Un Robot per Amico?

Si è svolta dal 25 al 26 febbraio scorsi, in Vaticano, un bellissimo meeting, intitolato RoboEtichs, in cui i membri della Pontificia Accademia per la Vita si sono riuniti per discutere temi riguardanti l’etica, la robotica e la salute. Una delle tematiche più controverse in questi ambiti, che sta diventando rilevante negli ultimi anni, è il problema della salute dei nostri cari anziani. Tutti sappiamo quanto è difficile la loro assistenza continuata, soprattutto nell’era della famiglia nucleare in cui marito e moglie lavorano, i ritmi sono frenetici, e non sempre è possibile accudire personalmente il nonno o la nonna. Alle volte si presentano oltre che gli acciacchi dell’età anche malattie più o meno gravi che necessitano di personale specializzato. E tutto questo si acuisce in un paese come l’Italia in cui il tasso di natalità è praticamente azzerato e il sistema di prevenzione, per quanto molto migliore che altrove, non eccelle sulla cura della terza età (se ancora si può chiamarla così e non magari quarta o quinta).

Se aggiungiamo a tutti questi dati anche il fatto che è sempre più difficile trovare chi sia disposto a lavorare come infermiere o genericamente come care giver, non è strano che qualcuno abbia pensato di affiancare, se non addirittura sostituire, il personale umano con un Sar: un Socially assistive robot. Dalle sembianze più o meno umanoidi, i suoi compiti potrebbero essere differenti. Dalle manovre più dure e servili, come ad esempio accompagnare i movimenti del paziente per salire e scendere dalla carrozzina o dal letto, fino alle più intellettuali e sociali, cioè tenere compagnia e interagire vocalmente con la persona anziana.

Certo l’idea non è delle più entusiasmanti. Parlare con un elettrodomestico (anche se è la versione super smart della lavatrice) non è in cima alla lista dei desideri. Eppure, nella nostra era digitale la cosa non è poi così astrusa. Non so se avete già provato a chiedere a Google di portarvi da qualche parte, di farvi raccontare una barzelletta o di rimettere semplicemente la sveglia. Funziona in modo discreto e il comando vocale risparmia una fila di tap che lo schiavo digitale esegue al posto nostro.

Potrà dunque un robot, nel mondo che verrà, fare veramente compagnia all’anziano? L’assistenza non è una cosa scontata, e anche l’andare a trovare un anziano alla casa di riposo ha le sue implicazioni psicologiche. Le persone anziane tendono a ricordare il loro ambiente originale e non sempre accettano il nuovo in cui sono vincolati a spazi ed orari, mentre chi viene per visitare sente spesso la mancanza della “frenesia” del mondo e si sente impacciato nei ritmi lenti una volta fatte le domande di rito sulla salute e sul trattamento che la persona cara riceve. Le cose si complicano ulteriormente se ci sono problemi nel dialogare, deambulare, eccetera.

Una possibile applicazione del robot potrebbe essere quella di intrattenere con la lettura, di proporre giochi e passatempi calibrandoli sulla storia e cultura di chi ha davanti. Oppure, nei casi meno difficili, semplicemente ricordare di prendere le medicine, o fornire qualche piccolo servizio (“vammi a prendere l’acqua!”). Se poi l’anziano inizia a fidarsi, potrebbe ad esempio chiedere al robot di fargli fare una chiamata a casa o agli amici, oppure di essere accompagnato per mano senza il vecchio bastone.

Certo è che il contatto umano è tutta un’altra cosa. L’umano non si sostituisce facilmente. Forse la soluzione che adotteranno i nostri posteri sarà quella di un buon equilibrio tra il tempo con la macchina (e speriamo che sia veramente intelligente…) e frequenti “interazioni” umane, perché il prendersi cura di una persona non può che essere una questione personale!