Lessico della felicità, il libro scritto a quattro mani da Laura D’Onofrio e Roberto D’Incao, è concepito per aiutarci a capire la natura della felicità
Sin dalla notte dei tempi l’uomo è alla ricerca, tra affanni e sogni, di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene, appagando cuore e mente. Praticamente è alla ricerca della felicità. Proprio come Diogene che, aiutandosi con la lanterna, errava in cerca dell’uomo il quale, ritrovando la sua “genuina natura”, avrebbe ritrovato la felicità.
Quello della felicità è un tema che ha sempre appassionato l’umanità. Fiumi e fiumi di inchiostro per descriverla, montagne di parole, studi, convegni: tutti alla ricerca della via che conduce al raggiungimento di uno emotivo di benessere che rende le persone libere e positive. Una felicità così tanto desiderata ma che purtroppo, spesso, sembra essere distante, addirittura irraggiungibile. Ma così non è, soprattutto se si vive nella visione di Dio.
Recentemente per Baldini+ Castoldi è arrivato in libreria Lessico della felicità, 33 parole per vivere meglio (pp. 200, euro 17,00), un volume scritto a quattro mani da Laura D’Onofrio, psicologa e psicoterapeuta e Roberto D’Incau, partner fondatore di Lang&Partners, una delle più prestigiose società di consulenza HR italiane.
Ma cosa ha di diverso questo “manuale” rispetto ai tanti proposti negli anni da numerosi autori ed esperti dell’animo umano, promettendo soluzioni miracolose? “È concepito per aiutare a capire la natura della felicità: non promette di regalarla. Di sicuro – sottolinea Laura D’Onofrio – è stato scritto con il proposito di aiutare a essere più consapevoli, della nostra vita e delle dinamiche che la governano. Non basta leggerlo per ottenere una ricaduta significativa sulla nostra esistenza. Occorre invece approcciarlo come se fosse un bugiardino, che spiega, attraverso trentatré parole chiave sulle quali riflettere come affrontare la vita lavorativa, affettiva, amorosa o familiare. Il nostro lavoro, dunque, rappresenta l’occasione concreta di riflettere sulla sostenibilità del restare e sull’agire di conseguenza”.
Cioè?
Restare in una situazione come risorsa, come possibilità. Restare non come ripiego agli eventi spiacevoli della vita, ma al contrario come chance per mettere in campo nuove energie, nuove motivazioni, nuove condizioni per raggiungere un miglior benessere. Restare lasciando andare comunque il passato, e provando a ripartire senza pregiudizi e vecchie ruggini. Quando qualcosa non funziona, infatti, spesso il primo impulso è immaginarsi un cambiamento radicale: non mi piace più il lavoro e cerco un modo per lasciarlo; con il partner le cose non sembrano funzionare e mi allontano, me ne vado; un’amicizia mi ha deluso e la chiudo.
Invece, quale comportamento adottare?
Perché, ad esempio, non valutare anche la possibilità di restare? Non licenziarsi, non lasciare il partner, non chiudere un’amicizia. E, ugualmente, cambiare. Cambiare il proprio modo di leggere le situazioni, di rapportarvisi, capire cosa si mette in campo in primis per poi abbracciare anche il punto di vista dell’altro.
A volte, però, nel corso della vita prendere le distanze da alcune circostanze negative può rivelarsi un importante toccasana alleviando la pressione accumulata…
Può essere, ma in moltissime occasioni non risolve il problema. La vita, infatti, si fa forte attraverso la stabilità dei legami. Siamo esseri sociali, ne abbiamo bisogno: il benessere di una persona si basa molto sulle relazioni che vengono costruite e mantenute nel tempo. Danno forza, solidità e maggior fiducia in se stessi. Allora perché non provare a restare, in queste relazioni. Attivando il programma, in noi innato, del cambiamento. Tutto si modifica ed evolve: il nostro compito è accorgercene e dargli la direzione più feconda per noi e per la nostra felicità.
Insomma, cambiare ma restando fermi…E traendone beneficio.
Proprio così, e per farlo dobbiamo concentrarci sulle cose che possono essere modificate partendo da noi. Non è piacevole? Pensare che ogni evento sia in qualche modo sotto la nostra direzione? Sapere che possiamo decidere di trasformare le situazioni evolvendo noi per primi, e che mettendo in campo nuovi noi stessi le cose possono volgere al meglio e farci stare bene? A volte non possiamo modificare né tantomeno evitare situazioni spiacevoli. Possiamo tuttavia pensare a come influire sul nostro modo di interpretarle e di reagire.
Concetti, quelli di Laura D’Onofrio, assolutamente condivisibili. D’altra parte cos’è poi la felicità, se non un modo diverso di vedere le cose? Di trarre godimento da ciò che accade e da ciò che possiamo realizzare?
Anche Roberto D’Incau non ha dubbi sull’opportunità di modificare e trasformare la realtà senza decisioni o cambiamenti drastici. “Questo nostro libro – osserva – vuole essere scorrevole e piacevolmente leggibile da chiunque riconosca che ci sono cose nel proprio lavoro o nella propria vita privata che non funzionano del tutto come vorrebbe. Situazioni che lo fanno interrogare se sia giusto andare o restare. E cosa significa restare? Rassegnarsi o evolversi? Non avere coraggio? Esploriamo così attraverso casi reali di gente comune cosa significa restare sul luogo di lavoro, mantenere le relazioni cambiando gli atteggiamenti, i pensieri, le azioni: come si resta ma come e cosa si cambia senza andarsene”.