UN LUOGO DI CULTO DI FRONTIERA
Sorge a Zarqa, in Giordania, dove il patriarca di Gerusalemme ha costituito la parrocchia “Maria Regina della Pace” Zarqa è una città cosmopolita a 40 chilometri a nord-est di Amman, ai margini del deserto giordano. Conta circa un milione di abitanti. Il 50% della popolazione è giunta lì dalla Cisgiordania dopo la “Guerra dei sei giorni”. Il clima è tipicamente desertico. Concentra in sé oltre il 50% delle industrie della Giordania. La religione dominante è musulmana, mentre la presenza cristiana si attesta intorno al 6%. Una percentuale decisamente modesta, pur tuttavia incisiva e significativa.
Nel 1984 giunsero a Zarqa due religiosi di don Orione, don Giuseppe Tirello e don Philip Kehoe, i quali si sistemarono alla periferia della città a ridosso del deserto. Erano consapevoli che la loro missione in Giordania poteva svolgersi solo nella cura pastorale dei cristiani e non nel predicare il Vangelo. Dopo aver osservato attentamente la realtà sociale in cui si trovavano, pensarono che la cosa migliore da fare in quel contesto fosse la fondazione di un centro professionale. Nacque così il centro Saint Joseph. Si rivelò una vera manna per le famiglie. In breve la scuola si incrementò. Oggi ospita oltre 600 giovani, di cui gran parte musulmani e un centinaio di cristiani.
Un detto popolare recita: Da cosa nasce cosa. In quella effervescente realtà umana del centro Saint Joseph si avvertiva la mancanza di una chiesa. Dopo la guerra del Golfo del 1991 fu edificata una chiesa-santuario dedicata a Nostra Regina della Pace, che diverrà presto parrocchia, per volere del patriarca di Gerusalemme. Sappiamo che la Vergine Maria gode profonda venerazione non solo presso i cattolici ma anche presso i musulmani. Ciò spiega la forte attrazione che il santuario esercitò da subito presso la popolazione di Zarqa. Davanti all’icona della Madonna vanno a pregare insieme cattolici e musulmani. Ogni giorno, riferiscono con stupore gli orionini (i religiosi di san Luigi Orione, ndr) nel cielo azzurro di Zarqa si fondono in un unico inno la voce dei muezzin dai minareti con il suono dell’Ave Maria delle campane del santuario.
La chiesa ha una struttura semplice. La facciata si contraddistingue per un originale timpano su cui svetta la croce. L’interno è costituito da un’ampia aula ben illuminata dai finestroni laterali. Ma ciò che attira l’occhio del visitatore è il grandioso dipinto realizzato da un pittore profugo sull’intera parete dietro l’altare.
L’inaugurazione dell’opera ha avuto luogo il 24 dicembre 2015 di fronte a numerose autorità religiose e a una folla straripante. Il dipinto è molto bello e di grande attualità. Tra i soggetti raffigurati, infatti, trova spazio anche il drammatico fenomeno dell’emigrazione. Sulla destra emerge la scena dell’Ascensione di Gesù; al centro, in alto, la colomba dello Spirito Santo e sotto un grande crocifisso in legno; in basso, proprio sotto la croce il tabernacolo inserito in una custodia a forma di ostia che sormonta un enorme calice. La parte più innovativa comunque si trova sul lato sinistro, dove l’artista ha voluto raffigurare il sogno di san Luigi Orione della Madonna del Manto azzurro. Ai piedi della Madonna si vedono don Orione con un bambino iracheno in braccio e intorno a lui altri bambini, iracheni, siriani, egiziani, una mamma africana col bambino dietro la schiena, e infine un signore giordano e una donna palestinese. Tra i bambini c’è una figura che attira l’attenzione e commuove. È Angie, una ragazzina con i capelli rossi originaria di un villaggio presso Mosul. Diventò nota al pubblico internazionale per violenze e persecuzioni subite dall’Isis. Lei nel tentativo di fuggire verso la libertà, morì in un naufragio a poca distanza dalla Grecia insieme ad altri bambini. Con quest’opera d’arte, san Luigi Orione assume anche il ruolo di “padre dei profughi”.
Nel centro professionale Saint Joseph non si impara solo un mestiere. Si impara altresì l’arte del vivere insieme tra persone di fede, razza e cultura diverse. Il padre orionino Hani Polus Al Jameel, 37 anni, iracheno, responsabile del santuario Regina della Pace e docente di religione nel centro professionale, racconta: “La religione qui non è elemento di divisione. Gli studenti sono legati da rapporti di amicizia e rispetto. I ragazzi musulmani sanno che questo è un istituto cattolico e che troveranno compagni cristiani. Quando cominciano a frequentare le lezioni si accorgono che non vi sono differenze di trattamento e che ciascuno riceve le medesime attenzioni riservate agli altri… Una peculiarità della nostra scuola è la presenza di studenti che provengono da paesi diversi e imparano a crescere insieme rispettandosi e volendosi bene: vi sono giordani, giordano-palestinesi, ma anche iracheni e siriani fuggiti dall’Isis”.
Il 19 settembre 2009 si celebrò la festa per la professione perpetua di padre Hani Polus Al Jameel. In quella circostanza il superiore generale degli orionini ebbe a dire: “Abbiamo passato i primi anni da soli, senza niente, una vita dura e desolata. Ci dicevamo l’un l’altro: a fare questa vita, o siamo matti o lo diventeremo. Ma il Signore e la pazienza ci hanno sostenuti”. Quindi concluse: “Dove arriva Gesù con la Madonna fiorisce il deserto”. Si può dire che il centro Saint Joseph di Zarqa può considerarsi il modello della futura convivenza tra gli uomini.