UN PRETE COL GREMBIULE
Il 20 di aprile Francesco atterrerà in Puglia per onorare don Tonino Bello nel 25esimo della sua morte. Un uomo, un sacerdote un vescovo e un santo che ha saputo mischiarsi con la gente comune
Papa Francesco, tra pochi giorni, esattamente il 20 di aprile, atterrerà in terra di Puglia per onorare don Tonino Bello nel 25esimo della sua morte. Una prima sosta ad Alessano, in pieno Salento, paese natio dell’amato vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo e Terlizzi e dove lui stesso ha voluto essere sepolto, e poi la visita alla cattedrale di Molfetta con una messa al porto della cittadina pugliese dove accorrerà tantissima gente.
Qualcuno dirà, “finalmente”. È infatti, quella di Francesco, una visita lungamente attesa, sperata, sognata. La diocesi di Molfetta ha da poco terminato la fase diocesana per la beatificazione dell’amato suo vescovo, e ora tante persone, fedeli, agnostici, persino atei, sperano che con questo papa si arrivi presto a una beatificazione che renda onore a un servo di Dio che in vita fu un vero trascinatore di profezia evangelica. Ad Alessano, dove è sepolto nel piccolo cimitero del paese, la sua tomba è quotidianamente visitata da persone di ogni ceto sociale, non solo italiani, e l’albero di ulivo che fa ombra alla tomba è ricoperto di bigliettini che racchiudono storie, volti e vere e proprie suppliche al “santo” don Tonino.
Un uomo, don Tonino, un prete, un vescovo, e un santo che ha saputo mischiarsi con la gente comune ed è stato, per almeno un lungo decennio, dal 1982 al 1993, anno della sua morte per un cancro allo stomaco, il testimone di una Chiesa della profezia e della parola “pace”.
La Chiesa in uscita di don Tonino ha il sapore della Chiesa del grembiule, una Chiesa davvero casa di tutti, ospedale da campo dopo la battaglia, pronta a dialogare con l’uomo e ad abbracciarlo. Una Chiesa in ascolto dell’umanità sofferente. Come quella di Francesco.
Pensiamo alla scelta di don Tonino del suo motto episcopale. Ma non solo. Lo stemma, la croce pettorale, il pastorale, l’anello, il guardaroba. Comincia da lì. E dalla propria casa. A chi gli fa capire che dovrebbe sentirsi fortunato di poter abitare nella sontuosità del palazzo vescovile, risponde che preferisce un piccolo ambiente in cui vivere, sempre all’interno dell’episcopio, ma sobrio e dignitoso (vedi Santa Marta e papa Francesco…).
Le insegne episcopali, per don Tonino, non sono segni di potere. Riduce al minimo il guardaroba rifiutando di farsi confezionare la talare paonazza – meglio la talare nera filettata – anche in occasione dell’ordinazione episcopale. Lo stemma è semplice, riprende quello del suo paese Alessano che ha nello scudo due ali e una croce. Come motto sceglie Ascoltino gli umili e si rallegrino.
Come pastorale opta per un bastone in legno d’ulivo, più simile al vincastro di un pastore che a uno scettro, e quindi più adatto a un vescovo della strada, come si definisce nel suo ingresso a Terlizzi; la croce pettorale, con l’immagine di un Cristo essenziale nelle sue linee, è tenuta al collo da un semplice cordoncino. L’anello, segno di autorità e dignità, è quello nuziale della madre Maria.
La madre Maria è un po’ il simbolo di tutte le donne per don Tonino. E alle donne, attraverso l’esempio di Maria madre di Gesù, don Tonino ha dedicato parole dolcissime e attuali. Maria è la donna dei nostri giorni. “Maria vogliamo vederla così. Immersa nella cronaca paesana. Con gli abiti del nostro tempo. Che non mette soggezione a nessuno. Che si guadagna il pane come le altre. Che parcheggia la macchina accanto alla nostra… Fa’ che possiamo sentirti vicina ai nostri problemi. Non come Signora che viene da lontano a sbrogliarceli con la potenza della sua grazia o con i soliti moduli stampati una volta per sempre. Ma come una che, gli stessi problemi, li vive anche lei sulla sua pelle, e ne conosce l’inedita drammaticità…”.
Con un’operazione lessicale coraggiosa, don Tonino strappa la Madonna alla mariologia degli esperti e dei devoti, e le restituisce tutto il fascino della donna piena di grazia. Le dà del tu, elevandola a santa dei nostri giorni.
Tutto è grazia per don Tonino. Tutto è misericordia. Così la carezza al migrante marocchino, al ladro che ha a appena ucciso una guardia, al carcerato, al drogato, al barbone sotto casa, è l’avamposto migliore della buona speranza. È, in fondo, la carezza e la misericordia di Gesù. Il vangelo che, attraverso la strada e il sorriso dei volti, ricuce in una stretta di mano e in un caldo abbraccio accogliente la distanza tra un mondo che ha perso fiducia in Dio e negli uomini e un paradiso che deve iniziare a essere vissuto, qui, oggi sulla terra, davanti ai nostri occhi.
La profezia evangelica passa da qui, da queste nostre chiese aperte al mondo. Vie di fuga e vie di ritorno. Tende per il deserto e case per il rifugio.
In questa riscoperta di un Vangelo non letterale, ma simbolico, testo vivo, che per questo attraversa le epoche e viene interpretato alla luce dei segni dei tempi e non è più legge immobile e formale, c’è tutta la scommessa di essere oggi cristiani di buona speranza.
Il 20 di aprile di questo benedetto anno duemiladiciotto non è solo uno “scusa, don Tonino, se per tanti anni ci siamo dimenticati di te”. È, se volete, la follia della Croce che innalza verso il cielo una folla di erranti ed emarginati, poveri e delusi dalla vita.
In una via “all’insù” dove il riscatto dei poveri diventa sorriso e benedizione.