UN PENNELLO CONTRO LA MAFIA

La testimonianza artistica e civile di Gaetano Porcasi
By Gino Consorti
Pubblicato il 28 Ottobre 2020

L’hanno definito il pittore antimafia ma lui rifiuta questa etichetta: “Non c’è bisogno di mettersi in tasca una patente, ognuno deve cercare la giustizia in tutte le situazioni della vita”. Nell’abitazione di Corleone del boss Provenzano, oggi Casa della legalità, ha esposto oltre 60 opere

L’hanno definito il pittore antimafia, ma lui non si entusiasma. Anzi: “Non mi piace perché nel corso del tempo questa parola ha assunto le sembianze di una sorta di teatrino… L’antimafia è una cosa seria, tanti invece si sono nascosti dietro questa parola pur avendo scopi e interessi completamente diversi… Inoltre parlare di antimafia non ha senso, l’uomo sin dalla nascita, infatti, deve avere dentro il rispetto dell’altro, della legalità, dell’etica, della morale, della bellezza. Non c’è bisogno, dunque, di mettersi in tasca una patente, ognuno deve cercare la giustizia in tutte le situazioni della vita”.

Un bel caratterino, una mano assolutamente di talento, una mente super creativa e un forte impegno civile per la promozione della cultura e legalità. Sono questi i tratti distintivi dell’artista Gaetano Porcasi, 55 anni, nativo di Partinico (Palermo), dove nel Liceo Scientifico Santi Savarino è docente di Discipline pittoriche. Dopo la laurea conseguita con il massimo dei voti all’Accademia di Belle Arti di Palermo, ha deciso di indirizzare le sue grandi capacità artistiche in un impegno civile quotidiano. Un modo per far sì che la verità e il bene diventino bellezza impedendo, invece, di restare estranei all’uomo. Recentemente è stato nominato direttore operativo del Dipartimento antimafia studio e ricerca delle strategie ed educazione alla legalità costituito dalla Federiciana Università Popolare.

Le opere del maestro siciliano rappresentano una lente d’ingrandimento dove il pennello diventa una penna che racconta la storia. Come pochi riesce a toccare le corde del cuore delle persone e a trasformare in pittura un filo conduttore. L’arte, in generale, è un continuo stimolo alla bellezza e lui riesce, mirabilmente, a decodificare tutto ciò che guarda facendolo diventare immagine. Pandemia compresa, attraverso una rivisitazione dell’arte con le mascherine. E quindi il messaggio di farne un uso intelligente per la sicurezza personale e degli altri

Tornando alla definizione di pittore antimafia, Porcasi, che ha raccolto numerosi premi e riconoscimenti, nel 2014 realizzò un quadro intitolato Il giocattolo dell’antimafia. Un’opera che suscitò non poche polemiche. E non solo: “In un’intercettazione dei carabinieri – ricorda – qualcuno particolarmente risentito, auspicava la mia distruzione artistica… La verità è che ci sono giochi e interessi di potere particolarmente forti che passano sopra la testa di tutti noi. La legalità deve avere un significato prettamente culturale, cioè far progredire l’uomo attraverso la parola e quindi diventare azione. In tutti questi anni la parola antimafia, invece, è stata largamente strumentalizzata. Per esperienza personale quando tocchi o ti avvicini troppo ai poteri forti, questi come prima cosa ti isolano, fanno sì che il tuo lavoro e il tuo impegno nella società civile finiscano nelle tenebre…”.

Una denuncia senza giri di parole…

Purtroppo è così. C’è stato un periodo in cui era bene che giornali e televisione si dimenticassero della mia attività…

Che numeri conta la sua attività?

Ho dipinto circa 1600 quadri sulla storia di questo Paese. Ho cominciato con la strage di Portella della Ginestra, alla quale ho dedicato una decina di quadri. Poi ho spostato l’attenzione sugli esponenti delle forze dell’ordine, magistrati, giornalisti, sindacalisti, sulle vittime della società civile, sulle esperienze antimafia, sul ruolo della Chiesa. In pratica la tela rappresenta un libro che racconta di volta in volta una storia da lasciare ai posteri….

Con quale messaggio?

Sicuramente di speranza, insieme a un invito a migliorarci nel quotidiano affinché ne tragga beneficio il mondo intero. Io divido l’arte in due momenti importanti: l’aspetto contenutistico è l’aspetto estetico. Cioè raccontare un episodio drammatico che nello stesso tempo, però, riesca a rappresentare un messaggio esteticamente bello. Noi con la parola siamo in grado di uccidere, ma anche di trasmettere tanto amore…

Ma non avverte il peso di una grande responsabilità, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni? C’è chi ha pubblicato la tesi di laurea sulla sua attività…

Certo, ma noi siamo ciò che lasciamo… La vera ricchezza non è rappresentata dal denaro o dai vari beni, bensì dalla cultura che lasciamo a disposizione degli altri. Sono l’uomo più felice del mondo quando vedo ragazzi con gli occhi lucidi davanti ai miei quadri…

Quindi le risposte del mondo giovanile sono positive…

Direi fantastiche… A causa della pandemia ho dovuto rinviare numerosi incontri in giro per l’Italia, però ricevo tantissimi messaggi, anche lettere di genitori che mi ringraziano. I ragazzi restano affascinati da quadri che rappresentano una forte denuncia. Naturalmente, ispirandomi a Paolo Borsellino, cerco sempre di trasmettere messaggi positivi. Lui, infatti, ripeteva sempre che l’uomo doveva combattere la mafia non con la repressione ma attraverso la cultura. È stato un grande anticipatore… Ho dedicato molte opere anche a Leonardo Sciascia, altro grande personaggio che con lungimiranza criticava l’uso della parola antimafia. Ai ragazzi dico sempre che prima di analizzare un’opera d’arte dobbiamo conoscere l’artista, capirne il vissuto. Per me l’arte è qualcosa che deve raccontare e scuotere le coscienze.

Perché nelle sue opere antimafia dipinge sempre un numero civico?

Quando ho iniziato a studiare la storia di questo paese, riferendomi a casi drammatici, di morte, attentati, mi sono trovato dinanzi a una montagna di materiale… E non riuscendo a collegare tutti quei fatti sono andato in crisi. Un giorno, poi, mi sono fermato in macchina dinanzi a una vecchia casa con un numero civico in ceramica. In quel momento tutto mi è apparso più chiaro: ho pensato di trasformare il numero civico nell’anno dell’avvenimento di cronaca nera. In pratica, quel numero diventava la firma di denuncia del quadro e nello stesso tempo ricordava la storia. Una sorta di diario dal quale non dobbiamo e non possiamo estraniarci.

Dopo le stragi di Falcone e Borsellino, da siciliano quale domani si era immaginato?

Questa domanda mi mette addosso molto tristezza… Ci dobbiamo arrendere? Come tantissimi giovani immaginavo che cambiasse tutto…

Invece?

Purtroppo non è andata proprio così. Però non ci dobbiamo abbattere, anche se, ad esempio, i soldi per pubblicare un catalogo o un libro e quindi per promuovere la cultura non si trovano mai… Mentre fiumi di denaro, per l’amico dell’amico che ha altri scopi, non mancano mai…

Però i valori di Falcone e Borsellino, come ha detto il presidente della Repubblica Mattarella, sono radicati nelle persone oneste…

Assolutamente sì, hanno lasciato un segno molto forte e una grande eredità. Prima, ad esempio, nelle scuole non si poteva parlare di mafia, oggi invece sono diventati luoghi di dibattito. Sicuramente è cambiata la presa di coscienza civile, ma c’è ancora tanto da fare. Quando nel 1974 ho iniziato a dipingere la storia, soffermandomi in particolare su tutte le vittime di mafia, la gente andava dai miei genitori chiedendo per quale motivo avessi intrapreso quella strada… Sapesse quante volte mi hanno scoraggiato, demoralizzato, mi sentivo isolato nella mia terra. Non a caso Sciascia parlava di sicilitudine…

Eh già…, non appena la società si sente osservata immediatamente si diventa scomodi…

Proprio così. Io comunque se potessi tornare indietro rifarei le stesse cose. Quando sono stato la prima volta a Corleone a vedere la casa confiscata a Bernardo Provenzano e trasformata nella Casa della legalità, avevo una gran paura… Sessanta opere mie di denuncia sociale contro la mafia esposte nella casa del super boss… Io e i miei genitori siamo stati vittime di tante “telefonate silenziose”, atteggiamenti ostili, consigli a lasciar perdere… Oggi, invece, sono felicissimo di quella iniziativa, migliaia di studenti ogni anno visitano la struttura lasciando testimonianze positive. A loro ripeto sempre: “Andiamo avanti, le cose cambieranno. Se sono riuscito a fare un museo dentro la casa di Provenzano vuol dire che la fiducia deve essere dalla nostra parte”. D’altra parte la vera speranza è rappresentata dallo studio, di fronte al male l’arma più potente che possiamo avere è la cultura. E con la cultura possiamo camminare da soli senza alcuna paura.

Come li rappresenterebbe oggi Falcone e Borsellino?

Come dei “Cristi crocifissi”, uomini che hanno pagato i peccati che noi continuiamo a ripetere…

Crede alla trattativa Mafia-Stato?

La verità prima o poi uscirà fuori… I mafiosi da soli non erano in grado di azioni così “raffinate”, dietro c’è stata sicuramente la regia di persone con interessi ben diversi da quelli della mafia locale. Poteri forti, colletti bianchi, apparati deviati dello Stato…

Le opere come mezzo di denuncia sociale: quanto è difficile raccontare una terra splendida come la Sicilia, patria di tanti intellettuali e uomini di cultura ma anche di grandi criminali…?

Inevitabilmente devi fare i conti con la terra dove sei nato e dove vivi. Le racconto un aneddoto Ho insegnato dieci anni in Sardegna e quando sono tornato a casa, nel 2000, come prima cosa ho donato un quadro alla stazione dei carabinieri di Partinico, accompagnato da questo messaggio: Le forze dell’ordine devono diventare amici del cittadino e il cittadino deve diventare amico delle forze dell’ordine.

Un bel gesto…

Non per tanti… Appena mi hanno incontrato in piazza, infatti, in dialetto siciliano mi hanno ripreso, dicendomi: Sei diventato amico degli sbirri? In quel momento ho capito che c’era e c’è ancora tanto da lavorare. Siamo dinanzi a un grande problema culturale… Per fortuna, però, ci sono anche tante brave persone.

Al di là di qualche “telefonata silenziosa” o di alcuni “consigli” per il suo impegno civile e i continui richiami al senso di legalità, si è imbattuto mai con il volto della mafia?

Una volta la mafia venuta a trovarmi…

In che senso?

Un giorno due sconosciuti sono entrati nel mio studio chiamandomi Tano… Siccome tutti mi chiamano Gaetano, dopo averli osservati attentamente ho chiesto loro se ci conoscevamo…

“Sì, noi ti conosciamo molto bene…”, è stata la risposta di uno dei due. A quel punto confesso di aver avuto paura, mi si è gelato il sangue, anche perché ho capito chi avevi dinanzi… Già mi stavo immaginando l’epilogo…

Invece?

Con la paura addosso ma con la coscienza a posto, ho spiegato loro che non avevo fatto nulla di male, non avevo offeso nessuno. Sono un cantastorie, ho aggiunto, per il resto ognuno di noi, un giorno, dovrà confrontarsi con la legge di Dio… A quel punto, prima di lasciare lo studio, hanno aggiunto: “Noi siamo contenti che lei abbia dipinto la nostra storia…”.

A proposito della legge di Dio, che rapporto ha con la fede?

Un rapporto molto stretto, ho anche un padre spirituale con cui mi confronto spesso. Quando penso di sviluppare un tema specifico chiedo a Dio di darmi la forza necessaria per combattere il male, quello che indurisce i cuori. Prego tutti i giorni e ogni tanto leggo la Bibbia dove qualsiasi parola è un capolavoro. Quando lo Spirito Santo ti entra dentro, la vita cambia radicalmente. Ho vissuto diversi momenti di sconforto, anche gravi, però li ho sempre superati affidandomi al Signore.

L’attualità siciliana è anche il drammatico fenomeno dell’immigrazione clandestina. Cosa raccontano le sue pennellate?

Circa dodici anni fa, dopo la lettura di un fatto di cronaca, ho realizzato il quadro Cimitero blu. Ovviamente su questo tema ne ho fatti diversi. Ciò che accade mette addosso una grande tristezza, è una guerra dei poveri… Perché mai la vita e la ricchezza culturale di questi popoli deve andare perduta? Per non parlare poi dello sfruttamento nel lavoro, il caporalato, eccetera, eccetera. L’artista deve avere sempre il riflettore puntato sulla società, deve osservarla in tutti i suoi movimenti e le sue mutazioni…

E magari anche immaginare il futuro. In questo caso come disegnerebbe Gaetano Porcasi il domani del nostro Paese?

Con un messaggio di speranza. Siamo il paese che possiede circa il 70% del patrimonio culturale mondiale. Metterei in evidenza la bellezza e la speranza. Nulla deve farci paura.

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