UN TREMENDO BOATO E LA MONTAGNA È VENUTA GIÙ…

Una storia che ha del prodigioso quella di Sara Pavone, giovane ventottenne originaria di Pineto, in provincia di Teramo. Sara è una dei superstiti del terribile terremoto che lo scorso 25 aprile ha colpito il Nepal. Si trovava nella zona del Lang Tang e in trekking sarebbe dovuta arrivare al Parco Nazionale dell’Helambu. Il suo percorso a piedi è stato però interrotto dalla catastrofe che ha causato oltre ottomila vittime e tornare a casa sana e salva è stata una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Il viaggio sarebbe dovuto durare tre mesi, Sara e Pol – il suo ragazzo – erano già stati in Nepal nel 2013. Il fascino di quei luoghi e la splendida gente che li abita li aveva spinti a tornare. L’abbiamo incontrata in Italia prima della sua partenza per Barcellona.

Allora Sara, quali sono i tuoi ricordi del terremoto devastante del Nepal?

Ero appena passata su un ponte e ho sentito inizialmente un silenzio irreale e poi il boato. Tutto tremava, il ponte era crollato, la montagna veniva giù. In quel momento io e il mio ragazzo Pol non eravamo insieme, in quanto lui volendo esplorare anche la zona tibetana del Tamang era partito due giorni prima da Kathmandù, mentre io ero partita con altri amici. Ci saremmo dovuti rincontrare da lì a poco per continuare il cammino insieme. Non sapere cosa gli fosse accaduto e quali fossero le sue condizioni di salute mi ha tormentata per diversi giorni.

E poi cosa è accaduto?

Non sapevamo cosa fare, le scosse continuavano e nessun posto era sicuro. La fortuna ha voluto che incontrassimo due guide nepalesi che ci hanno aiutato a tornare sani e salvi a Bamboo dove abbiamo trovato una situazione disastrosa: era crollato tutto. C’erano una sessantina di persone, una ventina locali e gli altri turisti. Lì sono rimasta per circa una settimana, giorni in cui siamo diventati una vera e propria famiglia e in cui i nepalesi, nonostante la catastrofe che si era appena abbattuta sulle loro vite, ci hanno sostenuto e accolto con spirito di fratellanza. Abbiamo costruito un campo d’emergenza e sono stati giorni durissimi in cui l’aiuto della popolazione nepalese è stata fondamentale per la nostra sopravvivenza. In tutto questo ancora nessuna notizia di Pol.

C’è stato però un lieto fine…

Dopo numerose vicissitudini siamo riusciti a comunicare con casa e allo stesso tempo ho saputo che Pol era vivo e stava bene, ma siamo riusciti a rincontrarci solo dopo alcuni giorni. Non ho mai provato nulla di simile in tutta la mia vita: emozioni e sensazioni nuove. Il momento del ricongiungimento è stato epico. Alla fine, dopo altre traversie, siamo rientrati insieme in Italia.

Quando è finita la vostra odissea?

Dopo il nostro ricongiungimento abbiamo dovuto aspettare prima di essere evacuati. Solo dopo una settimana dal sisma un elicottero militare è venuto a prenderci. La gioia ha lasciato presto il posto alla desolazione nel momento in cui guardando sotto di noi abbiamo visto villaggi completamente rasi al suolo in mezzo alle montagne, strade disastrate e impraticabili. Il 3 maggio la Farnesina ci ha rimpatriato a Milano e siamo tornati dalle nostre famiglie..

Cosa porterai con te di questa drammatica esperienza?

Sicuramente un gran senso di gratitudine nei confronti della vita e di questa popolazione che pur avendo così poco ci ha dato davvero tanto. Fin da subito il desiderio mio e di Pol, così come dei nostri amici superstiti, è stato quello di tornare in Nepal per portare un aiuto concreto sul campo. Per questo abbiamo dato vita a Living Nepal (mail livingnepal@riseup.net), un’organizzazione non governativa (Ong) che ha sede a Barcellona, in Spagna.

Quali sono gli obiettivi della vostra Ong?

Siamo nati con lo scopo di raccogliere fondi da distribuire direttamente ai villaggi devastati nelle zone di più difficile accesso, come quella del Lang Tang, e Tamang, secondo i parametri di giustizia, trasparenza e necessità. Organizzeremo gli aiuti sul campo con la collaborazione dei nostri contatti a Kathmandù. Living Nepal inoltre collabora con altre campagne di beneficenza e progetti portati avanti da altri superstiti del terremoto in varie parti del mondo.

Nel ringraziare Sara per la sua testimonianza ci rivela che non vede l’ora di tornare in Nepal. Auguri Sara e buon cammino!