Non è possibile non ricordare a 80 anni di distanza che la Germania il 1° settembre del 1939 scatenò in Europa 19 milioni di soldati, strappandoli ad altrettante famiglie e portando con sé altri militari di nazioni diverse per l’operazione definitiva che doveva dare a Berlino la signoria d’Europa. Sino a quell’epoca la politica continentale aveva fatto respirare aria di paura con la rivendicazione della Saar, avanzata e ottenuta dalla Germania nazista, la voluta scossa dell’Austria annessa e il vile patto che indusse le potenze occidentali a dividere la Cecoslovacchia in due stati.
Nei cinque anni che seguirono, a partire dalla Polonia, ben ventisette nazioni furono invase, producendo distruzioni, ruberie, assassini di massa e caccia agli ebrei che si concluse con la morte di sei milioni di loro nei campi di concentramento. La cifra globale delle vittime, fra le battaglie e le stragi, ammontò a quaranta milioni di morti.
È un ricordo impresso nella carne e nel sangue d’Europa. Non a caso l’8 maggio del 1945 segna nella memoria del vecchio continente una data storica, per il trionfo di alcuni princìpi sulla violenza e sul male.
Le 365 mila vittime italiane della guerra e del conflitto con i tedeschi restano a certificare che lo scontro fu aspro, anche fra ex alleati; alla fine prevalsero princìpi di libertà, democrazia e morale (con tutte le riserve che questa parola comporta).
Fu chiara la divisione del nostro paese: una minoranza a favore dell’occupante, la maggioranza certamente a lui contraria. Questo spiega le centinaia di stragi, anche di vecchi e bambini, operate dall’invasore. Questo spiega la ferocia con la quale spesso furono condotte le rappresaglie. Questo spiega la reazione dei partigiani, che talvolta non sembra essere stata contenuta in modi equilibrati. Alla fine, però, centinaia di medaglie al valore in tutta Europa e una enorme schiera di santi emersi dai lager, hanno confermato la giustizia anche religiosa della lotta condotta.
Del resto in quel quinquennio il nazionalsocialismo si illuse di poter dominare l’Europa e il Medio Oriente, assaggiando invece di anno in anno poderose sconfitte. Dopo le irruzioni che sorpresero il continente e le vittorie fulminanti che durarono due anni sino al dicembre del 1942, quando la controffensiva dell’Unione Sovietica con la riconquista di Stalingrado e la rottura dell’assedio di Leningrado nel febbraio del 1943 decisero praticamente la sorte della guerra, anche per l’ingresso nel conflitto degli Stati Uniti già dal dicembre del 1941. Da quel momento si susseguirono le sconfitte; gli alleati dell’Asse furono cacciati dall’Africa settentrionale occupata dalle forze americane e venne invasa l’Italia. Cominciò la preparazione, sia pure a lungo termine, del “giorno più lungo” che nel 1944 doveva preparare la clamorosa invasione della Francia e attraverso la quale si intendeva conquistare l’intera Germania.
Seguirono distruzioni immense in tutto il continente. Seguì in ventisette paesi la Resistenza: duemila divisioni tedesche furono impegnate dai partigiani (centodieci in Italia).
Alla fine la pressione congiunta degli eserciti anglo-americani e delle forze della Resistenza ebbero ragione degli occupanti.
La guerra era finita.