi lo fa alla coesione sociale, alla comunità? Svolgere attività di volontariato incrementa le probabilità di essere molto soddisfatti della propria vita in soggetti anche molto diversi tra loro dal punto di vista del reddito, del livello di istruzione, del luogo di residenza, dell’affiliazione religiosa o di disposizioni personali come la propensione individuale all’ottimismo. Questo vale a prescindere dal contesto organizzativo, anche per chi si impegna individualmente. Di particolare rilievo l’impatto positivo sul benessere degli anziani (il 50,4% dei volontari organizzati sopra i 65 anni si dichiara molto soddisfatto della propria vita). La quantità (del volontariato) aumenta la qualità (della vita): punteggi più alti di soddisfazione registrano i volontari attivi da più di 10 anni e quanti si impegnano in più di una associazione.

Anche la vita sociale ne trae beneficio. Appartenere a un‘associazione, fare volontariato con altre persone o incontrare nuove, favorisce a socialità soprattutto per chi viene da una classe sociale disagiata e altrimenti avrebbe poche occasioni per uscire. In questo modo, le persone sono invogliate e spinte a partecipare anche di più alla vita democratica (cortei, dibattiti, manifestazioni).

Poi ci si fida degli altri: il tasso di fiducia verso le persone per chi fa volontariato è del 35,8% contro il 20,6% di chi non svolge attività volontarie.

Insomma, il volume offre dati e profili di un mondo finora conosciuto marginalmente – o almeno non scandagliato dal punto di vista scientifico – ma soprattutto accende la luce su uno spicchio sostanzioso di Italia che ogni giorno si prodiga per fare del bene a chi è in difficoltà, sacrificando il proprio tempo e ricevendo in cambio soddisfazione e un miglioramento della propria vita.

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