LA CHIESA IN DIFESA DEI DIRITTI CIVILI E DELLA LIBERTÀ

violenze nella Repubblica Democratica del Congo
By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 28 Febbraio 2018

Di recente il potere ha fatto sparare su pacifici cortei di cristiani che contestavano il presidente Joseph Kabila, il cui ultimo mandato è scaduto nel 2016 e che non indice nuove elezioni. Il capo dello stato, che è in carica dal 2001, ha tutto l’interesse a mantenere il Paese nel caos attraverso elementari carenze civili

È corrente la deplorazione delle persecuzioni dei cristiani in molte realtà (fortunatamente non tutte) del mondo islamico, dove si registrano  sempre più spesso clamorose, ingiustificate repressioni e violazioni della libertà di religione. Anche altrove non mancano situazioni di rischio per i credenti, come nella guerra strisciante in Messico contro preti cattolici che denunciano la criminalità dilagante dei “signori della droga” e che per questa ragione vengono spesso assassinati. Di recente nella Repubblica Democratica del Congo il potere ha fatto sparare su pacifici cortei di cristiani che contestavano il presidente Joseph Kabila, il cui ultimo mandato era spirato nel 2016 e che non indice nuove elezioni nonostante fosse stato preso, con la mediazione della Chiesa cattolica, un impegno per la loro tenuta alla fine del 2017.

Il capo dello stato, che è in carica dal 2001, ha tutto l’interesse a mantenere il Paese nel caos attraverso elementari carenze civili: non è mai stato condotto un censimento in un Paese con una popolazione attorno agli 80 milioni di cittadini, un numero di cui non c’è comunque alcuna certezza; non esistono carte di identità, ciò che rende possibile ogni tipo di broglio elettorale; la gente vive nel timore delle spie del regime in una atmosfera che ricorda – ci ha detto un nostro amico congolese – il clima delle nazioni comuniste al tempo della dittatura. Ed è noto che la famiglia di Kabila è interessata a società di vario tipo, almeno ottanta, sia in patria che all’estero. Il governo favorisce e alimenta il proliferare di sètte pseudo cristiane nel tentativo di indebolire sia i cattolici (attorno al 50%), sia i protestanti (circa il 20%). Non sembra per il momento che sia riuscito nel suo intento, e così nelle ultime settimane è stata scelta la via della repressione a colpi di fucile: sei morti e un centinaio di feriti durante una recente manifestazione pacifica del Comitato laico di coordinamento, sostenuto dalla Conferenza episcopale, altre otto vittime in circostanze diverse. Gli episodi fanno seguito ad arresti di cittadini (alcune centinaia) e di una dozzina di sacerdoti, mentre altri preti sono stati sequestrati o picchiati. In sei città la polizia ha sparato, ci sono state irruzioni e violenze in una sessantina di parrocchie. In effetti dà molto fastidio l’autorità morale della Chiesa, baluardo dei diritti civili oltre che dei valori morali. L’arcivescovo di Kinshasa, il cardinale Laurent Monsengwo, ha denunciato la “barbarie” e la “brutalità poliziesca”. In una conferenza stampa pubblica si è chiesto: “Il potere per il potere oppure il potere per lo sviluppo integrale del popolo, nella pace, nella giustizia e nelle verità? Vogliamo che regni la forza della legge e non la legge della forza”. Il porporato, dopo le violenze e i morti, aveva domandato: “Siamo in una prigione a cielo aperto? Come si possono uccidere uomini, donne, bambini, giovani e vecchi che scandiscono canti religiosi, muniti di bibbie, rosari, crocifissi?”. Egli è consapevole della forza della sua Chiesa, con quasi quaranta milioni di fedeli in 41 diocesi e sei arcidiocesi, e che esercita funzioni suppletive di un potere civilmente assente. Il Congo, fra i paesi più corrotti del mondo (al nono posto nella classifica su 187), ma anche fra i più ricchi d’Africa, sta diventando terra di conquista di avventurieri, multinazionali e interessi di grandi potenze (dalla Cina alla Russia, dagli Stati Uniti all’India). La Chiesa gestisce ospedali, dispensari, scuole, servizi sociali, aiuto ai poveri; si occupa persino di far giungere gli stipendi agli impiegati statali, sostituendosi a un governo che trova nel disordine una giustificazione alle proprie inadempienze. Essa non è nuova al martirio e alla testimonianza civile. Nel 2012 venne ucciso l’arcivescovo di Bukavu, monsignor Christophe Munzihirwa, colpevole di aver criticato le autorità locali; nel 1992 a Kinshasa, la capitale, una “marcia dei cristiani” che chiedevano rispetto dei diritti e della democrazia  era stata repressa nel sangue dalle forze speciali dell’allora dittatore Mobutu.

Altre autorevoli voci di protesta si sono levate per condannare la repressione. Papa Francesco, nell’udienza generale del 24 gennaio, aveva rinnovato “l’appello affinché tutti si impegnino ad evitare ogni forma di violenza. La Chiesa non vuole altro che contribuire alla pace e al bene comune della società”. Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha chiesto che i responsabili delle stragi “vengano tradotti in giustizia”, esortando “al pieno rispetto dei luoghi di culto”. Ma si temono tempi sempre più cupi per l’esercizio dei diritti civili e della libertà di culto se non si terranno le elezioni presidenziali, e se non si svolgeranno nella legalità.

 

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