Dopo il passaggio a Spoleto e l’arrivo a Morrovalle, per Francesco Possenti inizia il periodo del probandato, ovvero un tempo di “messa in prova”, in cui – da una parte – si saggia lo spirito e la risolutezza degli aspiranti novizi, e – dall’altra – si offre ai giovani un tempo di adattamento al nuovo stato di vita. Nessuno infatti si aspetta che un giovane che dalla vita mondana si ritiri a vita religiosa si adatti ad essa prontamente. Né alcuno se lo aspettava dal rampollo di casa Possenti!
Il beato Bernardo Maria di Gesù, compagno di noviziato del giovane spoletino (e successivamente superiore generale dei passionisti), descrive questa fase come “un passaggio graduale e segnato da alti e bassi”. E aggiunge che per Francesco Possenti, però, “tutto apparve conseguito per via di slancio tale che può bene asserirsi, che non si arrestò se non alla sua morte”.
Non solo l’orazione mentale, la meditazione della Passione, la contemplazione di Maria ai piedi della Croce di Gesù, e tutte quelle pratiche proprie della nuova vita appena abbracciata appaiono a lui quasi connaturali, ma è sorprendente anche la risolutezza nell’obbedienza…
Il beato Bernardo ricorda che “un’occhiata (del superiore) era per lui sufficiente a indovinare i desideri, e legargli la volontà”. E aggiunge: si andava ripetendo che “la propria volontà a Dio non piace. Si guardi come si vuole, si abbiano tutte le ragioni e tutti i fini retti del mondo, la propria volontà a Dio non piace, non piace”.
Chi di noi non ha mai fatto un proposito? E chi non se l’è appuntato per timore che ne andasse perduta la memoria? Poi, però, il più delle volte, resta lettera morta, sul fondo di qualche cassetto. Gabriele dell’Addolorata, invece, durante la sua vita si è appuntato alcuni propositi su foglietti sparsi e si è sforzato di osservarli tutti! 40 propositi che il padre spirituale, padre Norberto, ha raccolto e organizzato in un elenco giunto fino a noi.
Tra i propositi ne ha uno particolare sull’obbedienza: si propone di obbedire ai superiori e alla campanella (l’osservanza) come alla voce di Dio e di sforzarsi di condividere il parere di chi comanda (Propositi, 30).
Una tale facilità alla vita religiosa e così solide disposizioni fanno sì che i superiori gli permettano, anche con un certo anticipo rispetto ai tempi previsti, di vestire l’abito religioso insieme ad altri novizi che erano in convento da più tempo di lui.
È il 21 settembre 1856, solennità di Maria Addolorata patrona principale della Congregazione, quando Checchino veste l’abito passionista e assume il nome religioso di Gabriele dell’Addolorata. Per lui è una tale gioia che – nota padre Norberto – durante la celebrazione della vestizione si commuove fino alle lacrime.
E Gabriele, quella gioia la versa dal cuore al calamaio e dal calamaio sulla carta che – la sera stessa – scrive per il papà Sante: “La contentezza e la gioia che io provo entro queste sacre mura è quasi indicibile, in paragone dei vani e leggeri passatempi mondani che si gustano nel secolo… io non cambierei un quarto d’ora speso dinanzi alla nostra consolatrice Maria Santissima con un anno, e quanto tempo volete, innanzi agli spettacoli e i divertimenti del mondo”.
Quanti cambiamenti tutti insieme. A pensarci è quasi un vortice: lascia la famiglia; entra in convento; rinuncia ai divertimenti del mondo, preferendo l’orazione mentale; rinuncia ai giochi con gli amici, decidendosi per l’obbedienza totale. Questo giovane non ha cambiato solo nome o indossato solo un abito: in poco tempo è diventato una persona nuova!
Non è più Francesco Possenti (o Checchino, come pure era chiamato), ora è confratel Gabriele dell’Addolorata.