La fotografia del Censis ritrae un paese in letargo dove prevale il senso del “giorno per giorno”. La crisi spinge l’italiano a trovare forme di acquisto più economiche generando, così, più dimestichezza con internet dove il papa è il personaggio più “ricercato” La nostra cara Italia vive “un letargo esistenziale collettivo” e nei suoi abitanti prevale il senso del “giorno per giorno”, il famoso “tira a campare”; però all’orizzonte si muove qualcosa e questa potrebbe essere la volta buona per svegliarsi, grazie alle solite capacità inventive, individuali e collettive: “dinamiche spontanee considerate residuali, ma che prendono sempre più consistenza”. Proprio poggiandoci su queste basi potremo riappropriarci della nostra identità. Un passato grigio, quindi, ma un futuro che potrebbe volgere al chiaro. L’analisi – bellissima nella definizione di “letargo esistenziale collettivo” – è del Censis che, come ogni anno, ci regala uno spaccato della nostra situazione sociale. Ci sono alcuni indicatori materiali che fanno presagire l’uscita dal tunnel, ma non ce la sentiremmo di escludere che moralmente la spinta possa venire da quel Francesco il cui comportamento e i cui moniti infondono fiducia e inducono a risollevare fieramente la testa. Non per caso, il papa è il personaggio più “ricercato” su Internet, e sovrasta leader indiscussi della scena politica mondiale come il russo Vladimir Putin e la tedesca Angela Merkel.
Riguardo agli indicatori materiali, i dati dell’ultimo rapporto del Censis dicono che l’italiano si sta modernizzando sempre di più e che – sia pure per la crisi che spinge a trovare forme di acquisto più economiche – ha più dimestichezza con la rete, tanto da utilizzarla spesso per acquisti online: sono 15 milioni coloro che fanno acquisti sul web (2,7 milioni nell’ultimo anno hanno comprato prodotti alimentari in rete). Inoltre, sale il consumo di alimenti fuori da casa, come dimostrano gli aumenti di aperture di ristoranti (15,5%), bar (+10%) e gelaterie-pasticcerie (+8%). Tre le ragioni: ridotto capitale necessario all’avvio di queste attività; pervasività del cibo nel nostro quotidiano; l’iniziativa di molti stranieri. Ciò è dovuto anche al fatto che per la prima volta dall’inizio della crisi la quota di famiglie italiane che nell’ultimo anno hanno aumentato la propria capacità di spesa risulta superiore a quella delle famiglie che l’hanno ridotta (25% contro 21%), un dato che segna una forte discontinuità con il recente passato. Allo stesso tempo, però, sale il totale il numero delle famiglie che non riescono a coprire tutte le spese con il proprio reddito, sfiorando il 20 per cento.
Per il resto, regge ancora la tanto amata televisione (il 96,7 per cento della popolazione). Anche per la radio si conferma una larghissima diffusione di massa (l’utenza complessiva corrisponde all’83,9%), con l’ascolto per mezzo dei telefoni cellulari (+2%) e via internet (+2%) ancora in ascesa. In effetti, gli utenti di internet continuano ad aumentare (+7,4%), raggiungendo una penetrazione del 70,9% della popolazione. Gli smartphone sono in forte crescita (+12,9%) e li usano il 52,8%. In ascesa anche la presenza sui social network (Facebook è frequentato dal 50,3% dell’intera popolazione e addirittura dal 77,4% dei giovani under 30), mentre Youtube raggiunge il 42% di utenti (il 72,5% tra i giovani) e il 10,1% degli italiani usa Twitter. Al tempo stesso, prosegue il ciclo negativo per la carta stampata, che non riesce ad arginare le perdite di lettori: -1,6% per i quotidiani, -11,4% per la free press, stabili i settimanali e i mensili, mentre sono in crescita i contatti dei quotidiani online (+2,6%) e degli altri portali web di informazione (+4,9%). Regge la lettura dei libri (-0,7%): gli italiani che ne hanno letto almeno uno nell’ultimo anno sono solo il 51,4% del totale, e gli e-book contano su una utenza ancora limitata all’8,9% (per quanto in crescita: +3,7%).
Non poteva mancare il capitolo sulla condizione degli stranieri regolarmente residenti, molto diversa da quella delle periferie francesi e londinesi: da noi gli immigrati inseguono una traiettoria verso la condizione di ceto medio, differenziandosi così dalle situazioni di concentrazione etnica e disagio sociale che caratterizzano quelle realtà all’estero. Così, mentre sono sempre di più quelli che fuori dai negozi chiedono un euro per mangiare, i titolari d’impresa stranieri sono aumentati del 31,5% (soprattutto nel commercio, che pesa per circa il 40% di tutte le imprese straniere, e nelle costruzioni, per il 26%), mentre le aziende guidate da italiani sono diminuite del 10,6%. A dimostrazione del cammino veloce verso l’integrazione, al Censis risulta che il 44% degli italiani ritiene che è cittadino italiano chi nasce sul suolo italiano, per il 33% chi vive in Italia per un certo periodo di tempo minimo (non importa dove sia nato), per il 19% chi ha genitori italiani. Lo ius soli (il diritto di cittadinanza agli immigrati acquisito automaticamente con la nascita in un territorio) è quindi il criterio privilegiato. Su questo pesa anche il fatto che siamo stati – e per certi aspetti lo siamo ancora – un popolo di emigranti, quindi sensibili a questo problema. E se è vero che aumenta il numero di coloro che cercano il cibo “etnico”, è altrettanto indiscutibile che la nostra cucina entra tra le mura domestiche delle famiglie straniere e convive con le ricette del paese d’origine, a volte integrandole, a volte trasformandole in qualcosa di diverso attraverso accostamenti originali di sapori e ingredienti. Con buona pace di quegli italiani che vorrebbero “nascondere” le proprie tradizioni (non solo religiose).