UNA CATECHISTA PESSIMISTA

By Luciano Temperilli
Pubblicato il 30 Dicembre 2013

Ciao, sono una catechista e da tempo volevo scriverle per chiedere un consiglio. O meglio, vorrei un suo giudizio sul perché tanti ragazzi non si dimostrano interessati. Ovviamente non voglio generalizzare, ma ascoltando altri colleghi e colleghe sembra essere un problema assai diffuso. Alcuni dicono che dipenda tutto da un’errata visione metodologica, ma sinceramente non credo sia questo il motivo reale. Ritengo, infatti, che si stia perdendo di vista la parola di Dio, soprattutto i tanti ragazzi immersi in una cultura che li allontana sempre più da Dio. Mi scusi il pessimismo, ma proprio non vedo in loro il desiderio di scoprire e accogliere l’offerta del Signore. Lei che ne pensa? Laura

Sinceramente credo che il problema sia più grande. Da anni la chiesa parla di problema educativo, di emergenza educativa, di mancanza di trasmissione educativa. Di fatto si è rotto il cerchio magico che riuniva scuola, parrocchia, famiglia e società in genere attorno ad alcuni valori comunemente accettati e doverosamente trasmessi. Non per nulla si parla che bisogna ricreare un’alleanza educativa tra i componenti della società che hanno a che fare con i giovani. Oltre a quanto citato sopra, ci sono da aggiungere sicuramente lo sport, sicuramente i media, sicuramente gli operatori del divertimento, sicuramente la moda. Ma come sai bene, ognuno va per i fatti suoi non preoccupandosi di educazione o di valori ma di… introiti in una forte concorrenza in cui il più forte, a livello di immagine, di servizi e di soddisfazione di bisogni, spesso indotti e/o comunque esasperati, la vince. C’è poi da considerare che in questo contesto i genitori, a livello religioso ma non solo, spesso hanno scelto di non trasmettere valori ma permissivismo e buonismo amorale, confusi dall’individualismo imperante o, come dice papa Francesco, dal pensiero unico che domina nei media. A livello religioso lo hanno scoperto i vescovi quando si sono accorti che le poche cose che i ragazzi delle prima comunione sanno lo ha loro insegnato la nonna… Questa situazione è stata definita come la prima generazione incredula perché non c’è né ateismo né anticlericalismo ma assoluta indifferenza del fatto religioso. Così i genitori, così figli. Una inchiesta di questi giorni sottolinea l’analfabetismo religioso degli italiani incapaci di distinguere tra Padreterno, Mosé, Gesù Cristo, antico e nuovo testamento, eccetera…

In questa situazione ragazzi e adolescenti come possono interessarsi della religione quando “non serve” né alla società, né alla scuola, né ai genitori? Eppure la dimensione religiosa, citando l’ultima inchiesta, interessa gli italiani perché 3 su 4 pregano e vorrebbero delle risposte alle tante domande della fede. Ma le risposte non intercettano le domande. O rimangono insufficienti. Ed ecco che la fede rimane un fatto privato e ognuno si fa il suo piccolo dio consolatorio.

Dice papa Francesco: “Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto”.

Il papa parla della gioia del vangelo, della gioia liberante dell’incontro con Cristo di una “gioia che si vive tra le piccole cose della vita quotidiana, come risposta all’invito affettuoso di Dio nostro Padre: Figlio, per quanto ti è possibile, trattati bene… Non privarti di un giorno felice (Sir 14,11.14)”.

Come spesso succede, nel discorso cristiano, partiamo dagli altri per finire alla fine di parlare di noi stessi perché se fossimo veramente “gioiosi del vangelo” dell’incontro con Cristo non ci perderemo di coraggio. D’altra parte c’è chi semina e chi raccoglie, terreno buono e terreno spinoso, tempi maturi e attese snervanti, segni e silenzi che ci vengono donati. Sono luoghi di perseveranza e non di rassegnazione. C’è sempre un avvento per tutti, prima o poi.

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