Le domande alle quali la chiesa universale dovrà rispondere sono davvero tante e non basterà papa Francesco, con la sua riconosciuta leadership, a quietarle. Anche perché il mondo va velocissimo e non ha tempo per attendere
Ottobre è alle porte. La chiesa va alla conta sulla pastorale della famiglia con il suo sinodo ordinario, dopo aver discusso al proprio interno, nel recente sinodo straordinario, attraverso un acceso dibattitto, delle possibili aperture in particolare ai divorziati risposati, senza dimenticare l’ascolto e l’accoglienza ai fedeli omosessuali. Un novembre importante anche per la chiesa italiana, che a Firenze terrà il suo tradizionale convegno ecclesiale dal titolo In Gesù Cristo il nuovo umanesimo, tappa fondamentale per ridisegnare i nuovi impegni alla luce del pontificato di papa Francesco.
Momenti importanti questi, per la chiesa. La sinodalità permette un ascolto e un confronto a tutto campo tra le diverse posizioni, e quel dialogo con il mondo, così ben radicato nei documenti del concilio Vaticano II, trova finalmente il suo spazio naturale per progredire e seminare buona speranza.
Che succederà, allora? La cronaca di questi ultimi tempi ci dice qualcosa in più. Innanzitutto il caso Irlanda. L’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, all’indomani della vittoria dei sì al referendum sulle nozze-gay, ha detto chiaramente che il risultato è una sorta di rivoluzione sociale. Il segno di una rivoluzione culturale in un paese cattolico come l’Irlanda, in cui “prevale un’idea individualistica della famiglia” e si smarrisce “il concetto del matrimonio come elemento fondamentale di coesione sociale”. Aggiungendo: “La chiesa deve chiedersi quando è cominciata questa rivoluzione culturale e perché alcuni al suo interno si sono rifiutati di vedere questo cambiamento. È necessario anche rivedere la pastorale giovanile: il referendum è stato vinto con il voto dei giovani e il 90 per cento dei giovani che hanno votato sì ha frequentato scuole cattoliche”.
In soccorso delle parole dell’arcivescovo di Dublino è arrivato Pietro Parolin, il cardinale segretario di stato Vaticano, il quale ha definito le nozze gay “una sconfitta per l’umanità. La chiesa – ha proseguito il cardinale – deve tenere conto di questa realtà ma deve farlo nel senso che deve rafforzare tutto il suo impegno e tutto il suo sforzo per evangelizzare anche la nostra cultura. La famiglia rimane al centro e dobbiamo fare di tutto per difendere, tutelare e promuovere la famiglia perché ogni futuro dell’umanità e della chiesa anche di fronte a certi avvenimenti che sono successi in questi giorni rimane la famiglia. Colpirla sarebbe come togliere la base dell’edificio del futuro”.
E lo stesso cardinale Bagnasco, a nome della chiesa italiana, in un’intervista al quotidiano La Repubblica, ha espresso egualmente grande preoccupazione: “Indubbiamente, quando monsignor Martin afferma che ciò che è accaduto non è soltanto l’esito di una campagna referendaria, fotografa una rivoluzione culturale che riguarda tutti. Come tale, non può non interrogare anche la nostra chiesa: cosa dobbiamo correggere e migliorare nel dialogo con la cultura occidentale? Ogni dialogo dev’essere sereno, senza ideologie, innervato di sentimenti ma anche di ragioni. In questo quadro, noi crediamo nella famiglia che nasce dall’unione stabile tra un uomo e una donna, potenzialmente aperta alla vita; un’unione che costituisce un bene essenziale per la stessa società e che, come tale, non è equiparabile ad altre forme di convivenza”. E, riferendosi al prossimo sinodo, ha dichiarato: “La passione per l’uomo con cui papa Francesco sta affrontando queste sfide suscitano apprezzamento e coinvolgimento, basta osservare come le nostre comunità abbiano preso a cuore i questionari del sinodo. Quanto alla posizione della chiesa nei confronti delle persone omosessuali, nel magistero viene costantemente riaffermato il pieno rispetto per la dignità di ciascuno, quale che sia il suo orientamento: c’è come principio – e ci dovrebbe essere anche nei fatti – quell’accoglienza che favorisce la partecipazione alla vita della comunità ecclesiale. Questa posizione non ci esime dalla fatica di distinguere, evitando semplificazioni che non giovano”.
Almeno in Europa, solo Italia, Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria e Romania (9 su 28), a oggi non prevedono nessun tipo di tutela per le coppie omosessuali. Tutti gli altri hanno detto sì a matrimoni o unioni civili.
Ma, al di là dei numeri e dei referendum (che poi, è stato fatto anche all’interno della chiesa con i famosi questionari per il sinodo), quello che interessa è la capacità che la chiesa oggi ha di coniugare fede e vita, coscienza e spiritualità, in un mondo che va velocissimo e non ha tempo per attendere.
Le domande alle quali la chiesa universale dovrà rispondere sono davvero tante e non basterà papa Francesco, con la sua riconosciuta leadership, a quietarle.
Stiamo vivendo una fase di una transizione che attraverserà una chiesa, per forza di cose, in via di trasformazione. In un mondo, invece, che avrà bisogno di una chiesa e di religioni che incarnino le ragioni della democrazia dei popoli e le loro domande esistenziali.
La parola profezia, per essere finalmente sorriso e abbraccio con tutta l’umanità, dovrà darsi da fare.