UNA MANO DALLA TECNOLOGIA

I quarantenni come me ricorderanno la famosa serie trasmessa in Italia negli anni 80 col titolo L’uomo da sei milioni di dollari. Il colonello americano Steve Austin, per via di un incidente militare, perde gambe, braccio e l’uso dell’occhio sinistro. Nella finzione cinematografica i suoi organi feriti vengono rimpiazzati con arti bionici in grado sia di fargli recuperare la normale funzionalità del corpo, ma anche di “aumentarne le prestazioni” (con corsa superveloce, braccio ultraforte e vista aquilina).

Pensando al futuro, ma soprattutto a un’utilità vera e propria nel presente, un po’ di quella fantascienza è diventata realtà tra robotica e medicina di oggi, ove nuove e sorprendenti protesi robotiche fanno ben sperare coloro che hanno arti amputati o non formatisi correttamente a causa di malattie.

L’Italia è all’avanguardia nel campo grazie a diversi progetti (My-HAND della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa; Hannes la mano robotica di Inail e Iit di Genova; Life Hand 2 del Campus biomedico di Roma e altri). Lo scopo è comune: ridonare la funzionalità della mano a chi non ce l’ha più, per leggere il giornale fino al lavorare con gli utensili!

I video di Youtube mostrano persone a cui l’arto mancante (con una tecnica più o meno invasiva, cioè con o senza intervento chirurgico), è stato sostituito con una mano artificiale (innovativa per quanto riguarda meccanica, elettronica e materiali) integrata nel braccio. La persona che “indossa” questa protesi di ultima generazione riesce a controllarne i movimenti (seppur ancora in maniera limitata) grazie ai muscoli e ai nervi rimasti “vivi” nella parte amputata, non senza però un congruo periodo di training in cui il cervello deve riabituarsi e rimodularsi al nuovo arto.

Rispetto alla protesi cosmetica (quella tipo manichino che aveva soltanto la funzione di nascondere il moncherino) la vita della persona cambia notevolmente: non solo c’è la possibilità di prendere e spostare gli oggetti di uso quotidiano grazie al movimento di chiusura e apertura della mano, della torsione parziale del polso e del pollice opponibile, ma diventa possibile ritrovare parte del tatto che era andato perduto grazie a dei sensori innestati sulla superficie del nuovo arto che comunicano la sensazione della presa, del caldo e del freddo al cervello attraverso piccoli elettrodi passanti per il braccio.

Se la tecnologia della mano è cosi avanzata da poter restituire parzialmente il movimento delle dita e la sensazione del tatto, più indietro sembra invece lo sviluppo riguardo l’arto inferiore, in cui ci si limita a sfruttare la nuova gamba tecnologica (elastica e flessibile) per ripristinare soltanto la funzionalità del camminare. Nonostante questo si cominciano a contare in abbondanza atleti, che dopo vari infortuni, hanno comunque ripreso a correre (anche in competizione con normodotati) grazie a delle protesi passive, due nomi su tutti: Alex Zanardi ex pilota di Formula Uno, ma attuale pilota del DTM, e Oscar Pistorius, atleta che correva anche i 100 metri piani.

Quello che rimane da dire è poi che le stesse tecnologie meccaniche che permettono la sostituzione dell’arto mancante, attraverso una funzionalità di esoscheletro (cioè di meccanismo applicato all’esterno del corpo) possono essere utilizzate per la terapia di riabilitazione, in particolare per il rieducamento alla locomozione di pazienti allettati per lungo tempo.

Che dire? Viva la tecnologia quando questa restituisce il naturale che era stato perso. E per quanto riguarda le protesi che aumentano le capacità dell’uomo? Beh, su questo ci sentiremo in un prossimo episodio!